Giorno del ricordo: Mazzeo, ‘Il rigore della memoria una speranza per il futuro’

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10 Febbraio 2025

Il presidente del Consiglio regionale ha aperto la seduta solenne del Consiglio regionale dedicata alla tragedia delle foibe. Il teologo don Severino Dianich: “La nostra è una storia che ha ancora molto da dire”. Il coordinatore del gruppo di lavoro storico scientifico dell’ANVGD Elio Varutti: “In Toscana un grande spirito di accoglienza verso i profughi giuliano-dalmati”. Il presidente della Regione Eugenio Giani: “Serve il coraggio di guardare in faccia pagina dei martiri delle foibe”

Comunicato stampa n. 0119 – 0120

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Firenze – “Saluto le autorità presenti e li ringrazio di essere qui con noi a celebrare questo giorno che dal 2005 la Repubblica ha dedicato alla memoria della tragedia di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. Saluto i nostri ospiti e li ringrazio per il contributo che ci daranno”. Con queste parole Antonio Mazzeo presidente del Consiglio regionale ha aperto la seduta solenne del Consiglio regionale, alla quale hanno presenziato autorità civili e militari. Un saluto e un ringraziamento particolari Mazzeo li ha rivolti a don Severino Dianich, docente emerito della facoltà teologica di Firenze ed esule con la sua famiglia in quei terribili anni, ed Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia di Udine, chiamati a portare la loro testimonianza. A due ospiti, al termine della seduta solenne, il presidente Mazzeo e il presidente della Regione, Eugenio Giani, hanno consegnato in ricordo della giornata una statuetta del Pegaso alato, simbolo della Regione Toscana.

Mazzeo ha voluto iniziare il suo intervento citando “un fatto di cronaca, il vile atto vandalico compiuto qualche giorno fa alla foiba di Basovizza e voglio citare in apertura le parole con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commentato l’accaduto: ‘Nulla può far tornare indietro la storia’. E la storia ci racconta che il dolore che provocò e accompagnò l’esodo delle comunità italiane giuliano-dalmate e istriane ha tardato ad essere fatto proprio dalla coscienza della Repubblica”. Il presidente ha ricordato che “affinché queste vicende tornassero alla luce nella loro drammaticità, un contributo prezioso lo hanno dato proprio i testimoni diretti di quei giorni e le associazioni degli esuli che sono qui stamani rappresentate. Un contributo fondamentale per la ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace che sono e resteranno sempre un tratto identitario della Toscana e il fondamento della convivenza civile.”

“A favorire l’istituzione di questa giornata come commemorazione solenne, dopo l’approvazione della legge da parte del Parlamento, fu, esattamente 20 anni fa, un grande toscano, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi – ha spiegato Antonio Mazzeo – e voglio, anche in questo caso, ricordare le sue parole pronunciate proprio il primo anno in cui il Giorno del Ricordo fu celebrato: ‘Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono. È giunto il momento che i ricordi ragionati prendano il posto dei rancori esasperati. I principi di dignità della persona, di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei diritti delle minoranze sono il fondamento dell’Unione Europea’.”

“Essere qui oggi serve proprio a commemorare e ricordare tutte le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata e a dire, ancora una volta – ha detto il presidente dell’assemblea regionale Antonio Mazzeo – che quanto accaduto non deve ripetersi mai più. Fare memoria di fatti così dolorosi che hanno segnato la vita di tanti Italiani ci porta anche a riflettere che cosa vuol dire oggi ridefinire la nostra identità nazionale nel contesto della nuova cittadinanza europea aperta al mondo. L’Europa di oggi è figlia di quei dolori. Gli orrori della Seconda guerra mondiale e l’odio profondo che l’ha accompagnata, hanno ispirato quei politici illuminati che nel dopoguerra hanno dato vita alle istituzioni comunitarie. Oggi siamo a pieno titolo cittadini europei. Siamo Italiani in quanto Europei. Ed Europei in quanto Italiani. Siamo orgogliosi di essere europei, in un tempo in cui le identità nazionali (italiani, sloveni, croati) non sono più motivo di divisione ma di convivenza pacifica e cooperativa. La ferita di una guerra aperta nel cuore dell’Europa che come ogni guerra genera non solo morte e dolore, ma spinge molti ad abbandonare le proprie case e la propria terra, a vivere il dramma dell’esodo forzato, ci motiva ancora di più a dare risalto e concretezza alla memoria che questo giorno è in grado di sostenere e alimentare.”

“Il bene della pace e della convivenza civile è inestimabile e come tale – ha concluso Mazzeo -richiede ogni sforzo per essere realizzato. Certo nel rispetto della libertà e dei diritti di tutti. Perché non ci può essere pace vera senza giustizia e non si costruisce convivenza civile sul sopruso e sulla violenza. Proprio in questi giorni sui luoghi di quel confine orientale che è stato il teatro della tragedia che oggi ricordiamo si è accesa una luce di speranza. Gorizia e Nova Gorica, la parte italiana e quella slovena di quell’unica città che la guerra aveva diviso e che per anni sono state separate non solo da un assurdo confine da un vero e proprio muro, sono insieme capitale europea della cultura per il 2025.  Con questa speranza vogliamo celebrare questa giornata. Senza sconti sulle responsabilità per la tragedia che è stata perpetrata. Con il rigore della verità storica da riconoscere. Perché la memoria non ci consegna solo il passato, ma ci dà gli strumenti e la consapevolezza per costruire il futuro.”

Al centro della seduta solenne del Giorno del Ricordo, gli interventi di don Severino Dianich, docente emerito della Facoltà teologica di Firenze e Elio Varutti, coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia di Udine.

Nato a Fiume nel 1934 da genitori istriani, Dianich ha ripercorso sua vicenda personale di profugo, a partire dall’ottobre 1948 quando, dal centro di smistamento di Udine, fu mandato al campo profughi di Gaeta. Approdato poi al seminario di Pisa, punto di ritrovo di seminaristi e preti fiumani, fu in seguito ordinato prete nel 1958.

“Che nessuno offenda la nostra sofferenza facendone motivo di polemica politica – ha esordito Dianich – è una cosa indegna, non si approfitta dei morti e dei sofferenti per le proprie battaglie di partito”.

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“Nel Giorno del ricordo – ha poi affermato – si pensa alle foibe del 1943 e del 1945, icona giusta, veritiera ed efficace per far capire l’entità della tragedia. La stima delle vittime è ancora molto incerta e varia da 4mila a 11mila. Ma oltre a questi morti, tra il 1943 e il 1952, si realizzò l’esodo di 300mila profughi delle province di Bora, Fiume e Zara, che abbandonarono la loro terra per sfuggire dalla miseria e da un regime, quello di Tito, oppressivo e dittatoriale”.

Dianich si è dunque soffermato sulle regioni dell’esodo. “Perché 300mila persone hanno lasciato la loro terra? – si è chiesto – . Io non sono uno storico di mestiere ma posso parlare da testimone, uno dei pochissimi ormai”. “La pressione da parte della mia famiglia non fu di carattere ideologico, non fu lo spirito nazionale o nazionalista a farci lasciare la nostra città – ha ricordato – ma il bisogno di fuggire dalla fame. Ricordo cosa voleva dire stendere un briciolo di marmellata sul pane, fare la coda per ore davanti a un forno e tornare a casa con la saccoccia vuota”. E poi la ragione ancora più decisiva: “L’oppressione insopportabile del regime e la negazione di ogni più elementare libertà. Ricordo la negazione di un paio di scarpe perché mio padre non andava alle riunioni del partito”. “Fu dunque l’oppressione, la distruzione della nostra dignità a farci lasciare la nostra terra. Se la Jugoslavia avesse avuto un sistema democratico e rispettoso delle libertà e delle minoranze non ce ne saremmo mai andati”, ha affermato.

“In Italia però – ha continuato – eravamo esuli in patria, considerati fascisti scappati dal paradiso comunista di Tito e quindi, in molti casi, non ben accolti”. Il teologo ha dunque ricordato “il miserabile livello di accoglienza offerta, il box 4×4 negli androni di una caserma dismessa nel campo profughi di Gaeta”.

Quale lezione di vita dunque ricavare da questa vicenda storica? “Rispetto al dissennato attuale revival di nazionalismi a livello mondiale, la nostra storia ha ancora molto da dire – ha concluso Dianich – . Ci meravigliamo che si possa tornare a posizioni ideologiche che hanno seminato tante lacrime e tanto sangue e che hanno portato a due guerre mondiali. Dal Deutschland über alles siamo oggi al ‘make America first again’? E’ una brutta domanda, mi rendo conto, ma l’analogia non può sfuggire. Passando dall’Argentina di Milei, al confessionalismo induista di Modi, per arrivare al preoccupante sdoganamento del nazismo in Germania, i nazionalismi stanno riprendendo piede. Noi fiumani, giuliani, dalmati, ne siamo stati, come popolo, tra le ultime vittime. A noi italiani di Fiume, Pola e Zara, alle nostre associazioni spetta dunque il compito di testimoniare. Le memorie che conserviamo sono un fattore importante della visione di una politica tesa a custodire e valorizzare le identità culturali non chiudendosi, ma aprendosi al mondo, al di là di tutti i confini e nella ricchezza delle diverse culture. Come dice il nome della nostra associazione di profughi fiumani: Fiumani, italiani nel mondo”.

E’ seguito l’intervento di Elio Varutti, che ha sottolineato l’importanza di parlare dei profughi giuliano-dalmati accolti in Toscana. “Gli esuli – ha affermato – in questa regione sono stati accolti in 19 campi profughi. Un’accoglienza che ha radici forti: io personalmente ritrovo nella mia storia familiare nel 1917, quando ci fu la rotta di Caporetto, antenati a Lucca e a Montecatini Terme”.

Varutti ha poi raccontato l’episodio del campo profughi di Laterina, che risale ai primi giorni di scuola del 1949 quando il maestro, un toscano, si ritrova con 60 allievi. “Ricopia nomi e cognomi, tutti con ‘ch’ finale – ha rievocato – . Poi li porta fuori dalla baracca, perché non ha banchi e sedie. Sale a Laterina e, con la colletta dei toscani del Valdarno, compra penne, matite, quaderni per fare scuola ai figli degli esuli. La Toscana ha fatto anche questo, bisogna dirlo: ci sono stati momenti duri, di repulsione, ma c’è stata anche una grande accoglienza”.

Il coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia di Udine ha poi mostrato foto e immagini d’epoca, della vita degli esuli in alcuni campi profughi in Toscana, tra cui quello di Sant’Orsola di Firenze (“dove i box erano divisi da pareti di cartone”) di Laterina, di Migliarino Pisano, di Lucca. E poi immagini delle case popolari, quando “da profughi gli esuli diventarono cittadini”. “Molte foto sono diffuse su Internet – ha spiegato Varutti – e sono un mezzo di comunicazione potente perché vengono viste dagli oltre 70mila esuli giuliano-dalmati oggi sparsi in tutto il mondo”.

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“I vertici istituzionali della nostra Regione con la loro presenza danno il senso del significato e dell’importanza di questa giornata”, dichiara il presidente della Toscana, Eugenio Giani, nel discorso di chiusura della seduta solenne. “Il dramma di 350mila persone scacciate per il solo fatto essere italiani è stato giustamente considerato con legge meritevole di Ricordo in questa giornata. Il dramma delle foibe riguardò tra le cinquemila e le quindicimila vittime, non sapremo mai il numero esatto delle persone gettate nelle cavità carsiche, sia perenne fonte di memoria. ‘Ricordo’ significa tracciare uno dei momenti più drammatici della nostra storia nell’intero ventesimo secolo”, sostiene Giani e richiama “il piroscafo ‘Toscana’, che diventa simbolico: fece staffetta tra Pola e Venezia, portando quasi ventimila persone nell’arco di pochi giorni. Il ‘Toscana’ è un po’ l’immagine della nostra terra”. E, ancora, “il campo profughi di Laterina: come Consiglio regionale siamo stati là più volte, abbiamo preso impegno di realizzare qualcosa di più di una cerimonia, anche se è difficile ricostruire l’idea di museo, ma cercheremo di sviluppare questa iniziativa a perenne ricordo. Poi mi emoziona il cimitero di Trespiano, dove c’è un vero e proprio spazio destinato alla sepoltura di tanti giuliano-dalmati. Quelle terre – dice ancora il presidente della Regione – sono state sempre, nella storia, profondamente italiane. Quei territori hanno vissuto drammaticamente il momento di debolezza determinato da nostre scelte errate. L’Italia riesce a ritrovare la sua strada dopo l’8 settembre, ma è un Paese debole, soprattutto sul fronte orientale”.

Giani valuta come “molto significative le parole pronunciate in questi giorni dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’apertura dell’anno che vede Gorizia e Nova Gorica capitale europea della cultura. Sarà un anno all’insegna del superamento delle barriere, dei muri, della separazione. Oggi possiamo auspicare che in nome dell’Europa si superi quella ferita delle foibe, così profonda. Molto significativo ricordare anche il contributo di tanti esuli giuliano-dalmati che hanno esercitato un ruolo importantissimo anche nella nostra Regione. È necessario – conclude il presidente – trovare il coraggio e la forza di guardare in faccia la pagina dei martiri delle foibe, ricordarla mostrando vicinanza e solidarietà ai loro eredi e ritrovando il senso di appartenenza al sentimento nazionale. La cosa peggiore è cancellare, sottovalutare, non voler ricordare”.

(testo a cura di Riccardo Ferrucci, Angela Feo e Sandro Bartoli)

 

Le dichiarazioni in video

La dichiarazione di Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale

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La dichiarazione di Eugenio Giani, presidente della Regione

 

La dichiarazione di Severino Dianich, docente emerito della facoltà teologica di Firenze

 

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La dichiarazione di Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia di Udine

 

La dichiarazione di Stefano Scaramelli, vicepresidente del Consiglio regionale

 

Conto e carta

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La dichiarazione di Marco Casucci, vicepresidente del Consiglio regionale

 

La dichiarazione di Diego Petrucci, consigliere segretario dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale

 

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