Il progetto per gli impianti sciistici nel comprensorio di Colere Lizzola non piace a molti. Per contrastare questo progetto l’Associazione Proletari Escursionisti organizza per domenica 9 febbraio una camminata.
In occasione della mobilitazione nazionale La Montagna non si Arrende, domenica 9 febbraio “saremo sui sentieri che da secoli collegano Valbondione a Lizzola, per ribadire la nostra contrarietà a un’opera dannosa e inutile” annuncia l’Ape, acronimo di Associazione Proletari Escursionisti. Il ritrovo è previsto alle 8 di domenica al parcheggio Bonaldi di Bergamo, zona rondò delle Valli e alle 9.15 a Grumetti di Valbondione. Da qui si partirà per una cammina, un giro ad anello di circa 10 chilometri, per un dislivello di 400 metri. Consigliata come attrezzatura: ramponcini, bacchette da neve, abbigliamento invernale
Itinerario
Da Pianlivere, 970 mt circa, dopo Valbondione, si attraversa il fiume Serio e si prende a salire nel bosco con alcuni tornanti fino al nucleo di Maslana, 1150 mt circa. Superate le varie contrade di cui si compone il borgo, seguendo il sentiero si ritorna presso il Fiume Serio. Dopo aver attraversato il ponte, si risale lungo una mulattiera fino all’incrocio con il sentiero che porta al Rif. Curò. Qui si lascia la mulattiera e si segue il sentiero che porta prima alle baite di Valbona e, successivamente, a Lizzola.
“In paese ci sarà un momento di confronto con il Collettivo terreAlt(r)e con cui, da alcuni mesi, siamo impegnati a opporci al progetto di collegamento degli impianti sciistici di Colere e Lizzola – scrivono sul proprio sito Ape -. Successivamente, da Lizzola, attraverso il sentiero che taglia i tornanti della strada che porta a Valbondione, scenderemo per raggiungere le auto.
Ricordiamo che chi promuove l’iniziativa NON svolge funzione di guida o di accompagnamento e non ha responsabilità di alcun tipo verso terzi. Invitiamo tutti coloro che volessero essere coperti da eventuali incidenti a sottoscrivere una polizza assicurativa per la giornata. Qui ne trovate una rapida ed economica www.assicurazioneescursionismo.it/outdoor-smart. In caso di condizioni meteo avverse il giorno dell’evento o nei giorni precedenti, l’itinerario potrebbe cambiare. Invitiamo le persone interessate a monitorare i canali social di APE Bergamo per eventuali aggiornamenti a riguardo. A fronte di profondi cambiamenti climatici, ambientali, sociali ed economici, i progetti per lo sviluppo delle terre alte prevedono sempre la solita ricetta, impianti di risalita e nuovi comprensori sciistici, con l’obiettivo di attrarre una fascia di popolazione sempre più esigua”.
“Come ormai noto, tra Lizzola e Colere è in fase di progettazione un nuovo comprensorio che dovrebbe nascere dall’unione dei due già attualmente esistenti – scrivono in una nota apparsa sul sito -. Un progetto faraonico, che prevede la realizzazione di nuovi impianti a fune, nuove piste e un traforo di circa 450 mt al di sotto del Pizzo di Petto, a quote medio basse, considerando che l’altitudine massima sarebbe poco sotto i 2200 mt. Circa 70 milioni di euro di costi previsti per la realizzazione, di cui 50 pubblici, verosimilmente destinati ad aumentare. Il tutto in una zona fragile e importantissima per l’ecosistema alpino orobico. A nostro parere, questi mega-progetti non portano beneficio alla montagna e ai suoi abitanti. L’insostenibilità ambientale, sociale ed economica è evidente nel momento in cui si leggono le proposte di progetto. Comprendiamo le preoccupazioni di chi vive nelle terre alte e vede in quest’opera un’occasione per far rinascere località in cui disservizi e continuo spopolamento sono una dura realtà. Di fronte alle critiche basate sull’assenza di alternative e che vedono queste proposte come ultime opportunità per rilanciare territori morenti, però, ci chiediamo, di quante ultime occasioni di questo tipo abbiamo bisogno? Negli ultimi 40 anni, l’unico modello di rilancio proposto per i luoghi di montagna di tutta la penisola si è basato su mega-progetti per la realizzazione di impianti a fune e nuovi comprensori sciistici. A fronte di una promessa di rinascita e benessere, però, da 40 anni i territori montani conoscono solo disgregazione delle comunità, impoverimento culturale, spopolamento e, in ultimo, problemi connessi ai cambiamenti climatici che ne minano l’integrità. Forse è arrivato il momento di cambiare visione e pensare ad altro. Non abbiamo soluzioni preconfezionate da proporre, ma alternative a questo modello di sviluppo esistono e prevedono un interesse e una partecipazione attiva di tutti coloro che attraversano i territori montani, a partire da chi ci abita”.
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