VIA I PALESTINESI DA GAZA/ Ecco perché Egitto e Giordania non cadono nel tranello di Trump & Netanyahu

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Una parte del piano di Trump, in realtà, è già stata realizzata: gli israeliani hanno distrutto Gaza proprio per espellere i palestinesi e, nel Sinai, è già stato costruito, anche con l’apporto di aziende italiane, un grande campo per ospitarli.

USA e Israele, spiega Filippo Landi, già corrispondente RAI da Gerusalemme e inviato del Tg1 Esteri, se vogliono procedere in questa direzione, devono però fiaccare la resistenza di altri attori internazionali, ma soprattutto convincere Egitto e Giordania a prendersi i palestinesi.


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Non per niente, nei prossimi giorni, proprio il re giordano dovrebbe recarsi a Washington per parlare con Trump. Il presidente americano potrebbe aumentare gli aiuti che già conferisce ai due Paesi in virtù degli accordi di Camp David, utilizzando i soldi che prima erano appannaggio di USAID, l’Agenzia americana per gli aiuti umanitari, appena smantellata.



Netanyahu intanto ha “invitato” l’Arabia Saudita a creare lo Stato palestinese all’interno del suo territorio.

Al Arabiya annuncia che i Paesi arabi stanno preparando un vertice al Cairo per parlare della deportazione dei palestinesi. La proposta di Trump ha ricompattato un fronte non sempre unito?

Il vertice del Cairo viene convocato alla vigilia della probabile e annunciata visita del re di Giordania a Washington per incontrare Trump. Sarà il primo governante arabo mediorientale a farlo dopo l’ufficializzazione della proposta di prendere sotto controllo Gaza da parte degli USA. Il piano del presidente americano ricompatta il cosiddetto fronte arabo, nel senso che necessariamente chiede a tutti gli Stati mediorientali risposte importanti.



Il futuro di Gaza coinvolge tutti i Paesi dell’area?

All’Egitto e alla Giordania viene chiesto di prendere in carico milioni di palestinesi per un tempo non definito. Ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi di mettere i soldi per la ricostruzione, di cui però non si sa chi usufruirà.

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A Washington, come a Riyad, a Doha o a Dubai, tutti sanno che c’è una pressione forte della destra israeliana a occupare fisicamente con i propri coloni queste zone. Ed è inimmaginabile pensare che i soldi dei sauditi e degli altri Stati più facoltosi del Medio Oriente vengano utilizzati per una ricostruzione di cui godrà Israele.

Una contraddizione resa ancora più evidente dall’affermazione di Trump, secondo cui non verranno inviati soldati americani a Gaza e che, alla fine della ricostruzione, sarà Israele a riprendersi in carico la Striscia.

Ci sono dei piani veri per ricostruire Gaza? I palestinesi, nel frattempo, dovranno essere comunque spostati da qualche parte?

Il piano di Trump si realizza nella misura in cui non troverà opposizione. Non è una boutade, è lo stesso che Blinken aveva proposto all’inizio del conflitto: portare i palestinesi altrove. Si tratta di progetti e analisi di vecchia data.

D’altra parte, è già stato realizzato nel Sinai, a ridosso del confine di Rafah, un enorme campo nel deserto dove collocare le persone. È stato approntato, recintato con mura di cemento e garitte di controllo, come le fotografie satellitari hanno mostrato. Alla costruzione hanno partecipato anche ditte italiane.

In realtà, ci si sta già preparando?

L’evacuazione di massa dei palestinesi è stata uno degli elementi del conflitto: nella cosiddetta guerra ad Hamas, scientificamente, si sono volute distruggere tutte le infrastrutture, oltre che le case, per spingere la gente ad andare via.

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Parlo di impianti di desalinizzazione, elettrici, condotte di acqua, ospedali, scuole. Questa è stata la parte israeliana di questo piano, neppure tanto segreto. La ricostruzione di Gaza potrebbe essere realizzata “dall’interno”, senza espellere i palestinesi, ma non è quello che USA e Israele vogliono.

Chi può opporsi decisamente al piano?

Trump ha lanciato questa orrenda campagna contro la Corte penale internazionale (CPI) perché da lì poteva venire immediatamente l’accusa più evidente, sperimentata in Jugoslavia, di pulizia etnica.

Ecco perché si mettono sotto accusa tutti gli organismi da cui può venire: oltre ai giudici internazionali, il Comitato dell’ONU per la Difesa dei diritti umani, da cui gli USA sono usciti. È stata colpita anche l’OMS, abbandonata dagli americani, perché ha fatto presente che la situazione pone una serie enorme di problemi sanitari. Poi c’è l’Europa.

Si vuole bloccare anche il possibile dissenso europeo al piano?

L’arma messa sul tavolo è quella dei dazi: l’Europa vuole barattare il suo silenzio sulla vicenda di Gaza con la diminuzione di eventuali dazi doganali imposti dagli USA? Altro soggetto cui si guarda con attenzione è la Chiesa cattolica: una posizione che vada oltre la difesa della piccola minoranza cristiana in Palestina e a Gaza porrebbe grandi problemi a livello mondiale.

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Il Papa si è già espresso: domenica scorsa ha detto di pregare per gli sfollati, una parola ponderata. Sfollati, come termine giuridico internazionale, indica persone che si spostano dalle loro case all’interno del proprio territorio. Non sono esuli.

A fronte di tutto questo, Trump deve far fronte anche ai Paesi arabi. Egitto e Giordania sono finanziati da Washington. Li ricatterà su questo punto?

L’Egitto prende oltre 2 miliardi di dollari l’anno di aiuti militari ed economici, la Giordania un miliardo e mezzo, tutto frutto degli accordi di Camp David. Aiuti che vanno avanti da decine di anni. Trump potrebbe mettere sul piatto aiuti ancora maggiori.

I suoi suggeritori hanno già deciso di bloccare l’USAID, l’Agenzia che finanzia l’attività di cooperazione e umanitaria nel mondo, per drenare questi soldi e riversarli su Giordania ed Egitto, cercando di convincerli ad accettare in via “temporanea” quasi due milioni di persone. Il problema per questi due Paesi, però, non è solo economico, ma anche di stabilità interna.

In Egitto ci sono movimenti islamici, e non solo, che si oppongono ad Al Sisi, il quale deve far fronte a una crisi economica enorme, di cui in parte è artefice, mentre in Giordania c’è un vasto movimento che critica la Casa reale perché permette agli USA di mantenere nel territorio nazionale le loro batterie antimissili.

Dai Paesi arabi nel loro complesso che posizione c’è da aspettarsi allora? C’è la possibilità di proporre un’alternativa al piano di Trump?

L’alternativa è dare corso alla tregua in modo da far tornare tutti gli ostaggi e liberare i detenuti palestinesi. E, allo stesso tempo, aprire un processo parallelo che preveda la ricostruzione (dando contemporaneamente un tetto ai palestinesi dentro Gaza) e una trattativa con Hamas con l’obiettivo di dargli un ruolo politico e non più militare all’interno dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

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Un processo che si è sperimentato in Africa, nello Sri Lanka e anche in Irlanda, dove gli USA furono protagonisti della trattativa. Il problema è che tutto ciò non sembra interessare all’attuale governo israeliano.

(Paolo Rossetti)

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