Caso Almasri, la scelta di un magistrato e tutti gli errori di Nordio

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“Atto dovuto” o “atto voluto”? Da quando il Procuratore della Repubblica di Roma ha iscritto Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano nel registro degli indagati, l’interrogativo scuote la politica e la stampa e devia l’attenzione dell’opinione pubblica dal problema del tracollo di credibilità internazionale dell’Italia, determinata dall’avere scarcerato e riportato a casa con tutti gli onori un soggetto accusato dalla Corte penale internazionale di crimini brutali e di annientamento di persone. Una platea di accademici, avvocati, magistrati, ricercatori si cimenta con l’interrogativo. Ma il diritto è un’opinione, e quelle sin qui espresse da tutti sono variopinte.

Un’opinione

A queste opinioni aggiungo la mia, senza pretesa che costituisca “il verbo”, così da non essere catechizzato dal Ministro Tajani. Mi riconosco una qualche legittimazione però, per i miei quarant’anni di magistrato – otto da Procuratore e undici da Giudice della Corte penale Internazionale di cui sono anche stato vicepresidente – vissuti lontanissimo dalle “correnti ideologiche” e da ogni pubblica manifestazione pro o contro qualcuno o qualcosa; non posso essere collocato né tra le toghe “rosse” né tra quelle “nere”. Così, mi sono chiesto come mi sarei comportato se mi fossi trovato nella necessità di scegliere. Sarei stato più riflessivo, sfruttando tutto il termine di 15 giorni che la legge lascia al Procuratore per trasmettere gli atti al Tribunale dei Ministri, tanto più in considerazione del clima politico già estremamente conflittuale.

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I 18 giorni di Nordio

Mentre rilevo che l’approfondimento delle questioni fattuali e giuridiche ha fatto difetto a tutti i protagonisti di questa vicenda che con tempismo sospetto hanno operato per salvare un presunto criminale, con l’unica eccezione del Ministro della Giustizia che, informato il 18 gennaio dell’emissione del mandato di arresto e il 19 gennaio della sua avvenuta esecuzione, ha riflettuto in un silenzio assordante per diciotto giorni prima di andare in Parlamento, ove, anziché scusarsi per la drammatica perdita di credibilità internazionale, ha dimostrato scarsa conoscenza delle norme, degli obblighi che da esse derivano e dei meccanismi della Corte Penale Internazionale, cercando di addossare tutta la responsabilità agli unici due organismi che non ne hanno: la CPI e la Digos di Torino. Il Ministro, da magistrato, ha anche censurato il mandato di arresto dichiarandone la nullità e “minacciando” persino di utilizzare la sua autorità per chiedere spiegazioni alla Corte, non sapendo che è invece facoltà della Corte chiederne a lui e all’Italia per la violazione degli obblighi di cui all’art. 86 dello Statuto di Roma. Un’esibizione, insomma, non so se più arrogante o imbarazzante.

I paletti

Avrei, come dicevo, riflettuto frigido pacatoque animo sui paletti fissati dalla legge e sugli spazi di discrezionalità decisionali lasciati al Procuratore. I paletti, che disegnano per differenza anche gli spazi discrezionali, sono indubbiamente (i) il termine di quindici giorni per trasmettere gli atti, (ii) il divieto di svolgere indagini in quel lasso di tempo e (iii) l’obbligo di immediata informazione. E se in quei 15 giorni concessi dalla legge, il Procuratore non può indagare, egli può attingere da fonti aperte informazioni che completino una denuncia che, per quanto se ne sa, è assai scarna; quei 15 giorni, insomma, gli possono servire per valutare se iscrivere a mod. 21 (noti), a mod. 44 (ignoti) o a modello 45 (fatti non costituenti reato). La trasmissione al Tribunale dei Ministri, del resto, deve essere comunicata non già agli indagati, nel qual caso l’iscrizione a modello 21 sarebbe inevitabile, bensì “ai soggetti interessati”.

Questione di tempo

Mi sarei poi interrogato su come avrei trattato la denuncia se, anziché provenire da una fonte genericamente qualificata – un avvocato, già sottosegretario al Ministro della Giustizia – avesse recato la firma del classico Nigerio Negidio, titolare del Bar Sport di una città qualsiasi. Infine, mi sarei chiesto se, in assenza di denuncia, avrei agito motu proprio, trattandosi di reati perseguibili d’ufficio. Dire oggi come avrei deciso sarebbe una facile speculazione. Certo è che avrei esaurito tutto il tempo a mia disposizione sviscerando ogni possibile profilo. E, tra quelli sostanziali, la fondatezza dell’ipotesi del favoreggiamento personale, oggi specificamente riferita pure alle investigazioni della Corte penale internazionale, valutando anche l’iscrizione dei magistrati che hanno reso possibili le condotte dei Ministri.

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