Ludovica Chiarini e la magia del cinema che diventa green

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Ludovica Chiarini, trentenne bresciana, è la project manager di EcoMuvi, un servizio integrato per lo sviluppo sostenibile delle produzioni cinematografiche e audiovisive. “Mi sono laureata al DAMS di Brescia – spiega Chiarini – con una tesi dal titolo Cinema verde per il Pianeta Blu, in cui ho esplorato le pratiche sostenibili nel cinema a livello internazionale, con un focus particolare sugli Stati Uniti e successivamente ho conseguito un master specialistico in Leadership for Sustainability presso la Malmö University, in Svezia. Il mio lavoro attuale come Ceo di EcoMuvi e Sustainability Supervisor per il cinema e l’audiovisivo si concentra sulla promozione e l’implementazione di strategie di sostenibilità per le produzioni audiovisive, combinando ricerca accademica ed esperienza pratica”.

EcoMuvi nasce nel 2013 per accompagnare le produzioni cinematografiche e audiovisive in un percorso di sostenibilità attiva. “Collaboro – racconta Chiarini – con i team di produzione per pianificare ogni aspetto in modo da ridurre l’impatto ambientale, dall’uso delle risorse alla gestione dei rifiuti. Al contempo lavoriamo per uno sviluppo sostenibile a tutto tondo, che massimizzi gli impatti positivi sociali sul territorio di ripresa e i risparmi economici per il budget del progetto. Grazie alla mia esperienza internazionale, mi ispiro alle migliori pratiche europee ed internazionali, adattandole al contesto italiano. Oltre agli aspetti pratici come la gestione dei trasporti, l’energia rinnovabile e la riduzione degli sprechi, credo che sia fondamentale adottare una mentalità progettuale. Le produzioni devono essere consapevoli del loro potenziale impatto e pianificare ogni fase per minimizzarlo. Strumenti come la rendicontazione di sostenibilità permettono di misurare i risultati e di identificare aree di miglioramento. Ciò fa sì che si possa lavorare in maniera preventiva e non solo “reagendo” alle brutte abitudini del set. Inoltre, la collaborazione con partner internazionali ci ha permesso di portare innovazioni tecnologiche e organizzative sul set che rappresentano un passo avanti per tutto il settore”.

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Chiarini analizza i principali nodi legati alla sostenibilità nel settore cinematografico. “La magia del cinema” – spiega – fa sì che lo spettatore non conosca il metodo produttivo, sostenibile o meno che sia, tramite cui ciò che vede sul grande schermo diventa realtà: ciò impedisce di scegliere un film poiché sostenibile, tanto quanto fa invece per le proprie scelte di consumo alimentare o di abbigliamento. La seconda questione riguarda invece la natura produttiva: ogni progetto è un’isola, poiché ha caratteristiche sempre diverse dal precedente, con un team di lavoro che si costituisce ad hoc per il progetto e poi si divide su altre strade. Ogni film deve vivere la propria transizione di sostenibilità dall’inizio alla fine nel giro di poche settimane, senza la possibilità di costruire pezzo per pezzo una maggiore consapevolezza e implementazione come può invece succedere in altri settori che lavorano in modalità più continuativa. Infine, uno dei principali ostacoli istituzionali è l’assenza di standard uniformi a livello europeo. Mentre alcune realtà internazionali hanno sviluppato un consenso coeso e avanzato sul proprio territorio, in Italia siamo ancora in una fase iniziale di adozione sistematica. Abbiamo lavorato per accreditare il disciplinare EcoMuvi ad ACCREDIA: ciò garantisce anche la conformità alle normative europee, in particolare al Regolamento CE n. 765/2008 e agli obiettivi dell’Agenda 2030. In ultimo, per quanto riguarda ciò che vediamo sullo schermo, c’è bisogno di maggiore formazione per i professionisti del settore, affinché comprendano come integrare pratiche sostenibili nel loro lavoro quotidiano senza compromettere la creatività”.

Chiarini è fiduciosa che il settore cinematografico possa raggiungere dei traguardi significativi nella tutela del nostro ecosistema.

Sono convinta che il cinema abbia il potere unico di influenzare il modo in cui percepiamo il mondo.

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“Noi parliamo di tre tipologie di narrativa climatica: sicuramente c’è un livello di superficie che prevede di poter inserire dei messaggi subliminali di buone pratiche all’interno dei contenuti che guardiamo (un esempio può essere la protagonista che riempie la borraccia prima di uscire di casa); a seguire abbiamo quello che gli anglosassoni chiamano planet placement quindi la modalità di inserire in maniera anche un po’ più forzata e ironica il tema dell’ambiente (magari la protagonista durante la storia guarda la tv e guarda un programma a tema). Infine, quello che più ci piace promuovere è la sostenibilità integrata: un livello più difficile da raggiungere che implica l’inserimento del contesto climatico in tutte le storie che raccontiamo. Badate bene, non si tratta di “indottrinare” la trama o produrre film a tema, ma semplicemente far sì che i protagonisti delle nostre storie vivano in un mondo dove il contesto climatico esiste tanto quanto esiste quello sentimentale, economico, politico. Mi piace pensare alla sostenibilità non solo come ad un insieme di pratiche, ma come a un’ispirazione per innovare e migliorare il nostro modo di raccontare storie. Ridurre l’impatto non significa rinunciare a qualcosa, ma piuttosto scoprire nuovi modi per esprimere creatività e responsabilità, dando un contributo tangibile al futuro del nostro pianeta”.



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