La moda tra orizzonti di gloria e processi di autodistruzione

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Dire che la moda sia oggi ancora rilevante è molto difficile, considerando che, come il cambiamento climatico, anche nella moda e nel cosiddetto lusso si è innescato una sorta di suicidio per aver lasciato le regini in mano al consumatore e aver perso il controllo della catena de valore della moda


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Poter affermare, oggi, che cosa sia veramente rilevante nel mondo della moda e capire se la moda sia ancora rilevante è impresa assai ardua. Prima di tutto, dobbiamo intenderci sulla terminologia. In generale, per prodursi, la “rilevanza” ha sempre bisogno di almeno due entità, due elementi costitutivi: un primo che, per differenti motivazioni, meriti o eccezionalità, abbia la potenzialità di essere rilevante, e un secondo che la certifichi. Se ne deduce che nessun fatto, cosa o persona possa essere rilevante in valore assoluto, ma sempre in termini relativi: una persona, per esempio, può essere rilevante solo “rispetto” a qualcuno o “per” qualcuno. Un tennista è rilevante “rispetto” agli altri giocatori suoi colleghi ed è rilevante “per” il pubblico che lo acclama. Lo stesso principio si applica al mondo della moda e ai suoi protagonisti. Nell’ultimo decennio, con i fondi di investimento che hanno preso possesso dei marchi e attraverso diverse forme di acquisto introdotte, come l’e-commerce, siamo passati da un sistema “creativo-impositivo” in cui lo stilista dettava al consumatore quello che doveva indossare, a un modello “consumer-centric” dove il cliente finale ha cominciato ad imporre al sistema moda le proprie esigenze, le proprie tempistiche e le proprie disponibilità economiche.

Prima arriva dunque il volere del consumatore, quindi la creatività, perché i nuovi proprietari hanno l’ambizione di poter rivendere il marchio, dopo tre anni, al triplo del suo valore iniziale. Alla luce di questo, dire quindi se la moda sia oggi (ancora) rilevante è cosa assai difficile, se si considera che, come nel cambiamento climatico, anche nella moda e nel cosiddetto lusso, abbiamo innestato un meccanismo quasi irreversibile di auto-distruzione. Le prime avvisaglie ci sono state proprio nel rapporto tra ciò che può essere rilevante e appunto chi lo deve considerare tale: lasciando le redini in mano al consumatore, abbiamo presto perso il controllo della catena del valore della moda, al punto che oggi chi crea e chi compra non si capiscono, non riescono più a parlarsi: quello che viene creato non piace oppure è troppo caro e chi deve comprare è confuso, disorientato, troppo povero o ormai troppo viziato, da non capire cosa vuole o cosa gli piaccia. Un ulteriore peggioramento lo abbiamo riscontrato nell’effetto “timing”: che la moda fosse un’araba fenice  è cosa nota. Ma almeno i gusti e le preferenze avevano durata maggiore, tempi di obsolescenza più lunghi.

Ora, anche la caducità di questa percezione ha creato un’ulteriore spada di Damocle: quanto riteniamo rilevante oggi, non lo sarà più domani o viceversa, fino al prossimo click su Tik tok o fino al prossimo swap su Instagram. Letteralmente da un minuto all’altro, il consumatore contemporaneo può cominciare ad amare o a detestare un prodotto o uno stilista, il tutto aggravato da due dettagli: la decisione può essere definitiva e il livello di passione con il quale si odia o si ama è spesso molto elevato e violento. Quindi, malsano. Immaginiamoci quindi con che spirito allegro e propositivo un Alessandro Michele o un Sabato De Sarno possano presentarsi in passerella, sapendo che quello potrebbe essere letteralmente il loro ultimo giorno, perché ormai il cliente schizofrenico (che è stato in rapida successione drogato, vezzeggiato, spremuto, illuso, coccolato e poi abbandonato dalle politiche discutibili di alcuni marchi) esattamente come madre natura inquinata, ora presenta il conto. O meglio, semplicemente, non si presenta più alla cassa a pagare.  Lo scenario è davvero tutto così nero? I marchi del lusso sono davvero così in crisi da lasciare (stupidamente) terreno libero a Zara che può raddoppiare i prezzi prendendosi quote di mercato in upscaling? Forse sì. Anzi sì, quasi per certo. È arrivato il momento che chi siede nella stanza dei bottoni si decida a bloccare questo inesorabile conto alla rovescia prima che sia troppo tardi. Impoverendoci creativamente. Però per sempre.
 





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