L’autarchia ritorna al centro del dibattito globale: quali ripercussioni scaturiranno dalla crescente rinuncia al libero scambio?
Negli ultimi anni, le dinamiche economiche globali hanno mostrato una crescente inclinazione verso politiche ispirate a modelli del passato, come il protezionismo e, nei casi più estremi, l’autarchia. Sebbene questi termini siano talvolta confusi o sovrapposti, risulta essenziale tracciarne una distinzione chiara. Il protezionismo, infatti, si concentra sulla regolamentazione e limitazione del commercio internazionale attraverso strumenti come dazi doganali e tariffe, con l’obiettivo di proteggere le economie nazionali dalla concorrenza estera. L’autarchia, invece, rappresenta un livello di chiusura ben più radicale, in cui un Paese cerca di raggiungere l’autosufficienza economica totale, riducendo al minimo le relazioni economiche con l’esterno.
Nell’attuale contesto economico, sebbene il protezionismo rappresenti la tendenza dominante, emergono interrogativi su quanto le economie globali possano spingersi verso un modello autarchico. Questo articolo analizza dunque le motivazioni che guidano il ritorno a tali politiche, approfondendo le loro implicazioni e il loro impatto sul sistema economico globale.
Un’importante applicazione del concetto di autarchia è riscontrabile nell’Italia fascista, dove nel 1936 il regime proclamò l’autarchia economica nazionale in risposta alle sanzioni economiche della Società delle Nazioni per l’invasione dell’Etiopia. Questa strategia, percepita come reazione alle ““inique sanzioni”, rappresentò non solo una strategia economica del regime fascista, ma una risposta condivisa dalla popolazione alla percepita ingiustizia delle sanzioni.
Durante la Guerra Fredda l’autarchia assunse una forma indiretta, ma non meno rilevante. La creazione di sfere economiche separate aveva di fatto determinato l’emersione di politiche autarchiche, in cui entrambi i blocchi miravano a proteggere le proprie economie da influenze esterne e a rafforzare i propri mercati interni. Se da un lato l’Unione Sovietica aveva sviluppato un’economia centralizzata e autarchica[1], dall’altro gli Stati Uniti e le economie occidentali promuovevano un ordine economico basato sul libero scambio attraverso alleanze economiche chiuse, come il Piano Marshall. In altri termini, sebbene il protezionismo fosse meno esplicito rispetto al periodo interbellico, esisteva una forma di “isolazionismo economico” mirato alla separazione dei due blocchi.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, si sviluppò un impulso verso un sistema commerciale multilateralista, con la creazione di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e, successivamente, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Questo processo promosse la liberalizzazione economica, portando a un aumento degli scambi internazionali, maggiore competitività e prezzi più bassi per i consumatori[2]. Tuttavia, la liberalizzazione esacerbò anche le disuguaglianze globali e causò la perdita di posti di lavoro in alcuni settori industriali nei Paesi avanzati (a causa della delocalizzazione della produzione), alimentando il dibattito sul ritorno del protezionismo e dell’autarchia.
Il protezionismo contemporaneo come una “nuova autarchia”
Negli ultimi anni il concetto di “globalizzazione dell’autarchia” ha trovato espressione nelle politiche economiche di Paesi come gli Stati Uniti, la Cina e l’India, divenuti protagonisti di una svolta autarchica “paradossale”. Invero, essi hanno cercato di migliorare il proprio posizionamento internazionale chiudendosi al proprio interno, scegliendo di percorrere la strada dell’autosufficienza.
Nel dettaglio, durante l’amministrazione Trump (2017-2021), gli Stati Uniti hanno avviato una politica di “nazionalismo economico”, imponendo dazi e guerre commerciali per ridurre la dipendenza economica dall’estero. Sebbene questa politica abbia generato fiducia nei consumatori e livelli storicamente bassi di disoccupazione, ha avuto effetti complessi sulla competitività globale degli Stati Uniti. Tale politica è stata parimenti adottata dall’amministrazione Biden, che ha intensificato gli investimenti in infrastrutture e ricerca interna, alimentando ulteriormente la tendenza all’autosufficienza.
In Cina il governo ha perseguito l’autarchia attraverso la strategia della fusione civile-militare, sviluppando capacità tecnologiche e industriali autonome per contrastare la competizione geopolitica con gli Stati Uniti. Ciononostante, la Cina continua a dipendere dalla globalizzazione digitale e dalle catene globali del valore, fondamentali per il suo successo economico.
L’India, pur beneficiando di ingenti investimenti esteri (IDE), sta perseguendo una politica di controllo del proprio settore tecnologico per garantire sicurezza interna e autosufficienza economica. Tuttavia, il Paese rimane integrato nel commercio internazionale, soprattutto nel settore tecnologico.
L’aspirazione all’autarchia economica comporta una inevitabile serie di sfide e limitazioni che richiedono un’attenta valutazione. In primo luogo, la limitata disponibilità di risorse rappresenta una sfida fondamentale. Un singolo paese, infatti, potrebbe non disporre di tutte le risorse necessarie per sostenere la produzione di beni e servizi essenziali, determinando il rischio di inefficienze e di ostacoli allo sviluppo economico.
In secondo luogo, l’autarchia comporta costi di produzione più elevati, poiché l’assenza di accesso ai mercati globali riduce la possibilità di sfruttare economie di scala e approvvigionamenti competitivi. Ciò può generare inefficienze, limitare l’innovazione e rallentare il progresso tecnologico a causa della mancanza di concorrenza.
In terzo luogo, in un contesto autarchico, la capacità di soddisfare le preferenze dei consumatori è limitata, portando a una riduzione della scelta, a un abbassamento della qualità dei prodotti e, spesso, a prezzi più elevati.
In quarto luogo, la chiusura al commercio internazionale impedisce ai paesi di concentrarsi sulla produzione di beni e servizi nei quali vantano un vantaggio comparato, riducendo l’efficienza economica complessiva e la produttività.
Le implicazioni geopolitiche dell’autarchia sono altresì rilevanti. Poiché il commercio internazionale rappresenta un elemento cruciale per favorire relazioni diplomatiche e cooperazione internazionale, l’isolamento economico potrebbe generare tensioni, compromettere le relazioni diplomatiche e ostacolare gli sforzi collettivi per affrontare sfide globali, come il cambiamento climatico o le crisi sanitarie. Infine, la completa autosufficienza economica rischia di limitare la capacità di rispondere in modo flessibile e adattivo alle dinamiche di un’economia globalizzata, con ripercussioni negative sulla crescita sostenibile e sulla resilienza economica di lungo periodo.
Ragioni profonde che alimentano il rinnovato interesse per l’autarchia
Il rinnovato interesse per l’autarchia economica trova spiegazione nelle motivazioni profonde che lo alimentano. Queste ragioni, articolate in dimensioni economiche, politiche, tecnologiche e culturali, riflettono sia risposte strategiche alle sfide globali sia dinamiche interne. L’analisi di tali motivazioni consente di cogliere la complessità di un fenomeno che trascende la mera ricerca di autosufficienza, rivelando invece un processo di adattamento e reazione alle trasformazioni del contesto internazionale.
Uno dei fattori principali alla base del rinnovato interesse per l’autarchia è l’esigenza di preservare le industrie nazionali da una concorrenza internazionale sempre più intensa. Adottare politiche di autosufficienza economica significa proteggere i settori strategici da shock esterni (es. crisi economiche globali). Inoltre, ridurre la dipendenza da materie prime o beni di importazione può garantire una maggiore stabilità economica in contesti di incertezza geopolitica, preservando l’autonomia produttiva di un Paese.
Sul piano politico, l’autarchia viene percepita come uno strumento per riaffermare l’autonomia nazionale e ridurre la dipendenza dall’estero[3]. Questo obiettivo si estende anche all’ambito tecnologico: il controllo su innovazioni chiave, come i semiconduttori e l’IA, spinge i Paesi a puntare sull’autosufficienza per preservare il vantaggio competitivo e proteggere tecnologie cruciali per l’economia e la sicurezza nazionale.
Infine, anche la dimensione culturale svolge un ruolo significativo. Dinnanzi alla globalizzazione, molti Paesi stanno riscoprendo l’importanza delle tradizioni e delle identità nazionali, vedendo nell’autarchia una reazione alle trasformazioni culturali e sociali legate al multiculturalismo.
In conclusione, queste quattro dimensioni si intrecciano e si rafforzano vicendevolmente, delineando il quadro complessivo delle ragioni sottese al ritorno dell’autarchia come strategia economica e politica.
Conclusioni e prospettive previsionali
Le sfide legate all’autarchia economica richiedono un’analisi critica e prospettica del futuro. Sebbene l’interesse per l’autosufficienza sia comprensibile in un mondo sempre più imprevedibile, il futuro dipenderà dalla capacità dei singoli Paesi di bilanciare le esigenze nazionali e le dinamiche globali.
Dall’analisi condotta emergono due scenari principali. L’autarchia “strategica” (o “parziale”) potrebbe infatti essere utilizzata come strumento temporaneo per favorire la transizione verso un modello economico più resiliente e sostenibile. Ad esempio, il re-shoring di filiere produttive critiche potrebbe rafforzare l’autonomia strategica senza sacrificare completamente l’efficienza economica globale. Questo approccio consentirebbe ai Paesi di ridurre le vulnerabilità intrinseche, preservando tuttavia il flusso di innovazione e cooperazione.
In alternativa, i Paesi di cui si è discusso potrebbero adottare un modello “misto” che combina elementi di autarchia strategica con accordi di collaborazione mirata in settori cruciali. In tal modo, i Paesi potrebbero beneficiare dei vantaggi della globalizzazione senza compromettere la propria sovranità economica.
Qualora tali scenari favorevoli non si concretizzassero, l’autarchia economica potrebbe frammentare ulteriormente il panorama globale, intensificando le guerre commerciali e minando sia la cooperazione internazionale che la stabilità economica. Inoltre, pur mostrando un apparente successo, l’autosufficienza rischierebbe di essere temporanea, poiché l’autoisolamento soffoca l’innovazione e frena la crescita a lungo termine.
Al fine di prevenire gli scenari più critici e garantire un equilibrio tra sovranità economica e interdipendenza globale, risulta fondamentale, ad esempio, adattare le regole dell’OMC per affrontare le sfide moderne (il controllo sulle tecnologie chiave, i cambiamenti climatici, le disuguaglianze commerciali), promuovere la diversificazione economica per rafforzare la resilienza economica e/o incentivare il re-shoring mirato (cioè il rientro di alcune filiere produttive strategiche cruciali per la sicurezza economica e l’innovazione).
In conclusione, pur apparendo come una soluzione pragmatica per garantire l’autosufficienza, l’autarchia si scontra con le dinamiche di un mondo sempre più interconnesso. In futuro l’autarchia potrebbe manifestarsi in una forma più sfumata e selettiva, ma la sfida principale sarà trovare un equilibrio che tuteli le esigenze interne senza compromettere la cooperazione internazionale.Questo delicato equilibrio esigerà scelte politiche lungimiranti, in grado non solo di affrontare le necessità urgenti, ma anche di prevedere le evoluzioni globali, assicurando così una crescita sostenibile.
[1] Dohan, Michael R. “The Economic Origins of Soviet Autarky 1927/28-1934.” Slavic Review 35, no. 4 (1976): 603–35. https://doi.org/10.2307/2495654.
[2] Thomas Pugel, International Economics (McGraw-Hill Education, 2015), 29.
[3] Thomas Pugel, International Economics (McGraw-Hill Education, 2015). 198-218.
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