Sono 1.500 chilometri di linea ferroviaria, un disastro ecologico annunciato per un’infrastruttura turistica per nulla utile agli abitanti e agli indigeni. Ma ora un tribunale blocca parte della linea secondo il principio «in dubio pro natura», ovvero «nel dubbio, a favore della natura»
È arrivata una piccola ma importante vittoria per le comunità indigene che da anni si battono contro la costruzione di 1.500 chilometri di ferrovia a sud-est del Messico. Un disastro ecologico per un’infrastruttura turistica, in alcun modo utile agli abitanti.
Il 27 gennaio il tribunale collegiale del lavoro e delle questioni amministrative di Mérida, capitale dello Yucatàn, ha sospeso i lavori su due binari, stabilendo che le autorizzazioni ottenute e la modifica della destinazione d’uso del suolo su cui dovranno passare le linee 5 e 7 del Tren Maya non garantiscono una sufficiente protezione della natura.
La storia
Siamo sul Golfo del Messico, al confine meridionale del paese. Da tempo qui comunità indigene, contadine, urbane e costiere, assieme a collettivi di attivisti come SOS Cénotes, si sono alleate nella lotta contro la costruzione del Tren Maya.
Si tratta di una ferrovia di 1.500 chilometri, considerata come progetto di sviluppo economico e pensata per collegare le principali aree turistiche di cinque stati (Tabasco, Chiapas, Campeche, Yucatan e Quintana Roo) attraverso territori indigeni e preziosissime foreste tropicali.
Buona parte del terreno su cui passano i binari è suolo carsico, estremamente friabile, dunque pericolosissimo a livello di impatto ambientale e anche per chi viaggerà o lavorerà su quei treni, come spiega a Domani Miriam Moreno Sanchez di SOS Cénotes.
Il nome
Già il nome, Tren Maya, è una triste beffa, perché la sua costruzione è costata moltissimo in termini di terre indigene espropriate, comunità sfollate e ovviamente disboscamenti, biodiversità compromessa, ecosistemi profondamente danneggianti. Sono state inoltre frammentate 23 aree naturali protette e due riserve della biosfera considerate patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
La costruzione e la gestione, come se tutto ciò non bastasse, sono in mano all’esercito messicano. Un progetto enorme, da 28 miliardi di euro, che non risponde in alcun modo alle esigenze reali dei messicani, pendolari in primis, ma si propone di portare grandi quanti tà di turisti in territori già di per sé vulnerabili, abitati da comunità altrettanto vulnerabili e ampiamente inascoltate anche dai governo di sinistra di Lòpez Obrador e ora Claudia Sheinbaum.
La lotta
La ferrovia è in gran parte terminata e il primo tratto è stato inaugurato nel dicembre del 2023. Mancano però ancora alcuni binari, saranno 7 in totale. Ed è su quelli ancora da costruire che resta un margine di lotta. Con un’ingiunzione presentata nel luglio del 2020, le avvocate dell’associazione di difesa territoriale legale TerraVida – Territorios Diversos para la Vida – sono riuscite ad ottenere una sospensione giudiziaria della costruzione delle linee 5 Nord e 5 Sud, che vanno da Cancún a Playa del Carmen a Nord e da Playa del Carmen a Tulum a Sud, e della numero 7, che collega Escárcega a Chetumal.
La giustizia
L’autorità giudiziaria ha stabilito che non sono stati rispettati i principi ambientali necessari per garantire il diritto a un ambiente sano, stabilito dal Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni unite. Secondo i criteri della Suprema Corte de Justicia de la Nación (SCJN), le grandi opere devono rispettare principi di prevenzione e precauzione e soprattutto un principio che dovrebbe entrare in tutte le legislature, normative, costituzioni: “in dubio pro natura”. Nel dubbio, a favore della natura.
È come il nostro “in dubio, pro reo”. Insomma, se le perizie tecniche lasciano margini di incertezza relativamente all’opportunità di costruire oppure no il Tren Maya (ma varrebbe lo stesso per un ponte de Messina e forse anche per progetti di estrazione di combustibili o minerali, o di disboscamento una certa area), bisogna propendere per la scelta più a favore della natura.
Per questo, il tribunale di Merida ha ritenuto le autorizzazioni ricevute non fossero sufficienti. Per quanto riguarda la linea 5 si è stabilito che le dichiarazioni relative all’impatto ambientale rispettassero solo il principio di precauzione, ma non gli altri. Dovranno quindi essere eseguiti studi geologici, geoidrologici e geofisici i cui risultati dovranno essere resi pubblici e valutati dall’autorità ambientale.
Per quanto riguarda la linea 7, i cui lavori di fatto sono già iniziati, le autorizzazioni erano state rilasciate con stringenti condizioni a oggi non rispettate. Si imponevano infatti controlli tecnico-economici e soprattutto due programmi obbligatori: uno di salvataggio e ricollocazione della flora e della fauna selvatica e l’altro per la prevenzione, la mitigazione e la gestione delle emergenze ambientali e la conservazione del paesaggio carsico. I lavori non riprenderanno fin quando le autorità responsabili del progetto non potranno dimostrare davanti al tribunale di aver rispettato queste condizioni. Il progetto in realtà ha già raggiunto una fase di esecuzione piuttosto avanzata e le associazioni coinvolte si domandano se un meccanismo di protezione così lento sia realmente efficace.
«È preoccupante che il tribunale collegiale continui a dare priorità a fattori quali la crescita economica, la spesa pubblica e il bilancio rispetto ai rischi significativi per gli ecosistemi e le risorse naturali coinvolti, come fattori per determinare la portata della sospensione. Questo atteggiamento riflette una visione riduzionista che sottovaluta l’importanza della conservazione dell’ambiente e della protezione delle risorse naturali che sostengono la vita», scrivono le avvocate Viridiana Maldonado Galindo e Gabriela Carreón Lee di TerraVida.
«Purtroppo questa sentenza non vuol dire che fermeranno i lavori e capiranno che il Tren Maya è un progetto nocivo per l’ambiente e per i diritti umani. Però è una risoluzione importante. Intanto perché si applica il principio “in dubio pro natura”. E soprattutto perché danno finalmente ragione alle comunità della regione», spiega Miriam Moreno Sanchez.
E aggiunge che in questo modo, quando succederà qualcosa di grave, «e succederà, perché il terreno è carsico, non riuscirà a sopportare il peso di una ferrovia così imponente: lo abbiamo detto in tutti i modi», chi ha voluto portare avanti in ogni caso il progetto sarà tenuto a riparare il danno, per quanto possibile.
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