TRENTO. “Per ripensare la montagna serve iniziare a declinarla al plurale, uscire dallo stereotipo di una ricetta unica valida per tutte le montagne”. A dirlo Mauro Varotto, professore ordinario di Geografia all’Università di Padova, componente del Comitato scientifico de L’AltraMontagna con all’attivo collaborazioni con il Club Alpino Italiano, Rete Montagna – Alpine Network, Itla – Alleanza Italiana per i Paesaggi terrazzati e autore di pubblicazioni di successo (La montagna che torna a vivere – Nuova Dimensione, 2013; Montagne del Novecento – Cierre, 2017; Montagne di mezzo. Una nuova geografia – Einaudi 2020). “Nella fattispecie la ricetta dello sviluppo turistico è spesso ancorata a modelli e aspettative piuttosto standardizzati”.
In questi anni si osserva una tendenza, spiccata, all’omologazione delle destinazioni. Dall’après ski alle panchine giganti, dall’animazione al Mercatino di Natale. Sono presenti un po’ ovunque ormai: una rincorsa alla moda. L’offerta è standard perché il modello facilmente replicabile.
“Serve declinare al plurale le formule turistiche, evitando la standardizzazione e semplificazione attorno a un unico modello”, aggiunge Varotto. “Il turismo va pensato insieme alle montagne, non va calato sulla montagna dall’alto, sulla base delle mode e delle aspettative del pubblico”.
Un flusso viene inevitabilmente condizionato da tanti fattori: il meteo, un ponte in più o una festività ben posizionata nel calendario, piste da sci aperte o chiuse, per esempio. La sensazione di troppa gente? Si critica il fenomeno di overtourism. Un week end percepito come un po’ troppo scarico? Si parla di flop. L’equilibrio è delicato e il rischio è di cadere nel metro di valutazione più facile: numeri, numeri e ancora numeri, soprattutto se i segni sono “più”.
“La pianificazione è sempre più strategica per cercare di ridurre il carico di una località e gestire l’affollamento. Si deve calibrare un’offerta e trovare una misura. Certo, il rischio è quello di creare una dimensione d’elite ma è evidente la necessità di un ripensamento del turismo. Se oggi chiedo all’intelligenza artificiale di elaborare l’immagine della montagna, la risposta è idealizzata e standard”.
Nelle settimane di Natale e Capodanno si può stimare che Pinzolo sia passata da 3 mila abitanti a 70 mila persone con tutte le difficoltà del caso sul fronte del traffico, del ricorso alle risorse idriche, alla necessità dello smaltimento rifiuti e così via.
Poi ci sono i lustrini: sono stati segnati i record di primi ingressi con 23 mila sciatori a Madonna di Campiglio e più di 8 mila a Pinzolo. Pioggia di critiche per l’après ski in val Nambino, ma a fronte di tantissima gente. La riflessione è sul limite: fino a che punto è corretto che un’offerta vada ad inseguire la domanda?
“Credo che sia necessaria una nuova educazione alle montagne, che valorizzi specificità e peculiarità. In questo modo si può forse invertire il rapporto: da una montagna al servizio del turista, al turismo al servizio della montagna. La montagna lontana dai flussi turistici è quella montagna che non è adatta o non si arrende alla monocoltura: in questo sta il suo valore, tutto da riscoprire, ma anche da sostenere con politiche adeguate che favoriscano la compresenza di attività e funzioni diverse. Non è facile nell’era dei social e dei like: il processo è molto più faticoso. La legge dell’economia non può essere seguita senza un ragionamento complessivo. Non si può solo seguire il flusso di denaro. L’offerta non può limitarsi a rincorrere la domanda, spesso basata sulla moda del momento. Si può tentare di assecondare in una prima fase per poi cercare di accompagnare il turista verso una maggiore consapevolezza”.
Deviare i flussi, senza però snaturare i luoghi. Come le realtà minori possono diventare protagoniste? Questo è possibile oppure la rottura dell’equilibrio comporta solo aspetti negativi? “Se per protagoniste si intende al centro del palcoscenico e dei riflettori, temo che rischino di venire completamente snaturate, sulla base delle regole economiche attuali. Viviamo in un mondo competitivo che punta alle classifiche, alla continua crescita, al riconoscimento del proprio valore eccezionale (la filosofia Unesco dell’essere sempre “outstanding”). Al netto dei problemi di marginalità e carenza di servizi minimi essenziali, che vanno affrontati con decisione, la vera sfida è quella di riconoscere la propria ‘minorità’ come valore e come vocazione”.
Un cambio di paradigma. “Non occorre fare le cose in grande, per avere successo, basta farle bene”, evidenzia Varotto. “Per il futuro mi auguro che queste realtà minori trovino un loro equilibrio senza rincorrere i modelli dominanti attuali, basati sulla specializzazione monofunzionale e sulla concentrazione produttiva. Sarebbe una vittoria di Pirro. Serve un cambio di passo, che consenta ai territori montani al di fuori dalla baraonda turistica e commerciale attuale di progettare il proprio sviluppo in termini multifunzionali e improntati alla cooperazione. In questo senso il fare squadra e il costruire sinergie è una sfida che le piccole realtà montane devono imparare ad affrontare, superando resistenze e campanilismi che spesso impediscono proprio di mettere in valore, collaborando, la propria specificità“.
Gli effetti della crisi climatica sono sempre più evidenti, la fragilità delle terre alte pure, i servizi latitano. “Bisogna tener conto anche dell’asimmetria demografica, sempre più marcata. Può sembrare un paradosso ma un cambio di rotta non può che arrivare dalla pianura: il turista può essere un motore di sviluppo diverso, se avverte la necessità di una fruizione diversa dei luoghi”, conclude Varotto.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link