Più “Male” che “Bene”. Magistrati barricaderi contro la Costituzione – Torino Cronaca

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Il progetto di riforma dell’ordine giudiziario con la introduzione della separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante sta entrando nel vivo della polemica più che del dibattito. Quanto accaduto in occasione delle varie cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario evidenzia che il livello dello scontro si sta innalzando, complici le nuove forme di comunicazione: grande effetto far girare nei telegiornali e sui social migliaia di video con i magistrati che lasciano polemicamente le aule dove stanno parlando Nordio e gli altri rappresentanti del Governo! Ma quanti magistrati hanno aderito alla protesta? Vogliamo essere “larghi” e diciamo 3.000 in tutta Italia? quindi il 30% appena dei 10.000 membri della magistratura. La protesta però resta e crea la forte preoccupazione che questo scontro istituzionale tra i poteri giudiziario da un lato e quelli esecutivo e legislativo dall’altro sia una ulteriore evidenza della crisi della nostra democrazia, che affligge pericolosamente i sistemi parlamentari occidentali. Non si può infatti non rilevare il sottile intento eversivo della protesta dei magistrati, soprattutto se la pensiamo collegandola al preannunciato sciopero del 27 febbraio, poiché sé vero che “i giudici sono soggetti solo alla legge” è anche vero che le leggi non possono deciderle loro.

Sicuramente i magistrati possono criticare le leggi e partecipare al dibattito pubblico che precede la loro adozione, ma certo non dovrebbero scioperare “contro” le leggi, cosi come il parlamento ed il governo non hanno mai scioperato per come i magistrati interpretano le leggi, a volte creativamente, mentre le applicano. In questo quadro si inserisce l’intervento di due eminenti giuristi su La Stampa di ieri, il dottor Giancarlo Caselli ed il professor Vittorio Barosio, che riferendo della loro adesione alla protesta dei magistrati, con relativa uscita dall’aula, autocertificano che questa era “in difesa dei cittadini”, sostenendo nella sostanza che la riforma “potrebbe” ledere l’autonomia della magistratura inquirente assoggettandola al controllo e al potere di indirizzo del potere esecutivo. “Potrebbe” perché il condizionale ricorre nell’articolo sei volte nel pur breve percorso argomentativo: come diceva Totò in un suo film “ci sarebbe o c’è?” …perché c’è una bella differenza tra un qualcosa di sicuro che deriva dalla norma ed i timori dei critici, che freudianamente sembrano dimostrare che quanto deciso dal governo e proposto alle camere, che decideranno, è la strada giusta per dare senso a quel “In nome del Popolo Italiano” che corona l’inizio di ogni sentenza. In realtà i due eminenti giuristi non citano nessun passo nella riforma che confermi le loro preoccupazioni che restano quindi solo ipotesi, tali da non poter bloccare una riforma che ha visto il sostegno elettorale della maggioranza degli italiani: non è questa eversione? Non riconoscere la volontà del popolo italiano democraticamente espressa? E perché, se si parla “in difesa dei cittadini”, non si pensa alla situazione in cui la magistratura inquirente, che ha la titolarità dell’azione penale (che neanche la riforma mette in discussione), ha posto gli italiani: assediati nelle loro case, aggrediti da una malavita sempre più presente con “soldati” arrestati e subito rimessi in circolazione, pronti a riprendere lo spaccio ed altre piccole e grandi sopraffazioni.

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L’AVVOCATO STEFANO COMMODO

Invece di costruire teoremi accusatori, spesso destinati alla inconcludenza, gli italiani vorrebbero una magistratura inquirente più cosciente dei problemi concreti e che sappia liberare i territori, restituendoli alla sovranità dello Stato e consentendo ai cittadini di vivere davvero in libertà, prima che questa diventi un concetto ideologico e vuoto, che inevitabilmente verrà svenduto in cambio di sicurezza. La riforma di cui discutiamo, che ha ed ha avuto il sostegno di tanti giuristi – tra i tanti ricordo il professor Marcello Gallo e l’avvocato Bruno Segre – è un piccolo tassello della riforma della giustizia che dovrà avere la capacità di comprendere che tale termine non indica solo la parte dello Stato che si dedica a risolvere le liti tra i cittadini ed a perseguire quelli che commettono reati, ma riguarda la formazione del senso civico del cittadino, motivandolo al bene comune e scegliendo i percorsi giusti – diversi per la diversità dei casi – finalizzati a disincentivare la reiterazione delle condotte delittuose ed al recupero del condannato. Cerchino però “lor signori” di mantenere la polemica ed il dibattito nei corretti limiti delle istituzioni, con la coscienza dell’impegno assunto verso il Popolo Italiano. A tal fine è sempre saggio considerare quanto di Bene e quanto di Male c’è in ogni nostra azione, valutazione che senz’altro fa concludere che uno scontro istituzionale come quello messo ora in atto da una parte della magistratura, denotando più un intento politico che una vera attenzione per l’istituzione, porta in sé più Male che Bene.



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