Una esortazione a «ridurre le distanze che separano da Dio e dal fratello», per «trovare Gesù nell’abbraccio» di ogni bisognoso: è il cuore del messaggio inviato da Papa Francesco ai partecipanti al Congresso nazionale delle vocazioni dal titolo “Per chi sono io? Assemblea dei chiamati alla missione” che si svolge in Spagna, nella capitale Madrid, dal 7 al 9 febbraio. Pubblichiamo una nostra traduzione italiana del testo pontificio reso noto nel pomeriggio di ieri, venerdì 7, in apertura dei lavori.
Cari fratelli e sorelle,
Desidero unirmi alla celebrazione di questo Congresso Nazionale delle Vocazioni che avete voluto intitolare: “Per chi sono io? Assemblea dei chiamati alla missione”, ringraziando tutti coloro che lavorano per le vocazioni nell’amata terra di Spagna. In primo luogo, quanti sono impegnati in questo compito inviati dai loro vescovi o superiori, sia che lavorino nei centri di formazioni sia semplicemente che accompagnino i giovani. Anche quanti, con il loro esempio di vita, rendono visibile e — oserei dire — contagioso il dedicarsi con generosità e fiducia al progetto che Dio ha per ognuno di noi. Senza dimenticare qui quelli che, con la loro preghiera e il loro sacrificio, ottengono da Dio abbondanti grazie affinché noi pastori e gregge, maestri e discepoli, ci conformiamo sempre più al cuore di Cristo.
Mi fa piacere che il motto del Congresso riprenda le parole dell’Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit. «Tante volte — ci dice il documento — nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”»; ma non arriviamo alla domanda fondamentale: “Per chi sono io?”. «Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri» (n. 286).
Nel rileggere queste parole mi è tornata in mente la scena del giovane ricco che chiede al Signore che cosa deve fare per ottenere la vita eterna. Nella sua risposta il Signore ci fa vedere, con una dolce pedagogia, che la bontà alla quale aspiriamo non si ottiene adempiendo ai requisiti e raggiungendo obiettivi e, sebbene abbiamo cercato di realizzare tutto questa fin dalla nostra giovinezza, ci mancherà sempre qualcosa di molto semplice, il dono totale di noi stessi, il seguire Gesù nella prova dell’amore più grande.
È ciò che Gesù chiede al giovane ricco: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi» (Mc 10, 21). Sembrerebbe che una simile richiesta si riferisca solo a un determinato tipo di vocazione specifica, solo a quanti si sentono chiamati ad abbracciare la radicalità della povertà evangelica. Ma non è così, possiamo ascoltarla rivolta a ognuno di noi. Siamo tutti amministratori dei doni della grazia e della natura che il Signore ci ha regalato, e i nostri talenti vanno messi in banca per trarne interessi, i nostri beni vanno venduti di modo che il frutto giunga agli altri.
Pensiamo alla DANA che ha colpito diverse regioni della Spagna a fine ottobre. Una situazione che c’interpella profondamente e che mette in evidenza l’idea del “per chi sono io”. Quante testimonianze di coraggio, di solidarietà, di vedere che in quel contesto ciò che ho, ciò che sono, ha uno scopo concreto: gli altri. E quando non è così, si osserva chiaramente l’amarezza, il clamore della terra e di Dio che ci chiedono: “Non sei tu il responsabile di tuo fratello?” (cfr. Gn 4, 8-11). Al contrario, tutto ciò che siamo stati capaci di dare, lo ritroveremo come gioielli preziosi incastonati nelle viscere di misericordia del suo divino Cuore (cfr. San Giovanni Battista della Concezione, Opere iii, 368).
È strano che il giovane ricco del Vangelo non si chieda a chi lo invia Gesù, non si preoccupi di che cosa e come farà quando sarà con lui; si preoccupa dei suoi beni, di ciò che ha, di ciò che ha fatto, di ciò che intende ottenere, sebbene sembri che stia cercando la vita eterna. Tutto il suo mondo finisce in lui e questo non lo soddisfa, anzi, malgrado abbia tanto, si allontana rattristato perché non è capace di compiere il passo della donazione. Non ha saputo investire nell’affare essenziale al quale Dio lo ha invitato. Quanto è diversa la testimonianza di tutti quei giovani che, come abbiamo visto nella catastrofe della DANA, nell’accoglienza dei migranti o nell’eruzione del vulcano di La Palma, sono stati i primi a mettersi al lavoro.
Seguiamo, nel discernimento della nostra vocazione, quell’esempio, per cogliere il valore dei beni spirituali o materiali che siamo chiamati a gestire. Come quell’amministratore disonesto della parabola riportata da san Luca non li “sperperiamo”, usandoli per allontanare gli altri da noi e da Dio, ma cerchiamo di poter dire che non abbiamo debito con nessuno, se non quello dell’amore (cfr. Rm 13, 8). Come fa il personaggio della parabola: “Quanto devi non a me, ma al mio Padrone? — Prendi la tua ricevuta” (cfr. Lc 16, 6), che questi beni siano per unire e non per dividere.
Non pensiamo che ciò che abbiamo non sia sufficiente, neanche gli apostoli avevano “oro o argento” ma, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, cercarono di percepire il bisogno del povero paralitico del tempio (cfr. At 3, 1-8), persino al di là delle sue aspettative. Non gli danno soldi, ma lo invitano a “guardarli”, a vedere l’esempio della loro povertà e, una volta attirata la sua attenzione, gli chiedono di alzarsi dalla sua prostrazione. Pietro lo dice chiaramente a tutti: non sono stati loro, ma Gesù, a compiere il miracolo.
In un altro contesto, è Filippo a incontrare un ministro del tesoro regio che, nonostante fosse venuto al tempio ad adorare il vero Dio e fosse esperto delle Scritture, non era capace di comprendere il mistero della croce che Isaia narra nel racconto del servo di Jahvè. Come nel caso di Pietro, Filippo, mosso dallo Spirito, riesce a vedere il bisogno dell’altro e, al di là delle sue aspettative, ad annunciargli Gesù, nella Parola e nei sacramenti, rispondendo a una povertà che non è materiale ma spirituale (cfr. At 8, 27-35).
Fratelli, in questo Congresso delle Vocazioni chiediamo uno sguardo capace di percepire il bisogno del fratello, non in astratto, ma nel concreto di uno sguardo che si fissa su di noi come quelli del paralitico del tempio. In ufficio, in famiglia, nell’apostolato, nel servizio, portate Dio ovunque Lui vi invii, è questa la nostra vocazione. Con la domanda “per chi sono io? entriamo nel mistero di Dio e del suo progetto per ognuno di noi, ma non abbiate paura e abbandonatevi alla volontà divina, lo Spirito vi sorprenderà a ogni passo, facendovi scendere dal treno della vita, come accadde a santa Teresa di Calcutta, per ridurre le distanze che vi separano da Dio e dal fratello, per cambiare i vostri percorsi e trovare Gesù nell’abbraccio di colui al quale siete inviati.
Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi costudisca. E non dimenticatevi di pregare per me.
Fraternamente,
Roma, San Giovanni in Laterano, 7 gennaio 2025
Francesco
I lavori a Madrid
Tremila persone da 70 diocesi spagnole, accompagnate dai loro vescovi. Cinquantaquattro le associazioni laicali e i movimenti rappresentati, insieme a 120 congregazioni e 250 diverse realtà impegnate nelle missioni. E circa un terzo dei partecipanti che ha meno di 35 anni. Con il Congresso nazionale delle vocazioni che si conclude a Madrid domani, 9 febbraio, trova compimento il Piano pastorale dei vescovi spagnoli avviato nel 2021 per consolidare servizi diocesani di promozione dei percorsi vocazionali.
«Per chi sono io? Assemblea dei chiamati alla missione», l’interrogativo scelto come tema della tre giorni, riprende quello posto dal Pontefice nell’esortazione apostolica Christus vivit (n. 286). Ad aprire il Congresso sono stati i saluti dell’arcivescovo presidente della Conferenza episcopale spagnola Luis Argüello, del cardinale arcivescovo di Madrid José Cobo, dell’arcivescovo portoghese José Manuel García Cordeiro, responsabile delle vocazioni e della gioventù del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa, e del nunzio apostolico in Spagna, arcivescovo Bernardito C. Auza. Nella prima giornata di lavori, ieri, è stato presentato il documento quadro iniziale ed è stata celebrata una veglia di preghiera presieduta dall’arcivescovo Carlos Escribano, presidente della Commissione episcopale per i laici, la famiglia e la vita. La giornata odierna è dedicata ai quattro itinerari proposti — Parola, Comunità, Soggetto e Missione — con circa 60 laboratori ciascuno. Domani, prima della messa conclusiva, verrà presentato il documento finale.
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