Alla Camera il dibattito sulla mozione M5s. Si vota in questi giorni. La destra costretta a fare quadrato. Ma per l’opposizione la resistenza di Santanché è una vera manna
Per Giorgia Meloni quella che si è appena chiusa è stata la settimana di passione per il caso Almasri, con il governo in confusione e le opposizioni in trance agonistica; quella che si apre domani sarà la settimana di irritazione per il caso Santanchè.
Lunedì plana nell’aula di Montecitorio la mozione di sfiducia targata M5s contro la ministra del Turismo. È la terza dall’inizio della legislatura, un record. La “Santa” finirà in gloria anche stavolta, come le due precedenti, in cui era invitata a dimettersi perché indagata e perché aveva mentito al parlamento sulle indagini a suo carico: come la prima al Senato (26 luglio 2023, 111 no a 67 sì) e come la seconda alla Camera (4 aprile 2024, 213 no, 121 sì). Stavolta la ministra è rinviata a giudizio per falso in bilancio; e il 25 marzo i giudici milanesi potrebbero rinviarla per l’odiosissimo reato di truffa aggravata ai danni dell’Inps, i cui soldi incamerava facendo comunque lavorare i dipendenti della sua società Visibilia. E qui sta il busillis.
La maggioranza, sempre più insofferente alla ministra, comunque le farà quadrato intorno. Ma in attesa delle sue dimissioni «spintanee» nel caso di altro rinvio.
Allora a che serve la mozione di sfiducia che rischia di ricompattare, nonostante tutto, la destra intorno alla ministra benché ormai molesta? «Serve, serve», ammettono dal Pd. Partito che pure all’inizio non era entusiasta di questa nuova conta a perdere. Anche perché i Cinque stelle non hanno concordato la mozione con nessuno, e hanno messo le altre minoranze di fronte al fatto compiuto.
Eppure alla fine, questa mozione cade in un momento magico per le opposizioni: quello della mobilitazione permanente contro il governo, del cannoneggiamento continuo contro Meloni che «scappa» dalle camere per non mettere la faccia sul caso Almasri. Ora la premier si terrà alla larga anche dalla vicenda Santanché, che già l’ha irritata abbastanza. Quindi per le opposizioni il dibattito generale di lunedì, e poi il voto che sarà calendarizzato in settimana, sarà l’occasione per trattenere la premier sulla graticola.
A destra l’insofferenza ormai dilaga. Per i Fratelli d’Italia ormai la “Santa” è indifendibile. Da quando è uscito l’audio del Santa-Pensiero (inutilmente e rovinosamente smentito dalla ministra) a proposito del suo partito: un classico fascistissimo «me ne frego» che ha messo spalle al muro anche il suo difensore di sempre Ignazio La Russa, padre non possiamo dire nobile di Fdi, a cui Meloni stessa si è affidata per convincere alle dimissioni la sua protetta.
La Russa è stato avvocato della Santa, ed è marito di Laura De Cicco, socia del fidanzato-socio di lei, Dimitri Kunz D’Asburgo (i due hanno hanno comprato e rivenduto un villone realizzando una plusvalenza di un milione in soli 44 minuti). Qualche giorno fa il presidente del Senato ha ammesso che l’amica sta «riflettendo» sulle dimissioni, in caso di rinvio a giudizio. All’ultima direzione del partito, il 25 gennaio a Roma, Santanchè è stata l’unico ministro a non salire sul palco: ufficialmente perché aveva un treno per Milano, ufficiosamente per evitare di testare il freddo della platea.
Il giorno in cui si voterà la fiducia la ministra sarà in aula, ha fatto sapere. E questa è un’altra ragione di malumore per Meloni. Che sa che le opposizioni non aspettano altro che le sue consuete intemperanze per attaccare lei, Giorgia, «che non è stata in grado di far dimettere la sua ministra», ha già detto Elly Schlein in aula.
Le due donne sono due antropologie politiche diverse: una piccoletta bionda di Garbatella, l’altra statuaria mora e ingioiellata; una non disinvoltissima nei suoi nuovi tailleur Armani, l’altra sgargiante e aggressive e munita di una invidiabile collezione di Birkin di Hermes. Entrambe hanno scritto un libro biografico: una si è descritta come una «underdog» di borgata, l’altra ha raccontato che da bambina lo psicologo parlò con i suoi genitori e li avvertì: «Avete una bambina speciale: ha un’intelligenza superiore alla media». Ma è la politica che conta: Meloni ha scommesso sulla Santa socia di Briatore per sbarcare nella Milano dell’imprenditoria in cui Fdi, vaso di coccio fra Forza Italia e Lega, tuttora fatica a darsi un tono.
L’intesa cordiale però fra le due è finita, e ora Meloni deve valutare se la danneggia di più una Santa ex amica fuori dal governo (ammesso che poi davvero si dimetta), con annesse tensioni da rimpasto; o dentro il governo, una manna per le opposizioni.
Che infatti si preparano alla nuova settimana di battaglia. «Una maggioranza che continua a proteggere una ministra indagata per truffa sui fondi Covid e rinviata a giudizio per falso in bilancio, si assume una responsabilità politica davanti al Paese, agli imprenditori e ai lavoratori onesti», attacca Vittoria Baldino, M5s, e pazienza se la destra farà quadrato al voto: «Non ci preoccupiamo di ricompattarli, la cifra morale di questo governo ormai è nota a tutti. Vogliamo preservare il decoro morale e l’immagine delle istituzioni, minata da ministri impresentabili e indegni di rappresentare il Paese. È nostro dovere chiedere che la ministra Santanchè si dimetta.
Lei, che chiese le dimissioni di altri ministri per vicende molto meno gravi». Diciotto volte, secondo le statistiche del parlamento. Stavolta dunque la bocciatura della mozione non sarà una sconfitta, anzi: una Santanché che resiste è una garanzia di fastidi per Meloni.
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