Ecuador al voto tra criminalità e crisi energetica

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Domenica elettorale domani per le presidenziali e il rinnovo dell’Assemblea nazionale e dei membri nazionali del Parlamento andino. Oltre 13 milioni i cittadini chiamati alle urne in una terra stretta tra Pacifico, Colombia e Perú. L’analisi di Damiano Scotton, docente di Relazioni internazionali all’Università dell’Azuay, nel sud del Paese latinoamericano

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Frontiere chiuse fino a lunedì, rafforzati i controlli, intensificati i pattugliamenti militari nei porti e la sorveglianza dello spazio aereo. Sono alcune delle misure messe in atto dalle forze armate dell’Ecuador, secondo un ordine del presidente Daniel Noboa per prevenire possibili attacchi da parte di bande criminali alle elezioni generali di questa domenica nel Paese latinoamericano. La sicurezza è una delle grandi questioni che accompagna il voto per le presidenziali e per il rinnovo sia dell’Assemblea nazionale sia dei delegati di Quito al Parlamento andino, che si tiene a due anni dalle consultazioni straordinarie del 2023, innescate dall’applicazione del meccanismo costituzionale della “muerte cruzada” da parte dell’ex presidente Guillermo Lasso, prima che fosse votato l’impeachment nei suoi confronti con l’accusa di corruzione e malversazione di fondi pubblici. All’inizio dello scorso anno, il Paese è stato scosso da profonde violenze delle bande armate legate al narcotraffico, con attacchi a università, ospedali, studi televisivi, disordini nella carceri, per le strade e nei centri abitati, nel quadro di una nazione che è salita tristemente in vetta nella lista delle più violente dell’America Latina, in un intreccio tra criminalità locale e cartelli internazionali della droga: già nel 2023 l’Ecuador era diventato il Paese con il più alto tasso di omicidi nella regione (47,2 per 100.000 abitanti), arrivando a toccare la cifra record di 8.000 morti solo quell’anno. Noboa, a gennaio 2024, ha dichiarato il “conflitto armato interno” per far fronte alle violenze, classificando le bande criminali come gruppi terroristi e avviando una serie di misure per arginare l’insicurezza.

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La lotta alle bande armate e al narcotraffico

«Se togliamo i primi mesi, verso fine febbraio – inizi di marzo, in cui si parlò molto del fatto che la polizia era per strada, con i militari che arrestavano i narcotrafficanti o comunque i componenti delle bande, poi con il passare del tempo ci si è resi conto però che si mantenevano più o meno stabili gli indici di criminalità, soprattutto sulla costa del Paese, a Guayaquil, Machala, Manta, Esmeraldas», spiega Damiano Scotton, docente di Relazioni internazionali all’Università dell’Azuay, nel sud dell’Ecuador. Da Cuenca, dove i media vaticani lo hanno raggiunto telefonicamente, riferisce che «il cosiddetto “Plan Fénix”, messo in atto per aumentare la sicurezza nel Paese, di fatto non ha portato allo smantellamento delle bande di trafficanti o all’arresto di alcuni dei grandi capi di queste bande: in manette sono finiti principalmente quelli che sono parte di tali gruppi, che in moltissimi casi sono ragazzi dei quartieri più poveri delle grandi città che — senza volerli giustificare — entrano in questo circolo criminale perché non hanno nessun’altra opportunità. Cioè, la situazione che c’era un anno fa di fatto c’è anche adesso». Il dilagare delle gang in Ecuador è legato all’esplosione delle rotte della cocaina che passano attraverso il Paese per dirigersi ai grandi mercati illegali degli Stati Uniti e dell’Europa. «L’Ecuador è posizionato in modo strategico geograficamente — fa notare Scotton — nel senso che siamo nella parte settentrionale del Sud America, sulla costa del Pacifico, in un’area “ideale” per il transito illecito della droga, come porto di partenza. Inoltre si trova tra Colombia e Perú, due dei maggiori Paesi esportatori, loro malgrado, di stupefacenti. E questo ha fatto sì che in Ecuador ci siano state per anni grandi infiltrazioni di carattere mafioso, dei cartelli della droga, soprattutto messicani, che hanno visto nell’Ecuador una specie di porto franco tanto verso gli Stati Uniti, quanto verso l’Europa. La stessa cosa con i cartelli colombiani, specialmente all’epoca delle Farc. Ciò non vuol dire che siamo ai livelli del Messico o della Colombia: in Ecuador ci sono gruppi che potremmo definire di contatto, che fungono da intermediari verso le altre destinazioni dei carichi della droga, è più una questione di controllo delle rotte di transito che di controllo del traffico in sé».

Ascolta l’intervista con Damiano Scotton

I black out energetici

Assieme alla sicurezza, tra le principali preoccupazioni della popolazione nel Paese andino — gli elettori chiamati alle urne sono oltre 13 milioni — rimangono la crisi energetica e le recenti lunghe interruzioni d’elettricità. «Abbiamo avuto black out periodici a livello nazionale dovuti a una mancanza d’acqua, per la scarsità di piogge, da aprile a dicembre: in un Paese che si basa sull’energia idroelettrica, se non piove non funzionano le centrali e quindi non c’è corrente. Si è vissuta una situazione davvero critica, soprattutto a settembre, ottobre e novembre, in cui si sono avuti blackout regolati di anche 12 ore al giorno, con i negozi che non riuscivano più a tenere aperte le serrande perché non c’era luce, mentre aumentava l’insicurezza in particolare di notte», riporta il docente dell’Università dell’Azuay. Temi questi rimbalzati anche nella campagna elettorale dei sedici candidati alle presidenziali. I sondaggi danno in testa lo stesso Noboa, magnate di centro destra del Movimiento Acción Democrática Nacional (Adn) che si candida per un nuovo mandato, seguito da Luisa González, la candidata progressista correista del Movimiento Revolución Ciudadana (Rc), esponente di quella sinistra di Rafael Correa al governo nella nazione sudamericana dal 2007 al 2017. L’analista di origine padovana, trapiantato a Cuenca da 14 anni, fa notare come l’attenzione dell’opinione pubblica in queste settimane in Ecuador si sia stata focalizzata pure sulle polemiche legate alla riluttanza di Noboa a delegare le funzioni presidenziali durante la campagna elettorale alla vicepresidente in carica Veronica Abad, designando invece Cynthia Gellibert, fin qui ai vertici della Pubblica amministrazione. I decreti sono stati poi dichiarati incostituzionali dai giudici di Quito, alla vigilia della chiusura della campagna elettorale.

La sfida per le presidenziali

In generale il programma di Noboa, osserva Scotton, è stato «orientato principalmente alla liberalizzazione, quindi alla diminuzione dell’investimento statale, molto più focalizzato in certi settori piuttosto che in altri, a fomentare la piccola e la grande impresa, soprattutto abbassando le imposte. In ambito internazionale, il candidato dell’Adn è molto più vicino alle recenti posizioni statunitensi. Proprio di questi giorni è l’annuncio di sanzioni economiche dall’Ecuador al Messico, quindi verso i prodotti messicani, per allinearsi a quello che ha fatto Donald Trump negli Usa, con i dazi al Messico, poi congelati per un mese». Il programma della González è invece stato «basato su grandi investimenti di carattere sociale e su una forte statalizzazione del Paese, puntando a un riposizionamento internazionale dell’Ecuador, al fine di toglierlo dall’allineamento che ha avuto negli ultimi anni con gli Stati Uniti, soprattutto in generale col mondo occidentale, e orientarlo molto di più verso l’area Brics, quindi Russia, India, Cina soprattutto». Tra gli altri, nella corsa alla prima carica dello Stato rimane inoltre in lizza, anche se più staccato nelle previsioni di voto, il candidato del partito che rappresenta le istanze delle popolazioni indigene Pachakutik, Leonidas Izas, presidente della Confederazione dei popoli indigeni dell’Ecuador (Conaie), tra i movimenti al centro delle proteste del 2022 indette per chiedere riforme economiche e sociali e la fine della corruzione. «La Conaie — evidenzia infine Scotton — fa un discorso basato sul rifiuto assoluto alle politiche neoliberali, a politiche che possano dare priorità all’investimento privato, all’impresa privata, al di sopra di quello che potrebbe essere un eventuale investimento sociale».



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