La gioia ieri era trasversale, a Ramallah, Khan Younis, Tel Aviv. Come nei quattro scambi precedenti tra Israele e Hamas, dopo l’entrata in vigore della tregua il 19 gennaio scorso, si è festeggiato il ritorno in libertà di 186 persone: 183 prigionieri politici palestinesi e tre israeliani, tutti uomini.
UNA FESTA necessaria, ma amara: i volti, da soli, raccontano le privazioni subite, a Tel Aviv come a Khan Younis. Qui, all’ospedale Europeo, sono arrivati 111 palestinesi a bordo di due autobus. Tutti catturati dopo il 7 ottobre 2023, senza accuse.
Come Hussein Alhaj Hassan, operatore sanitario arrestato insieme ad altre decine di persone in ospedale. Ieri ha riabbracciato la madre, poi ha mostrato le cicatrici sul suo corpo e i segni dei pestaggi: «Il mio problema era di lavorare per il ministero della sanità – ha raccontato – Un anno e un giorno di botte e torture a Ofer. Ci bendavano e ci picchiavano durante gli interrogatori. Nessuna cura, né vestiti invernali. Sembrava di stare a Guantanamo».
Yasser Abu Azzoum pesava 120 chili quando è stato arrestato, ora ne pesa 80. Aspetta il ritorno del figlio Mohammed, è stato preso anche lui il giorno in cui i soldati israeliani sono entrati nella loro casa e hanno portato via gli uomini. A Ramallah scene simili: qui sono stati condotti i 42 prigionieri di Cisgiordania e Gerusalemme est (altri sette, ergastolani, saranno deportati, insieme ai 20 condannati a sentenze lunghe e originari di Gaza).
Sette di quelli accolti a Ramallah da una folla in festa sono stati condotti subito in ospedale: le loro condizioni, ha spiegato la Mezzaluna rossa, richiedevano il ricovero. Le case di famiglia di alcuni dei rilasciati sono state prese di mira dall’esercito, devastazione e aggressioni per impedire le celebrazioni.
A Tel Aviv intanto le piazze seguivano in diretta la liberazione di Eli Sharabi, 52 anni, e Ohad Ben Ami, 56, entrambi catturati nel kibbutz di Beeri, e Or Levy, 34, rapito al Nova Festival. Sharabi, ha raccontato la madre, non sa ancora che la moglie e le due figlie sono state uccise il 7 ottobre 2023.
Hamas li ha consegnati alla Croce Rossa a Deir al-Balah, in condizioni molto peggiori dei precedenti ostaggi: i volti e i corpi smagriti hanno provocato sdegno e rabbia tra gli israeliani. La Croce Rossa ha chiesto che i prossimi rilasci avvengano in privato, a tutela della dignità.
LE OPPOSIZIONI, con Yair Lapid, hanno accusato il premier Netanyahu di aver ritardato l’accordo nonostante sapesse che la prigionia è drasticamente peggiorata con l’avanzare dell’offensiva. Lo stesso hanno fatto le famiglie degli ostaggi che in una lettera hanno implorato di proseguire con il dialogo sulla seconda fase della tregua. In risposta Netanyahu ha definito le immagini degli ostaggi «scioccanti» e minacciato Hamas di conseguenze.
Nel pomeriggio le agenzie stampa hanno indicato in una riduzione degli aiuti umanitari per Gaza la possibile vendetta. Di nuovo, una punizione collettiva. La Striscia di tempo a disposizione ne ha sempre meno. I camion in entrata sono inferiori al previsto. Mancano le tende, mancano cibo e medicine.
Ieri è stato aggiornato il bilancio: 26 morti in più, di cui quattro uccisi dall’esercito israeliano nelle ultime 48 ore e 22 corpi recuperati dalle macerie. Dall’inizio della tregua, sono 572 i «nuovi» morti, per un totale accertato che ha sfondato quota 48mila, con almeno altri 14mila dispersi: si parla ormai di almeno 62mila palestinesi uccisi in 15 mesi.
IL DIALOGO per la tregua sembra proseguire, nonostante i chiari tentativi (Trump) di farlo implodere. Ieri uno dei leader di Hamas, Basem Naim, ha detto all’Afp che il gruppo non ha intenzione di riprendere la guerra ma che «la mancanza di impegno di Israele mette in pericolo l’intesa», con ritardi nell’ingresso degli aiuti e nuove uccisioni.
Dall’altra parte, se ieri il team negoziale israeliano era dato in partenza per Doha, fonti governative hanno detto ad Haaretz che Netanyahu ha aggiunto clausole: il ritiro avverrà solo se i leader di Hamas lasceranno Gaza, o l’offensiva riprenderà. Secondo le fonti, Netanyahu avrebbe in mano due via libera: quello ormai scaduto di Biden prima di lasciare la Casa bianca e quello indispensabile di Trump.
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