Il caso Almarsi, caso serio ma gestito senza stile politico

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Un punto di vista etico. Ogni governo deve prendere decisioni, almeno in parte, immorali.
Ma con il caso Almasri il governo Meloni ha adottato le modalità sbagliate.
Ha deciso da solo, escludendo rigorosamente le opposizioni. Quindi ha deciso male

Il caso del cosiddetto capo della polizia giudiziaria libica Almasri, fermato in Italia e poi ricondotto dall’Italia a Tripoli, nonostante fosse colpito da un mandato d’arresto della Corte Penale di Giustizia dell’Aia, è ormai noto a tutti. Anche se è stato e starà a lungo sulla scena politica, perché troppo a lungo ci sono state  silenzi e tergiversazioni e cambiamenti di versione da parte della Presidente Meloni e del Governo e della maggioranza. 

Il caso e la sua portata etica

Difficile dire qualcosa di nuovo, dopo tante parole. Ma, secondo noi, esso non è stato del tutto colto per quello avrebbe potuto significare come modello esemplare del difficile rapporto tra etica e politica o, meglio, della politica come attività etica.

Non vogliamo scoprire l’acqua calda. Tutti sanno che la politica è arte del possibile, nel senso che non può sempre (anzi quasi mai lo fa) compiere il “bene” in se stesso, ma casomai cerca di fare quel bene che è il migliore rispetto alla condizione storica e ambientale. Perché la politica è costruzione della città dei molti e diversi e molte e diverse sono le giustificazioni e le ripercussioni di un gesto politico.

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Però quell’individuo si era macchiato di infami crimini contro l’umanità nella sua terra (la Libia), esercitando un potere di vita e di morte sui migranti in  transito verso l’Europa (verso l’Italia, soprattutto). Era caduto nelle nostre mani in una maniera così banale e sprovveduta da mostrare quanto egli si sentisse al sicuro. E ne aveva, evidentemente, motivo, perché “scellerati” patti precedenti, anche da noi stipulati, avevano autorizzato il suo Paese ad arrestare il flusso migratorio irregolare, senza porre tante condizioni o limiti. E la sua sicurezza è stata confermata dal fatto stesso che è stato subito rilasciato e ricondotto al suo Paese a cura e spese del nostro Governo. 

La decisione “necessaria” del governo

Il fatto ha suscitato enorme scalpore politico, perché quei delitti erano troppo infamanti, perfino per invocare la ragion di Stato; e invece il nostro Stato si è rifiutato di sanzionarli, contravvenendo anche a una giustizia sovranazionale. Ma dall’altro piatto della bilancia stava un grande problema di sicurezza nazionale, perché un intervento di reclusione da parte dell’Italia avrebbe scatenato ritorsioni (e forse attentati) contro il nostro Paese: contro cittadini italiani residenti in Libia, contro le nostre aziende e i nostri rapporti commerciali; sarebbe saltato ogni contenimento dei migranti in attesa ed essi sarebbero stati lanciati in massa verso le nostre coste. Teniamo presente che la Libia non ha ora una forma precisa di Stato né tantomeno di Stato democratico; che è vano invocare la distinzione dei poteri e deprecare l’illegittimità della ritorsione (che peraltro spesso compiono anche Paesi cosiddetti civili e grandi democrazie).

Il Governo era in una situazione critica. Giudicando tra due mali straordinari, ha fatto quella che riteneva la scelta del male minore. E che “minore”! Ha liberato uno che è detto torturatore, stupratore, assassino. Nessun Governo avrebbe desiderato trovarsi in una situazione simile; e probabilmente ogni Governo avrebbe fatto una scelta in qualche misura dolorosa e… immorale. Anche perché c’erano le premesse di accordi intercorsi. Anche perché un arresto e una condanna di Almasri non avrebbero eliminato né addolcito l’atteggiamento libico di sopruso nei confronti dei migranti: che forse anzi l’avrebbero accentuato. Comprendiamo perciò le ragioni dell’indignazione e anche quelle d’una scelta tanto facile da capire quanto difficile da giustificare: il che spiega la riluttanza del Governo a riferire.

Che cosa avrebbero fatto De Gasperi e Moro

Ma è proprio la solitudine in cui ha deciso il Governo che, da un lato, ci intristisce, ma dall’altro ci indispettisce. Ogni politica avrebbe forse preso una decisione imperfetta, ma non ogni politica l’avrebbe presa con queste modalità. E questo è un discrimine forte ed è la piccola, ma non insignificante, novità che vogliamo introdurre nel discorso, che finora abbiamo perfino brutalmente irrigidito per arrivare in tempo a questa proposizione.

Ho cercato di immaginarmi come avrebbe reagito un De Gasperi o un Moro in questa situazione e mi sono fatto convinto che essi avrebbero alzato il telefono e avrebbero chiamato, sia pure in via riservata, Togliatti o Berlinguer, cioè i capi della loro opposizione (che pur erano comunisti veraci), per renderli edotti della situazione critica per il Paese, per farli responsabili della situazione e partecipi di una soluzione, affinché il caso serio non solo trovasse la migliore soluzione possibile, ma diventasse addirittura un fattore di coesione nazionale. E sono quasi sicuro che l’appoggio non sarebbe mancato e che, comunque ogni tipo di soluzione sarebbe stata svelenita.

Che cosa ha fatto Meloni

Non così ha agito il Governo attuale. Si è mosso da solo, nell’isolamento più assoluto, senza coinvolgere in alcun modo l’avversario, dimostrando quello che a mio avviso è il limite più grande della sua visione politica, che è quella di ogni destra mondiale attuale: quella di considerare la competizione politica come una lotta di amico contro nemico, non un confronto di idee diverse; quella di considerare la politica come attività dhe divide e non che include. Di qui arriva il desiderio di irrigidire e assolutizzare il potere: “chi vince prende tutto”; di annullare i poteri intermedi o non politici: “solo le elezioni sono momento di confronto”; “i giudici si facciano eleggere, se vogliono condannare chi governa”. 

Il caso attuale potrebbe dimostrare quanto più fruttuosa sarebbe, anche per chi ha il potere, una visione partecipativa dialogica del decidere. Quanto più utile sarebbe ai fini della politica, che è la pace sociale e il bene comune, un atteggiamento che coinvolgesse anche l’opposizione, specie in un caso come questo che non toccava necessariamente un programma di governo, ma chiedeva uno stile, cioè che, al di là della diversità ideologica, avrebbe dimostrato un modo di fare politica come servizio alla concordia civile e al rasserenamento della vita dei cittadini, qualunque sia il potere che li comanda.



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