Le dinamiche economiche e fiscali dietro l’anomalia irlandese

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Pur non essendo solitamente al centro del dibattito geopolitico, l’Irlanda svolge un ruolo strategico di raccordo non solo tra il Nord America e l’Europa, ma anche tra l’Unione Europea e il Regno Unito nel contesto post-Brexit.

Sotto il primo profilo, infatti, l’Irlanda costituisce un vero e proprio snodo commerciale e tecnologico tra il Nord America e il vecchio continente. La sua collocazione geografica la rende un hub logistico di primo piano per le rotte transatlantiche, sia marittime che aeree. Inoltre, il paese è fondamentale per il funzionamento delle infrastrutture digitali, grazie alla presenza di numerosi cavi sottomarini che permettono di collegare i due continenti.

Sotto il secondo profilo va notato che, dopo la Brexit, l’Irlanda è divenuta l’unico paese dell’UE a confinare con il Regno Unito, con Belfast situata a soli 140 km da Dublino. Questa particolare situazione rafforza il suo ruolo di ponte tra Bruxelles e Londra, rendendola una sorta di un avamposto europeo – con una popolazione nettamente favorevole all’UE – collocato nell’area di influenza anglosassone. Pur non essendo un’exclave in senso stretto, la sua separazione geografica dal continente e il suo ruolo di unico punto di contatto via terra con il Regno Unito le conferiscono un peso geopolitico non irrilevante. 

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Oltre alla vicinanza irlandese alle istanze dell’Unione (favorita, tra l’altro, da perdurevoli tensioni con Londra), va naturalmente sottolineata la natura dei rapporti privilegiati che Dublino intrattiene con gli Stati Uniti, conseguenza innanzitutto di un fattore storico-culturale: quasi il 10% degli americani è di origine irlandese, ed intere comunità – a Boston in primis, ma anche in città quali New York e Philadelphia – sentono ancora un forte legame con le proprie radici al di là dell’Atlantico.

Il risultato di questa vicinanza è un dato inequivocabile: gli investimenti esteri in Irlanda sono dominati dalle aziende statunitensi. L’attrattività del paese ha favorito la presenza massiccia di aziende americane nei settori della tecnologia, della farmaceutica e dei servizi finanziari. Giganti come Apple, Google, Pfizer e Johnson & Johnson hanno scelto l’Irlanda come loro ‘sede europea’, per via degli incentivi fiscali e dell’accesso privilegiato al mercato dell’Unione Europea. 

Proprio partendo da questo ultimo aspetto è interessante condurre un’analisi più approfondita del modello economico irlandese, caratterizzato, come detto, da un’elevata dipendenza dagli investimenti esteri e da un sistema fiscale che, se da un lato ha reso il Paese un magnete per le multinazionali, dall’altro ha generato dinamiche peculiari nei dati macroeconomici, con implicazioni significative per la crescita reale e la distribuzione della ricchezza.

Il disaccoppiamento tra il dato fiscale e la produzione economica

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, un esempio emblematico è il gettito derivante dalla corporate tax, che nel primo semestre del 2024 ha raggiunto i 12 miliardi di euro, il valore più alto di sempre. 

Il dato riceve un forte contributo dalle recenti disposizioni sulla Global Minimun Tax che ha elevato il prelievo dal 12,5% al 15%.

Dal confronto con il GDP emerge però un disaccoppiamento degli andamenti; a partire dal 2015 infatti il dato fiscale supera di due volte in termini percentuali quello della produzione (Figura 1).

Figura 1

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Il disaccoppiamento svela de facto una prima informazione sulle caratteristiche della produzione industriale irlandese e cioè la sua estero-vestizione, i.e.: prodotti che in realtà non sono realmente prodotti in Irlanda ma ci finiscono in qualche veste contabile per motivi fiscali. 

Il confronto dei dati depurati dall’inflazione del GDP con i consumi delle famiglie fornisce ulteriori conferme a questi dati ed interpretazioni e qualifica meglio l’anomalia del sistema-Paese Irlanda. La produzione irlandese, infatti, non si tramuta in ricchezza per le famiglie, come mostra chiaramente l’ulteriore disaccoppiamento (guarda caso sempre a partire dal 2015) dei due andamenti (Figura 2).

Figura 2

Irlanda e Corporate Tax: Il Ruolo delle Multinazionali nella Crescita del PIL

È opportuno quindi usare le regole della contabilità nazionale per scomporre i dati del GDP secondo un approccio top-down (Figura 3); questa scomposizione consente di determinare il Gross National Product (GNP) – sottraendo al GDP i redditi trasferiti all’estero alle case madri dalle multinazionali che operano in Irlanda – e quindi il modified Gross National Income (mGNI) – sottraendo al GNP i redditi ridomiciliati in Irlanda dalle case madri stranieri per motivi tributari e il deprezzamento di brevetti e altre attività immateriali nonché da leasing di aeromobili; queste ultime voci sono infatti ancora una volta collegate agli effetti della globalizzazione e quindi ad eventuali vantaggi competitivi sempre di natura fiscale (Figura 3). 

Figura 3

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Da tale scomposizione emerge come metà del GDP non comporta direttamente produzione di ricchezza sul territorio irlandese ma sia determinato da motivi tributari. Non solo. Si trova ulteriore conferma alla circostanza che il 2015 sia il dies a quo di questi andamenti anomali. 

Nel 2015 l’Irlanda ha effettivamente avviato una importante riforma fiscale che se da un lato ha imposto alle multinazionali una minimale corporate tax, dall’altro ha (verosimilmente per ridurre il rischio che le multinazionali cercassero un altro paradiso fiscale) consentito la deduzione dei costi sostenuti per gli intangible assets (i.e.: l’acquisizione di servizi inerenti ad attività di ricerca, nonché di sviluppo, registrazione e tutela dei brevetti) che sottendono la loro produzione a livello globale.

In altri termini, le multinazionali “appoggiano” in Irlanda gli intangible assets sottesi alla loro produzione globale, ma non l’effettiva produzione dei beni (che infatti solo marginalmente avviene sul territorio irlandese). Sui redditi determinati, una volta effettuata l’integrale deduzione degli intangible assets registrati contabilmente in Irlanda, viene quindi computata la minimale corporate tax da versare al governo irlandese.

Il Ruolo del Settore Farmaceutico e dell’ICT nella Bilancia dei Pagamenti irlandese

L’esame dei dati del Conto Corrente della Bilancia dei Pagamenti conferma questa tesi e consente inoltre di identificare nel settore farmaceutico e dell’ICT (information and communications technology) i principali attori di queste dinamiche economico-finanziarie (Figura 4).

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Infatti, dall’esame del grafico emerge plasticamente che i due settori, a fronte della registrazione di esportazioni dall’Irlanda (di beni solo marginalmente prodotti sul territorio), effettuano cospicue importazioni di royalties, licenze e servizi di R&D che arrivano a valere circa il 50% del dato esportato. 

Figura 4

La riforma tributaria del 2015 ha avuto certamente il merito di mantenere e continuare ad attirare in Irlanda i colossi multinazionali del farmaceutico e dell’ICT – portando questi due settori a determinare i flussi di quasi il 90% della bilancia commerciale irlandese e aumentando l’entità delle Corporate Tax incassate dal Governo – ma non la produzione nazionale e – di conseguenza – la ricchezza delle famiglie nelle medesime proporzioni.

Un sistema fiscale vulnerabile

A riprova degli squilibri macro-economici derivanti dalle situazioni sopra descritte, il settore farmaceutico e dell’ICT ricoprono solamente un ruolo marginale nel contesto irlandese, rappresentando circa il 10% della forza lavoro (Figura 5).    

Figura 5

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Saldo e stralcio

 

Ciononostante, il dato della Corporate Tax ha sostanzialmente raggiunto quello della Income Tax – prodotto da una forza lavoro che rappresenta il 90% del totale – e superato quello dell’added-value, che qualifica come noto una proxy della capacità di spesa delle famiglie (Figura 6).

Figura 6

E’ evidente come una qualsiasi modifica delle politiche fiscali di altri Stati, ovvero una omogenizzazione delle stesse a livello comunitario, potrebbero determinare repentini mutamenti nelle entrate tributarie dell’Irlanda con conseguenze economico-finanziarie di rilievo per il Paese.

Pertanto, è certamente apprezzabile l’ipotesi di avviare un fondo sovrano per raccogliere e – di conseguenza – investire i proventi della Corporate Tax, piuttosto che riportarli nella gestione ordinaria delle entrate fiscali. Si tratta di una prima presa di coscienza da parte del Governo degli squilibri macro-economici sopra-descritti che ricorda la favola di Esopo della cicala e della formica.





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