il difensore civico dà ragione ad Italia Nostra purtroppo a cose fatte

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difficile da pignorare

 


La sconcertante vicenda dei capanni balneari storici ravennati procede con l’unico obiettivo certo: il loro abbattimento. Nessun valore storico, paesaggistico, testimoniale è stato ufficialmente confermato da Soprintendenza o dal Comune stesso, e i capanni, nonostante siano presenti da quasi 100 anni sul litorale ravennate, si configurano nulla più che manufatti piazzati abusivamente in riva al mare, e quindi da demolire.

 

Un anno fa, senza che fosse data alcuna spiegazione, giunse l’ordinanza di abbattimento per tutti i 74 capanni, inattuabile per il periodo sbagliato (riproduzione avifauna) e per una serie di prescrizioni ignorate (sicurezza del cantiere, smaltimento materiali, ecc.). Tra le proteste ed un ricorso, anziché riconoscere il valore storico e culturale dei capanni utilizzando i vincoli paesaggistici già esistenti, la loro funzione di presidio delle dune (molte delle quali esistenti ed in crescita proprio per la presenza diffusa queste concessioni puntiformi), anche in vista dell’applicazione incombente della Direttiva Bolkestein, anziché riconoscerne la peculiare unicità delle poche decine di capanni giunti ai giorni nostri, e per questi motivi sottrarli alle usuali leggi che regolano il demanio pubblico, si è fatto di tutto per “regolarizzare” l’ordinanza evidentemente lacunosa e poter procedere comunque agli abbattimenti. Su questo, lo spettro del concomitante “Parco Marittimo”, con cui cozzerebbero almeno 5 capanni.

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Avendo tirato in ballo questioni ambientali mai nominate in precedenza (tramite l’ormai famosa Valutazione di Incidenza Ambientale – VincA), i capanni, che sorgono in ambiti già fortemente antropizzati ed ora transitati in tutte le direzioni, anche calpestando le dune, tramite le passerelle a raso prive di parapetti dal “Parco Marittimo”, sono stati individuati come “colpevoli” di danni ambientali non trascurabili all’ambiente costiero ravennate. Eppure, le premesse della Valutazione sono chiare: “I capanni, infatti, sono parte integrante del paesaggio locale da molti anni e la loro presenza è essenziale per la preservazione delle dune, poiché contribuiscono alla loro difesa e manutenzione” (pg. 12 dello Studio di Incidenza). Così, anziché eventualmente sanare con prescrizioni e facili accorgimenti qualche possibile piccolo conflitto ambientale, si è concluso che tutti i capanni, tranne 4, sono da abbattere. Per la precisione, i termini gentilmente usati sono “delocalizzare” (23 capanni) e “spostare in avanti di 10 metri” (24 capanni), quando chiunque intende che, per la quasi totalità dei casi, lo “spostamento” di traduce nella demolizione dei vecchi capanni lignei, e la delocalizzazione, che riguarderà la gran parte dei capanni a più alto valore paesaggistico, è ovviamente una distruzione degli stessi. Aggiungiamo che i capanni censiti sono 74, ma, stando alla tabella a pg. 147 dello Studio di Incidenza, la ricostruzione posticcia è prevista solo per 47 di questi. E gli altri 23? E’ questa la tutela del patrimonio storico?

 

Leggiamo poi il bando, che si configura come in un vero e proprio progetto di architettura, con tanto di planimetrie, dettagli costruttivi dei nuovi capanni, ecc, a cui aggiungere tutta una serie di iniziative collaterali (pulizie spiagge, pulizia delle passerelle del Parco Marittimo, attività didattiche, ecc.) che spetterebbero ai capannisti: un progetto di nuova costruzione e di promozione sociale costoso, irrealistico ed infattibile in meno di un mese, anche solo a grandi linee, per qualunque associazione nata con altre finalità. Sei anni la durata per la concessione delle nuove costruzioni. Senza contare che molti potrebbero abbandonare il campo.

Insomma, una sorta di elemosina concessa ad abusivi deturpatori dell’ambiente, e non un riconoscimento della funzione di tutela e di presidio ai custodi di una tradizione centenaria ormai scomparsa dalla nostra Penisola.

 

In tutto questo, ricordiamo che Italia Nostra da subito ha chiesto di poter partecipare alla Conferenza di servizi che doveva validare il bando, e ha chiesto di poter visionare la VIncA a cui il bando è stato appoggiato: nessuna risposta ed accesso negato alla VIncA, intimando persino ai consiglieri comunali di non divulgarla. Italia Nostra si è rivolta al difensore civico regionale, che ha bocciato il Comune con queste parole: “Alla luce delle norme richiamate, è opinione dello scrivente Ufficio che l’istante, per conto dell’Associazione che rappresenta, abbia diritto a ricevere copia del documento richiesto in quanto è onere dell’amministrazione garantire comunque la trasparenza rispetto alle informazioni ambientali e che l’ostensione del documento non possa pregiudicare gli esiti della gara pubblica, il cui bando è al momento in corso di pubblicazione”. Tutto inutile, perché la VIncA ed il bando erano stati da poco pubblicati “a cose fatte”, ovvero senza che il pubblico e le associazioni potessero ufficialmente parteciparvi come previsto dalla legge.

 

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Lanciamo un appello a tutti i capannisti, nelle cui mani sono ora consegnate le sorti di un patrimonio culturale e storico-paesaggistico che – riteniamo – è di tutta la collettività e dell’immaginario di ogni ravennate, affinché, già così bistrattati per non dire umiliati, valutino bene come procedere.

 

Italia Nostra sezione di Ravenna



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