“Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna, e il colle di sopra bianco di neve ride”. La Bologna di Giosuè Carducci, descritta in Nevicata (Rime Nuove, 1887-1894), non è così lontana da quella di oggi. Resistono le due Torri, Asinelli e Garisenda, i portici patrimonio dell’Unesco, e i tetti rossi, tanto cari a Morandi e a chi ha dato l’esame di storia dell’arte medievale. E proprio tra queste strade, dal 6 al 16 febbraio 2025, torna ART CITY Bologna, la rassegna diffusa di arte contemporanea, giunta alla tredicesima edizione e ancora una volta affidata alla direzione di Lorenzo Balbi, curatore di MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, che accompagna Arte Fiera, in corso dal 7 al 9 febbraio con il titolo Scena Italia. Protagoniste del programma 2025 sono Le Porte della Città. Dieci porte storiche di Bologna diventano la scenografia di altrettanti interventi site-specific, connessi idealmente lungo un percorso di otto chilometri da una performance itinerante. Costruite nel Trecento, le Porte segnavano il confine della città, e in epoca medievale si credeva che fossero punti di incontro di un’ideale costellazione, un tracciato che proiettava nello spazio urbano una visione cosmologica. Secondo questa concezione, Bologna era suddivisa in dodici zone, ciascuna associata a un segno zodiacale. L’astrologia, del resto, non era solo una credenza popolare, ma divenne un campo di studi proprio qui, nella famosa Università.
Art City in città: l’arte contemporanea da vedere a Bologna attraverso le porte
Il percorso inizia a Porta Mascarella con Extropic Optimisms: Portal IV di Angelo Plessas (Atene, 1974) un’installazione luminosa simbolo di speranza e rigenerazione, a Porta San Donato, Deep Water Pulse di Susan Philipsz (Glasgow, 1965) trasforma l’accesso in una suggestiva esperienza sonora, mentre la sua serie fotografica Elettra, esposta al Museo Luigi Bombicci, omaggia Guglielmo Marconi. Le Porte di Bologna sono reinterpretate attraverso opere che ne esplorano la storia e i significati simbolici: a Porta San Vitale, Judith Hopf (Berlino, 1969) con Phone User 4 riflette sulla dipendenza tecnologica, mentre Franco Mazzucchelli (Milano, 1939) a Porta Maggiore sfida la monumentalità con una scultura gonfiabile. Porta Santo Stefano ospita il video Elegy di Gabrielle Goliath (Kimberley, 1983), denuncia delle violenze contro la comunità LGBTQIA+ in Sudafrica. Si prosegue con Fatma Bucak (Iskenderun, 1984) a Porta Castiglione, dove Tremendous gap between you and me rievoca la rinascita dalle macerie, in un’area un tempo attraversata dal Canale di Savena, sede di mulini nascosti che, secondo una leggenda, stampavano testi proibiti durante l’Inquisizione. A Porta Saragozza, legata alla protezione della Madonna di San Luca, Francesco Cavaliere (Piombino, 1980) presenta l’opera sonora OTTO, doppia curva lingua!, invece Dread Scott (Chicago, 1965) espone sulla facciata di Porta San Felice la bandiera A Man Was Lynched by Police Yesterday, sul tema delle violenze razziali. Porta Lame, teatro della battaglia partigiana del 1944, ospita il video Aaaaaaa di Valentina Furian (Venezia, 1989) sul rapporto tra uomo e natura, mentre Andrea Romano (Milano, 1984) a Porta Galliera rievoca la tragica storia di Anteo Zamboni con Anteo. A chiudere il programma, la performance itinerante BARK di Derek MF Di Fabio (Milano, 1987), un coro queer in viaggio ciclistico attraverso le Porte della città.
Art City: cosa vedere nei musei di Bologna
Fronte esposizioni museali, sempre all’interno del circuito, il MAMbo apre una delle mostre più importanti in città: Facile ironia. L’ironia nell’arte italiana tra XX e XXI seco in programma dal 6 febbraio al 7 settembre 2025. Curata da Lorenzo Balbi e Caterina Molteni, indaga il tema dell’ironia attraverso oltre 100 opere di più di 70 artisti, offrendo una panoramica di settant’anni di sperimentazioni, festeggiando anche il 50° anniversario della Galleria d’Arte Moderna di Bologna con una robusta pubblicazione. La parola “ironia” deriva dal greco εἰρωνεία (eironeía) “dissimulazione, finta ignoranza”. Questo termine è legato a εἴρων (eirōn), che indica una persona che si finge ingenua o ignorante per mettere in difficoltà gli altri. Nell’antica Grecia, l’ironia socratica era una tecnica usata per fingere di non sapere qualcosa e spingere gli interlocutori a rivelare le loro contraddizioni attraverso il dialogo. Non sappiamo in effetti se oggi persistano gli stessi effetti, però l’intento sarebbe quello. Dal paradosso al nonsense, dalla critica politica alla sovversione degli stereotipi, l’arte italiana di ironia nelle sue ricerche artistiche ne ha messa tanta. Ci sono grandi pezzi di maestri come Bruno Munari (1917-1998), Piero Manzoni (1933-1963)e Gino De Dominicis (1947-1998) insieme al realismo magico di Antonio Donghi (1897-1963, gli scritti di Vincenzo Agnetti (1926-1981) e le poesie di Nanni Balestrini (1935-2019), ma anche dialoghi con le generazioni più recenti come Valerio Nicolai (Gorizia, 1988) e Guendalina Cerruti (Milano, 1992). Non mancano gli accostamenti contraddittori tra soggetti e situazioni di Maurizio Cattelan (Padova, 1960), Paola Pivi (Milano, 1971) e Francesco Vezzoli (Brescia, 1971) per svelare le incongruenze del presente. L’ allestimento, ideato dal talentuoso Filippo Bisagni (Piacenza, 1989) s’ispira al progetto originario dell’architetto Aldo Rossi (1931-1997) per l’ex Forno del Pane, un visionario capace di coniugare innovazione e poesia nella rilettura del passato. Rossi immaginava un’architettura in grado di sospendere il tempo – con un potente richiamo agli orologi di De Chirico – e di sottrarsi al frastuono del presente per ritornare agli archetipi essenziali. Un’idea che trova piena realizzazione nel rosso e nel giallo del salone centrale, citazione della sua “macchina modenese”, un progetto in cui la sovrapposizione di elementi si faceva sintesi della storia dell’architettura, riletta e reinterpretata con il suo inconfondibile linguaggio.
Riallacciandosi a una tradizione ormai consolidata, sempre qui, nella manica lunga dell’ex Forno del Pane, adiacente alla Collezione Permanente del MAMbo, quest’anno la Collezione Morandi prosegue il suo dialogo con l’arte contemporanea con una mostra dedicata a Silvia Bächli (Baden, 1956), artista visiva e fotografa svizzera. La Bächli ha selezionato otto nature morte dalla collezione permanente del museo, affiancandole a opere inedite realizzate appositamente per l’occasione. Il titolo Before richiama il processo di preparazione che accomuna i due artisti: Morandi studiava attentamente la disposizione degli oggetti prima di dipingerli, mentre Bächli impiega un lungo tempo all’osservazione e alla sistemazione degli elementi prima di completare un’opera. La visita a Casa Morandi, residenza dell’artista in via Fondazza 36 a Bologna, ha influenzato la sua ricerca cromatica, spingendola a esplorare una palette in cui colori vibranti si mescolano a tonalità più delicate, sottolineando la sensibilità cromatica delle nature morte morandiane.
Art City: le mostre presso Villa delle Rose e Palazzo de’ Toschi
Sempre di anniversario tratta, stavolta un decennio dalla sua scomparsa, la mostra Carol Rama Unique Multiples, curata da da Elena Re e ospitata nella settecentesca Villa delle Rose. Nata a Torino nel 1918 e qui scomparsa nel 2015, Carol Rama viene letta tramite la sua produzione di multipli, realizzati tra il 1993 e il 2005. In questo periodo, l’artista riprende e rielabora i temi cardine della sua ricerca, dalla critica sociale all’indagine sul corpo, sviluppando un linguaggio ancora più personale e incisivo. Cresciuta in un ambiente borghese segnato dalla caduta economica della famiglia, Rama scelse un percorso artistico autonomo, rinunciando all’accademia per seguire la propria visione. Le sue opere, fortemente autobiografiche e pervase di erotismo, la portarono a confrontarsi con figure di spicco come Edoardo Sanguineti e Felice Casorati. Nel tempo, il suo stile attraversò diverse fasi, dal Movimento Arte Concreta all’Astrattismo e all’Informale, fino a dialogare con artisti del calibro di Andy Warhol e Man Ray. Il pieno riconoscimento del suo lavoro arrivò con la mostra curata da Lea Vergine al Sagrato del Duomo di Milano nel 1985 e con il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale del 2003, consacrandola come una delle voci più radicali e indipendenti dell’arte contemporanea. Di espressionismo astratto invece, tema forte di questo ultimo periodo oggetto di varie mostre sia in Italia che all’estero, che ispira la ricerca dell’olandese Peggy Franck (Zavenaar, 1978) si occupa Davide Ferri, che cura la sua personale a Palazzo De’ Toschi dal 4 febbraio al 2 Marzo, intitolata In a Naked Room. La mostra esplora il dialogo tra pittura, scultura e fotografia attraverso installazioni che trasformano lo spazio in composizioni fluide e mutevoli. Durante il mese di gennaio, Franck ha lavorato sul posto, dipingendo su grandi fogli di alluminio che riflettono la luce naturale, coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza percettiva in continua evoluzione. Oltre a queste superfici pittoriche, anche fotografie di dipinti esistenti e materiali disposti nello spazio, ampliano la dimensione installativa del progetto.
Infine, prima di fare una lunga pausa con le delizie locali, è bello affacciarsi dentro l’Oratorio dello Spirito Santo, in via Val d’Aposa a Bologna, costruito tra il 1481 e il 1497 dai monaci celestini e sede della confraternita laicale omonima fino alla sua soppressione nel 1798. In questi giorni è visitabile Mani come rami che toccano cielo (2024) di Nina Carini (Palermo, 1984), una scultura in bronzo lucidato a specchio, raffigurante due braccia slanciate verso l’alto in un gesto di tensione e metamorfosi, ripensando il rapporto tra materia e invisibile. L’esposizione è accompagnata dall’azione poetica Ende beginnt, con letture tratte da Rainer Maria Rilke, offrendo al pubblico un’esperienza di contemplazione e introspezione. Anche quest’anno, l’arte a Bologna si conferma un richiamo naturale, e si viene sempre volentieri.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link