NIQAB IN CLASSE/ Una finta inclusione che disgrega la società e “aiuta” il fondamentalismo

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La scelta fatta dall’Istituto “Sandro Pertini” di Monfalcone di tollerare la copertura totale del viso con il niqāb da parte delle ragazze di religione islamica, aggirando la legge 152 del 1975 attraverso l’accertamento dell’identità realizzato da un’insegnante, all’ingresso della scuola e in una stanza separata, genera dal punto di vista essenzialmente sociologico almeno due problemi: il primo concerne la natura stessa della scuola, il secondo riguarda le famiglie degli immigrati di religione islamica.



La scuola, è bene ricordarlo, è un’istituzione, cioè un’agenzia produttrice di “agire normativo”. Vi si apprende in primo luogo la conoscenza di un patrimonio linguistico e conoscitivo dal quale si esce dotati di quel minimo culturale che consente di abitare nel mondo esterno senza essere marginali, né ancor meno emarginati.

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Ma soprattutto è anche il luogo dove si instaurano e vengono attivate le capacità relazionali essenziali: quelle che consentono il rispetto delle regole, tra le quali ci sono l’attenzione agli insegnanti, ai contenuti di ciò che spiegano, nonché allo sviluppo delle relazioni con i propri compagni.

La scuola, pertanto, è un ambiente morale essenziale; il nucleo vitale nel quale si apprendono contenuti e princìpi, acquisizioni culturali e regole di comportamento. Non è la periferia del nostro sistema sociale, ma la parte più delicata, il suo centro.

Si tratta così di apprendere e fare pratica di quel segmento del vivere in una comunità politica che costituisce il percorso principale di ingresso alla collettività nazionale. Un percorso che nell’Italia contemporanea, decennio dopo decennio, si rivela essere tanto più prezioso quanto più si estendono le disomogeneità e quella collettività appare sempre più lontana dal costituire un universo unitario.



La scuola è tanto più essenziale quanto più la società si disarticola, gli ambienti morali si disciolgono e la convivenza scade nell’indifferenza. In altri termini: più la società si disarticola e si disperde in una collettività a “maglie larghe”, più il percorso scolastico, conoscitivo e relazionale al tempo stesso, si rivela essenziale.

Pertanto, piaccia o meno, la scuola è il cuore del Paese. Ciò che si costruisce nella scuola, così come ciò che non vi si edifica né vi si realizza, hanno conseguenze decisive sull’intera architettura sociale. Un’ottima scuola è premessa indispensabile allo sviluppo, morale e civile, dell’intera collettività nazionale; così come una pessima scuola segnala il degrado del Paese e segna la fine di un’epoca.

Ciò fa sì che non si possano forzare leggi e parametri, interpretare i regolamenti in vigore a seconda della sensibilità politico-morale del ristretto gruppo che occupa la segreteria e costituisce il “cerchio magico” del governo di ogni singolo istituto. Proprio per questo non è nella disponibilità del personale insegnante riarticolare contenuti e princìpi, facendo del proprio istituto un’isola a sé stante.

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Non è nella disponibilità del personale insegnante decidere ad esempio di festeggiare il Ramadan chiudendo la scuola, creando così un disagio non indifferente per i genitori che devono comunque andare al lavoro.

Così come non è nella disponibilità del personale insegnante, come è accaduto al “Pertini”, scegliere di accettare adolescenti con il niqāb, in deroga ad una norma che, oltre ad essere legge dello Stato, costituisce una delle più elementari regole della nostra vita collettiva.

Ma c’è di peggio: la scelta della scuola di Monfalcone di consentire la copertura del viso alle adolescenti di religione islamica, consente di cogliere un secondo problema che, se possibile, è ancora più grave.

Per queste ragazze l’adolescenza è spesso l’inizio di un vero e proprio delirio fondamentalista all’interno delle loro famiglie. Il velo non è che il punto di partenza di un regime di segregazione che le porterà ad essere sempre più separate dal mondo ordinario dei propri coetanei.

Si apre per loro un periodo oscuro, fatto di deliranti controlli a vista da parte dei fratelli maschi (delegati in questo dal padre) ma anche da parte dei propri parenti, così come dagli altri correligionari. L’universo degli immigrati, almeno per queste ragazze, si chiude sulla loro testa, degenerando in un pericoloso circuito dal quale hanno inizio una serie infinita di vessazioni.

Il fatto che tutto l’islam non riconosca simili vincoli ed esistano famiglie per le quali l’obbligo del velo non è praticato, come la presenza di un islam moderato e assolutamente meritevole della massima considerazione, non risolvono il problema, anzi lo aggravano.

Portare infatti anche nella scuola questo segno di segregazione costituito dal niqāb, non vuol dire solo registrare il fallimento clamoroso degli obiettivi di integrazione.

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In ballo c’è anche l’aiutare indirettamente – e irresponsabilmente – le componenti più radicali dell’islamismo a conquistare credito all’interno della stessa comunità di immigrati. Indossando la livrea dei garanti autentici della fede, questi vedono nella legittimazione del niqāb da parte della scuola italiana un netto trionfo della loro dimensione fondamentalista, imponendosi così trionfalmente agli occhi dei loro correligionari.

Dietro la retorica dell’inclusione si aprono così le porte ad un fondamentalismo radicale che sbandiererà l’accoglienza delle proprie adolescenti velate, come una vittoria identitaria, facendo dei musulmani moderati – che peraltro si ritengono altrettanto autentici seguaci di Allah – una frangia sempre più marginale e screditata.

L’autogol delle scuole di Monfalcone è, a questo punto, spettacolare. Dopo avere emarginato la collettività italiana imponendole un giorno di chiusura in piena settimana lavorativa in coincidenza con la festa del Ramadan, adesso emargina l’Islam moderato, consentendo ai fondamentalisti del niqāb di ergersi a nuova leadership culturale all’interno dell’universo degli immigrati.

Restringere le proprie leggi limitandone l’applicazione, o obbligare all’osservanza di altri calendari sono le caratteristiche di quell’integrazione per sottrazione o, per dirla con Luca Ricolfi, di quell’inclusione che esclude.

Si spiana così la strada all’islam più intollerante e supponente, indebolendo il fronte moderato e conciliante. Per includere il primo si mette ai margini il secondo. È l’ennesima manifestazione di quel “follemente scorretto” al quale ci stiamo mestamente abituando.

 

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