Non temo Trump in sé, temo il Trump in noi

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L’idea di Gaza come opportunità immobiliare ci appare alienante e spaventosa, ma non è per nulla estranea alla nostra cultura, ne è anzi espressione. Ad alcuni, addirittura, parrà certamente un’opzione intelligente.

Giorni fa Trump ha lanciato un’idea che ha scosso la politica internazionale: gli Stati Uniti potrebbero prendere possesso di Gaza e trasformarla in una “Riviera del Medio Oriente“, con grattacieli e resort, dopo aver trasferito altrove la popolazione palestinese. La proposta, annunciata durante una conferenza stampa con Netanyahu, ha quel sapore di pulizia etnica mista a fantasia imperialista.

Le reazioni globali sono state di sdegno. Amnesty International ha parlato di “distruzione di un popolo”. Arabia Saudita, Turchia, Francia, Cina e altri paesi hanno condannato il concetto di una Gaza spopolata e riorganizzata in funzione di interessi economici. Ma al di là della condanna pubblica, la proposta racchiude una mentalità più diffusa di quanto vorremmo ammettere.

Conto e carta

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Mi chiedo quante persone, leggendo la notizia, abbiano pensato, anche solo per un istante: «Però, grattacieli e resort a Gaza… Può essere carino. Il mare…». Mi chiedo quanti abbiano percepito una logica, una positività nell’idea di sfruttare quell’area per costruire un nuovo modello economico. L’idea di Gaza come opportunità immobiliare ci appare alienante e spaventosa, ma non è per nulla estranea alla nostra cultura, ne è anzi espressione. In altre parole: talvolta non temo Trump in sé, temo il Trump in noi.

Un crisi è un affare

La nostra società ormai si fonda sulla convinzione che tutto sia riconfigurabile, che ogni crisi possa essere trasformata in affari, che la soluzione ai problemi non sia mai la giustizia, ma la crescita economica. Guardiamo alla storia non per riparare, ma per ristrutturare. Per creare valore. «Quanto varrà quel terreno? Ci vuole immaginazione, visione. Guarda che se lo sistemi…».

Accettiamo passivamente, e da tempo, aberrazioni molto più contenute, sì, ma con uno schema simile: non reagiamo se le comunità vengono cacciate per fare spazio a progetti commerciali, non reagiamo se un quartiere storico smette di essere un luogo da abitare e diventa il regno di Airbnb e dei turisti disposti a pagare per “un’esperienza”. Siamo assuefatti all’idea che il mondo sia composto da beni monetizzabili e che il dolore o la vita contino meno delle soluzioni di investimento.

Il problema non è solo Trump. Il problema è che, se la sua idea fosse stata proposta con più garbo, senza quel sapore di deportazione (che però per Trump è come il prezzemolo), alcuni avrebbero trovato più difficile negarne la razionalità. Forse, anzi, questa idea è proprio quel che serve a Trump per normalizzare in via definitiva il concetto di deportazione o pulizia etnica. Ti mostro l’idea razionale, il progettone, lo metto accanto all’orrore. L’estrema destra fa così: fa filtrare le idee, crea l’abitudine, accosta il male a nozioni che la società già padroneggia.

L’idea di ordine espressa in un mattone

Un altro aspetto della mentalità trumpiana che ci appartiene è l’attrazione per l’ordine. Gaza oggi è macerie, disperazione, sofferenza umana. L’idea di cancellare tutto e di ripartire dal mattone è, di nuovo, un impulso della nostra cultura: rimuovere e sostituire con un progetto chiaro, netto, lineare. Spazzare via il problema e decorare gli spazi risultanti con qualcosa di pulito, organizzato, visivamente rassicurante. Trump come l’influencer che ti aiuta a rivoluzionare gli scaffali della cucina. «Primo: eliminate. Secondo: scegliete un tema, un’estetica».

Questo impulso è alla base di molte scelte politiche ed economiche della nostra epoca: la preferenza per soluzioni rapide e visibili rispetto a processi lenti e faticosi. La giustizia storica, la riconciliazione, il diritto, i diritti? Troppo complicato. Meglio un resort.

C’è poi l’idea che la politica debba funzionare come gli affari. Trump ama proiettare un’immagine di sé del tipo “sono pur sempre un palazzinaro”. Non per caso. Il linguaggio dell’efficienza aziendale ha colonizzato la vita pubblica. Le città devono essere “competitive”, i governi “snelli”. I problemi sociali devono avere “soluzioni pragmatiche”. L’idea che l’armonia possa essere raggiunta attraverso un investimento economico appare meno grottesca di quanto dovrebbe. Ad alcuni, addirittura, parrà certamente intelligente.

L’errore che possiamo fare è continuare a trattare Trump (o equivalenti) come un soggetto misterioso. Non lo è, non più. Per la seconda volta è il Presidente di un paese che plasma la cultura occidentale. Ormai vive anche di rendita ideologica: non fa che portare all’estremo dinamiche già presenti nel nostro modo di pensare e di vivere. Gli serviranno per costruire, in futuro, nuove estremizzazioni.

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