Pauline, Mary e le altre donne per le donne: «Dalla tratta si rinasce»

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Il flash mob dei giovani di Talitha Kum per le vie di Roma – Talitha Kum

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Davanti al dramma della tratta degli esseri umani «non si può restare indifferenti». Al contrario occorre diventare «ambasciatori di speranza». Il tutto a cominciare dalle istituzioni e dagli uomini di governo. Papa Francesco coglie l’occasione dell’udienza alla delegazione della rete Talitha Kum, che combatte contro la tratta degli esseri umani, concessa ieri mattina alla vigilia dell’undicesima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta, promossa dalle Unioni Internazionali delle Superiore (Uisg) e dei Superiori Generali (Usg). Un’udienza svoltasi a Casa Santa Marta, dove il Papa in questi giorni ha concentrato il suo lavoro per potersi curare da una bronchite che lo affligge da qualche tempo. Ma neppure la leggera indisposizione ha fermato il Pontefice dall’incontrare la delegazione e dal fermarsi personalmente con alcuni dei partecipanti ascoltando le loro storie di sofferenza, ma anche di riscatto. «Non possiamo accettare che tante sorelle e tanti fratelli siano sfruttati in maniera così ignobile – ha detto Francesco rivolgendosi alla delegazione –. Il commercio dei corpi, lo sfruttamento sessuale, anche di bambini e bambine, il lavoro forzato sono una vergogna e una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali».

C’è quasi sempre la forza di una donna all’inizio di un percorso di rinascita dalla tratta. Una donna che di tratta è stata vittima e ha trovato il coraggio di rialzarsi. Una donna che tra donne abusate e sfruttate è cresciuta, sentendosi impotente di fronte a tanta sofferenza. Una donna che ha deciso di dedicare la sua vita alle altre, scegliendo di consacrarsi. Insieme al sorriso, alla gioia di stare insieme, è questo il potere delle sisters di Talitha Kum (sorelle davvero, prima che suore) e delle giovani ambasciatrici di speranza che in questi giorni si sono riversate a Roma da ogni parte del mondo in occasione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta che si celebra domani. Oggi incontreranno il Papa e gli racconteranno le loro storie, tutte straordinarie, uniche.

Pauline e Mary,ritorno in Africa

Tra le donne arrivate a Roma per partecipare agli eventi organizzati dalla rete di Talitha Kum c’è Pauline Akinyi Juma. «Ho 30 anni, sono madre di tre bambini fantastici e tutrice di 38 persone vittime di tratta o violenza. Sono nata e cresciuta in una grande baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Una condizione che fin da piccola ti ricorda che devi lottare». E Pauline l’ha fatto, dopo essere sopravvissuta lei stessa alla violenza sessuale già a 16 anni e poi a quella domestica a 19. «Il giorno in cui fui abusata indossavo un bellissimo abito verde. Associai il colore al male che avevo incontrato e per molto tempo non l’ho più indossato fin quando ho finalmente celebrato la mia rinascita». Dopo sette anni di silenzio, «sotto la minaccia che avrebbero ucciso mia madre se avessi parlato», Pauline ha iniziato a sentirsi «così audace da usare la propria voce non solo per me, ma per le tante che mi hanno preceduto, quelle che verranno dopo e pure per i miei figli, perché non vedano il mondo che ho visto io». Pauline cinque anni fa ha fondato Rebirth of a Queen, un’organizzazione che alle vittime offre un rifugio e «un percorso olistico di rinascita che parte dall’imparare a raccontare la propria storia e arriva all’emancipazione economica, l’apprendimento di un mestiere, il ritorno a scuola per chi lo desidera e persino un programma di fitness in cui le sopravvissute, un passo alla volta, si riconnettono ai loro corpi». Tra le donne e i bambini assistiti dall’organizzazione, la madre più giovane ha 13 anni. «È stata vittima di tratta da un Paese vicino al nostro e quando è arrivata in Kenya con la promessa di un lavoro, ha subito invece abusi sessuali ed è rimasta incinta. Averle dato adesso una casa o tenerle il bambino quando va a scuola è davvero importante. Le ragazze come lei hanno bisogno di tanto amore e sostegno».

Mary nel suo villaggio in Kenya

Mary nel suo villaggio in Kenya – .

Anche Mary arriva dal Kenya, esattamente un piccolo villaggio. Da ragazza vedeva le sue coetanee partire, in tasca il sogno d’una vita lontana. Lei no, voleva studiare, voleva diventare una giornalista. Quella strada l’ha portata a Nairobi e poi a Roma dove casualmente ha incontrato Talitha Kum e per la prima volta ha sentito parlare di tratta. «Si parlava del mio Paese, anche, di quante ragazze partite dai villaggi attorno al mio fossero finite nella trappola dei trafficanti. Fu una specie di vocazione per me: dovevo fare qualcosa, dovevo diventare una voce per chi non ne aveva». E Mary s’è inventata Sema Nami, un’organizzazione guidata dai giovani che fa formazione e prevenzione in Kenya, aiutando chi si trova in difficoltà.

Suor Adina, al cuore dell’Europa

«Nel 2008 ho iniziato a occuparmi in Romania della tratta e così ho scoperto le storie delle tante ragazze del nostro Paese che finivano per strada a Berlino o in altre città», racconta invece suor Adina, una di quelle donne che ha scelto di dedicare l’intera vita agli altri e che ora lo fa da coordinatrice europea di Talitha Kum. Tra le tante persone aiutate dalla rete «ricordo in particolare una donna rumena che con il figlio piccolo e il marito che aveva perso il lavoro, su consiglio di un’amica andò in Germania con la promessa di fare la babysitter. Arrivata lì scoprì che il suo lavoro comprendeva anche la prostituzione in un bar di striptease. Subì svariati abusi, ma quando riuscì finalmente a scappare e arrivò in un rifugio per le vittime, trovò pure la forza di denunciare, superando la paura del rifiuto del marito. Con la sua testimonianza ha salvato altre vittime degli stessi trafficanti». Donne che arrivano con la promessa di un lavoro in un Paese in cui non conoscono nessuno e neppure la lingua: sono tante, ribadisce suor Adina, che ricorda anche quella ragazza venuta in Romania dalle Filippine per lavorare al servizio di una famiglia potente. «Dal primo giorno le hanno sequestrato i documenti. Da mangiare le davano solo un uovo al giorno». Quando è riuscita a scappare, «ha dovuto camminare per venti chilometri fino a Bucarest per essere sicura di non essere riportata da quell’uomo».

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Daniela Alba, dalla Colombia a Roma per sostenere le vittime di tratta

Daniela Alba, dalla Colombia a Roma per sostenere le vittime di tratta – .

Suor Carmen e Daniela, il Sudamerica ferito

Ha ancora negli occhi il volto disperato di Valeria, suor Carmen. «A 19 anni era arrivata a Ciudad Juárez dal Guatemala, sperando di entrare negli Stati Uniti per una vita migliore. Le sembrava di avercela fatta: accolta in casa da una sua cugina, subito assunta in un bar come ballerina». In realtà quello era l’inizio della fine: Valeria viene costretta a prostituirsi. Vive 15 anni tra bar e hotel, isolata dalla sua famiglia, privata del denaro e della libertà dalla stessa cugina. Poi il sogno di una nuova libertà con un uomo che invece si rivela violento. «Anche durante la gravidanza lei continuava a prostituirsi per sostenere la famiglia. Quando ha trovato la forza di lasciarlo, lui l’ha picchiata quasi fino a ucciderla». Le cose sono cambiate lì, quando sembrava non ci fosse più niente in cui sperare. «Valeria ha trovato il sostegno delle suore Oblate. Ha lasciato la prostituzione e ha avviato una piccola attività di vendita di oggetti di seconda mano. Oggi studia infermieristica industriale, ha ricostruito la sua vita insieme ai figli e si è riconciliata con la sua famiglia in Guatemala». Anche suor Carmen Ugarte Garcia, che è responsabile regionale per l’America Latina di Talitha Kum, di storie come quelle di Valeria ne ha incontrate tante. «Stiamo vivendo la peggiore crisi migratoria della nostra storia – spiega – con una linea sottile tra il traffico di migranti e la tratta di esseri umani. Ora la situazione si aggrava con le pressioni e le ingiuste politiche migratorie del governo statunitense». Lei non perde la speranza, che l’ha portata a Roma nell’anno del Giubileo.

Suor Carmen (a destra) insieme alle sue sorelle

Suor Carmen (a destra) insieme alle sue sorelle – .

Le “top suore”, come le chiama Daniela Alba, sono così d’altronde. «Mi hanno conquistato subito per la loro energia, il loro riuscire a dare e ridare vita a qualsiasi cosa». Lei, Daniela, è laica, ma da quando ha incontrato Talitha Kum si è unita alle suore nella lotta contro la tratta. «L’ho sperimentata sulla mia pelle, sono finita in strada quando costretta a fuggire dalla Colombia mi sono ritrovata senza niente e sola a New York». Il passato è un’ombra che le oscura il viso per un istante. «Un giorno ho trovato la forza per ricostruirmi, ho incontrato anche io una suora che mi ha salvato. E non mi è bastato: ho pensato che dovevo testimoniare e lavorare perché altre donne fossero salvate come me e raccontassero la loro storia». Sorride ripetendo che c’è Dio, in ogni persona capace di fare del bene senza chiedere nulla in cambio. Cerca Dio facendo questo bene. È convinta, come tutte le altre attorno a lei, che possa bastare per sconfiggere il male della tratta. E va avanti a farlo.

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