il futuro è di chi sviluppa competenze nuove

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


Il futuro sarà dominato da realtà con competenze profonde in settori chiave, dalla biomedicina ai modelli predittivi per la gestione delle risorse. Ma l’Europa – e in particolare l’Italia – non sembra cogliere questo fenomeno. Se vogliamo affrontare seriamente le implicazioni dell’IA e della trasformazione digitale, dobbiamo sostituire la retorica con metodo, evidenze e rigore scientifico

Il dibattito sull’IA è un’arena dominata da semplificazioni e slogan vuoti. Decisioni cruciali – dai regolamenti alla destinazione dei fondi pubblici – si basano su interpretazioni superficiali, spesso suggerite da chi non ha strumenti per comprenderne le implicazioni reali. Il racconto è sciatto, fuori fuoco e ci condanna all’irrilevanza: senza una visione strategica, l’Europa e l’Italia resteranno spettatori in una rivoluzione che non aspetterà nessuno. L’intelligenza artificiale non è un’entità monolitica capace di risolvere o distruggere il mondo: è solo un tassello della più ampia rivoluzione dei dati. Se non ne afferriamo il significato profondo, rischiamo di perderci dietro parole d’ordine e illusioni, mentre altri costruiscono il futuro.

Da quando i dati hanno iniziato a saturare ogni ambito della nostra vita, il modo in cui conosciamo e decidiamo è cambiato radicalmente. L’intero sistema dell’informazione si è frantumato in mille narrazioni personalizzate. Il buon senso informato è diventato un optional. Non sappiamo più distinguere tra chi ha competenze reali e chi è solo abile nel raccontare storie: è il declino dell’expertise. Il rischio concreto è che decisioni con impatti economici enormi vengano prese sulla base di percezioni errate e narrative improvvisate, anziché su dati e modelli rigorosi.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Il mercato dell’informazione ha riscritto il rapporto tra comprensione e narrazione. Approfondire è un lusso, verificare è un freno, semplificare è la regola. L’informazione non richiede più esperti, ma storyteller. Il dibattito sulla disinformazione diventa esso stesso un esempio di questa dinamica: da dieci anni il Global Risks Report indica la disinformazione come uno dei pericoli globali, senza che nulla cambi. Questa crisi della competenza è evidente ovunque: nella politica, nei media, nella regolamentazione delle tecnologie emergenti. Abbiamo bisogno di metodo, rigore e un approccio quantitativo strutturato.

L’analisi dei dati deve guidare il processo, non essere adattata a narrazioni preesistenti. Anche l’ecosistema dell’IA e dei dati sta evolvendo verso la verticalizzazione e la specializzazione. Il futuro sarà dominato da realtà con competenze profonde in settori chiave, dalla biomedicina ai modelli predittivi per la gestione delle risorse. Ma l’Europa – e in particolare l’Italia – non sembra cogliere questo fenomeno. Il caso DeepSeek ha dimostrato che esiste ancora spazio per costruire un’alternativa europea all’egemonia tecnologica americana e cinese. Ma mentre gli altri costruiscono, noi disperdiamo risorse. Invece di investire in poli di eccellenza per fare massa critica, frammentiamo i finanziamenti in una galassia di progetti scollegati. Altri attori globali costruiscono le infrastrutture che definiranno i prossimi decenni, l’Europa resta incastrata in una gestione miope, soffocata dalla burocrazia.

Pubblicare un libro con una casa editrice è sufficiente per essere considerati esperti, indipendentemente dalla qualità del contenuto. Il valore della competenza è stato sostituito dalla capacità di occupare spazi mediatici, la percezione dell’autorevolezza si costruisce più sulla presenza nei circuiti dell’informazione che sulla solidità scientifica. Questa dinamica è particolarmente evidente nel dibattito sull’IA, dove voci prive delle minime nozioni di base influenzano regolamentazioni e strategie industriali. Il risultato è un’asimmetria pericolosa tra chi sa e chi decide, con conseguenze dirette sulla capacità dell’Europa di restare competitiva.

Se vogliamo affrontare seriamente le implicazioni dell’IA e della trasformazione digitale, dobbiamo sostituire la retorica con metodo, evidenze e rigore scientifico. Le data-driven policy non possono essere uno slogan: devono essere guidate da un sistema di governance basato sui dati. Serve una cabina di regia scientifica, in grado di connettere ricerca avanzata, dati e governance.

Se il futuro è specializzazione e competenza, mentre il nostro presente è mediocrità e improvvisazione, la conclusione è una sola: l’Europa deve cambiare rotta. Sappiamo leggere i fenomeni complessi attraverso i dati, ma non sappiamo sfruttare questo potere perché siamo troppo abituati a credere che la speculazione teorica sia sufficiente. Non lo è. Non possiamo più permetterci di delegare la comprensione della trasformazione digitale a influencer e opinionisti improvvisati. O cominciamo a farlo sul serio, o resteremo fuori dai giochi, pronti a dare la colpa a fattori esterni invece di ammettere che non abbiamo voluto capire dove stava andando il mondo.

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link