Crisi ucraina: la conferenza degli Argonauti
La guerra “ibrida” scatenata dalla Federazione Russa nell’ultimo decennio e la sua invasione militare, con l’obiettivo di indebolire l’Ucraina in ogni modo possibile e la determinazione politica dell’Occidente, si è dimostrata fallimentare.
L’ultima carta che Putin potrebbe giocare e che l’Occidente deve scongiurare è l’atteggiamento mentale con cui l’Occidente approcciò la conferenza di Yalta, identificata nei documenti segreti con il nome in codice “Argonaut” (Argonauta), le cui decisioni politico-diplomatiche hanno dato luogo ad accese controversie in sede di analisi storiografica e di polemica politica internazionale.
Gli eventi dell’ultimo periodo hanno dimostrato che la Russia ha definitivamente perso l’Ucraina, come sua periferia evidente, come peraltro potrebbe accadere, in un futuro non troppo lontano, negli altri Paesi confinanti quali Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan.
La vana e sterile campagna militare in cui nelle vesti di Unni si son trovati a fronteggiare uno Zelensky investito della responsabilità del generale romano Flavio Ezio e il recente rovescio in Siria hanno dato un segnale inequivocabile, se ce ne fosse ancora stato bisogno, delle precarie condizioni della politica estera del Cremlino.
Le sanzioni dell’Occidente hanno ridotto drasticamente l’influenza geopolitica della Federazione Russa, smentendo le affermazioni del ministro degli Esteri russo che, in maniera maldestra, così si esprimeva “…, l’elevata adattabilità della nostra economia e della nostra popolazione multinazionale ci ha permesso di raggiungere una crescita economica superiore a quella dei principali paesi dell’Unione Europea.”
Dall’inizio del XXI secolo, i prezzi dei beni e dei servizi monitorati da Rosstat sono aumentati di otto volte (del 700%). Allo stesso tempo, il tasso medio è stato del 9,1% annuo, il tasso di cambio del dollaro durante questo periodo è aumentato di 3,4 volte, il costo degli alloggi di 16 volte e il reddito dei russi non ha superato la crescita dei prezzi, ma si è rivelato superiore al livello generale di inflazione, riporta Rossiyskaya Gazeta.
Nel gennaio 2025, l’inflazione accumulata nella Federazione Russa ha superato il 700%. Entro dicembre, se la previsione del regolatore si avvererà, raggiungerà il 780% grazie all’interesse composto (un prodotto che costava 10 rubli all’inizio del 2001, sarà venduto a 88 rubli alla fine di quest’anno). Di conseguenza, nell’arco di 25 anni i prezzi aumenteranno in media di quasi nove volte. Una condizione che obbliga la Banca Centrale a una politica di targeting dell’inflazione, quando i prezzi cominciarono ad accelerare nel 2014, la Banca Centrale aumentò bruscamente il tasso di interesse di riferimento al 17%; attualmente, il tasso medio di crescita dei prezzi si è attestata in media al 10,75% annuo.
Nel paese, non ci sono condensatori domestici e quelli che ci sono troppo costosi. Sebbene la Russia sostenga attivamente i programmi per lo sviluppo della propria produzione elettronica, la situazione rimane difficile. Attualmente nel Paese operano diverse aziende che producono quantità limitate di condensatori e altri componenti. Tuttavia, non possono competere con i produttori stranieri in termini di volume e qualità. Il problema principale è la mancanza di materie prime e gli elevati costi di produzione. Inoltre, i condensatori prodotti in Russia spesso non soddisfano gli standard internazionali di qualità e affidabilità.
Dal 14 al 16 febbraio si terrà la 61a Conferenza sulla sicurezza di Monaco che potrebbe essere l’arena dove sondare eventuali aperture a possibili negoziati che metterebbero fine all’aggressione russa dell’Ucraina. In tale sede sarebbe opportuno ribadire che gli Argonauti non sono più residenti in Occidente.
Pochi sono gli elementi per valutare le possibili opzioni che saranno discusse a livello negoziale. Ci auguriamo, comunque, che le trattative non ci riportino alla situazione esistente alla conferenza di Yalta che obbligò i Paesi dell’Europa centrale ad un lungo inverno democratico. Dobbiamo elaborare un accordo affinché la violazione sleale di tutte le norme, commessa da Vladimir Putin, non sia mai più possibile.
Naturalmente, l’Ucraina in questa situazione politica così difficile si aspetta che la pace debba basarsi sul ripristino della sua integrità territoriale. Le esperienze storiche e le carte in mano al principale negoziatore, ci dicono che potrebbe cedere alla Russia il Donbass, avverando le speranze di Putin di costringere ancora una volta le nazioni democratiche a sottomettersi alla sua strategia imperialista. Una condizione che alla forza della legge anteporrebbe il diritto del più forte, le cui linee guida dottrinali nazionali sanciscono rivendicazioni di predominio globale e regionale, che intende conseguire attraverso l’uso della forza militare l’unicità dello spazio politico ed economico eurasiatico dai Carpazi all’Oceano Pacifico: un unico spazio storico e spirituale, determinato, nella visione distorta del condomino del Cremlino, dalla scelta spirituale di San Vladimir, che fu sia il principe di Novgorod che il gran principe di Kiev.
In realtà, i recenti atteggiamenti ucraini e russi unitamente alle ultime dichiarazioni del presidente Trump, richiamano le esperienze negoziali di Yalta, quando Franklin Delano Roosevelt poneva molta enfasi sulla guerra nel Pacifico considerando, invece, meno importanti le questioni europee oltre a considerarle più complicate durante i suoi colloqui. La sensazione è che il presidente Trump non si discosti molto dalla posizione di Roosevelt alla conferenza di Teheran, quando credeva ingenuamente che Stalin fosse un uomo con si potesse fare affari, z si riferiva gentilmente a lui come allo “zio Joe”.
Ci auguriamo che il presidente americano, convinto del proprio prestigio e del potere degli Stati Uniti, non ritenga sufficiente che la tattica dei compromessi e delle concessioni alla Russia manterrebbe una pace duratura in Europa. Questa posizione degli Stati Uniti risulterebbe molto gradita Putin, come lo fu a Stalin, ma distoglierebbe parte delle sue forze impegnate in Estremo Oriente nel momento strategico meno opportuno.
Strappare l’Ucraina al controllo di Mosca è un compito analogo a quello degli Argonauti di “strappare la Polonia dalle grinfie sovietiche”, essa fu infatti considerevolmente indebolita dalle scelte di Roosevelt, che condannarono tutta l’Europa orientale al calvario comunista. Ci auguriamo, altresì, che i negoziati non siano come quelli di Yalta, ridotti a una conferenza bilaterale sovietico-americana con la Gran Bretagna, oggi Europa, nel ruolo di “cugino povero”.
Indubbiamente, le analogie con il precedente crimeano, quando l’esercito sovietico aveva già occupato quasi tutto il territorio della Polonia e aveva istituito il Comitato comunista polacco per la liberazione nazionale (PKWN), sono stringenti. A Yalta, i leader dei Tre Grandi concessero la spartizione della Polonia affermando che l’Unione Sovietica lo meritava per il suo contributo alla vittoria sul fascismo e alle immense sofferenze belliche. Come ha affermato il generale Władysław Anders: “Come risultato della conferenza, la Polonia fu venduta ai bolscevichi attraverso la sua completa consegna alla loro autorità”.
Oggi i russi non meritano niente anzi una soluzione simile fornirebbe alla Russia una base per conquistare l’intera Ucraina, minacciando al contempo la Polonia ed i Paesi Baltici.
L’Ucraina non merita lo stesso tradimento di Yalta che subirono ingiustamente i polacchi e l’Occidente non avrebbe attenuanti, se cadesse nel medesimo errore.
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