Addio a Degasperi, una vita per il padre ucciso dai nazisti  – Bolzano

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BOLZANO. Se ne è andato esattamente negli stessi giorni, in cui, ottant’anni fa, suo padre Tullio veniva caricato dai nazisti su uno degli ultimi convoglio partiti dalla Zona industriale di Bolzano per il lager di Mauthausen. Ivan Degasperi, che aveva appena nove anni, suo padre non lo rivide mai più, sparito nel sotto campo di Gusen.

Ivan Degasperi si è spento a 90 anni dopo una breve malattia. Per tutta la sua vita, insieme al fratello Enzo, si è battuto perché il sacrificio del padre e di sei altri operai della Zona, i “Sette di Gusen” uccisi dai nazisti, ricevesse il giusto tributo. Sette partigiani. Sette bolzanini: Tullio Degasperi. Walter Masetti. Adolfo Beretta. Decio Fratini. Erminio Ferrari. Romeo Trevisan. Gerolamo Meneghini.

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Un tema tabù nel clima omertoso del dopoguerra. Solo negli ultimi anni, grazie a una ricerca dell’Archivio storico del Comune, la città ha pagato in parte il suo debito. Solo pochi mesi fa, la soddisfazione di vedere l’apposizione di una “pietra d’inciampo” in Zona dove una volta sorgeva la Magnesio, la fabbrica di Tullio. Ivan stava già male, ma non volle mancare. Sapeva che non gli restava ancora molto tempo.

«Il lager ha inghiottito mio padre e mi ha fatto orfano – raccontava -. Ricordo quando mi prendeva in braccio. Se chiudo gli occhi sento ancora il profumo della sua acqua di colonia. Ho il grande rimpianto di non averlo potuto conoscere davvero…».

Tullio Degasperi, che faceva parte del gruppo di Manlio Longon, venne preso dalla Gestapo il 19 dicembre 1944, insieme ad altri sei capocellula della Zona industriale. «Sappiamo chi li ha traditi – diceva senza rabbia Ivan -. Era uno di loro, un compagno che non ha retto alle torture. Dopo la guerra lo abbiamo visto molte volte. Nessuno ha mai detto niente, non c’era bisogno. Non proviamo rancore. Erano tempi difficili. E non tutti nascono eroi». Il primo febbraio 1945 le SS li portano ai binari di via Pacinotti insieme ad altri 541 internati del lager di via Resia. C’è la neve alta un metro, è una giornata livida, gelida, disperata.«Nostro padre era certo che non sarebbe più tornato». Ivan ha conservato tutta la vita un foglio di carta velina ripiegato più volte, scritto fitto a matita. L’ultimo messaggio del padre: «1-2-45. Lina se riceverai questa mia vorrà dire che sono già partito per la Germania come deportato… Baciami forte i miei piccoli, digli di pregare tanto per il loro papà».

Un testamento destinato alla moglie e ai figli, che Tullio getta dal carro merci, avvolto in un sasso, e che viene raccolto da un vecchio sulla strada, che lo consegnarà alla moglie Lina. Nella lettera, Tullio dà disposizioni molto precise. La sua preoccupazione sono i figli, che in quel periodo vivevano a Trento con i nonni paterni. Mamma Lina scende subito a Trento a prenderli. «Siamo arrivati a Bolzano con una colonna di tedeschi che ci ha lasciato a ponte Roma. Ricordo i fumi che salivano dalla Zona, le case popolari di via Torino… Da quel momento siamo diventati bolzanini». Tullio Degasperi faceva parte dell’aristocrazia operaia. Elettromeccanico, nel 1944, Manlio Longon lo chiama a Bolzano, alla Magnesio, dove viene messo a capo di un Gap, un gruppo di azione partigiana. Ivan aveva un ricordo vivo di Longon. «Una volta venne a casa nostra, a Trento. Mi prese in braccio. Ero un bambino, non avevo la percezione di quello che stava accadendo. Longon era un uomo elegante e gentile. Il loro era un legame molto forte, cementato dall’antifascismo. Avevano scelto da che parte stare. E non avevano dubbi».

Assistono gli internati del lager con una rete clandestina molto organizzata, forniscono informazioni preziose agli alleati. Tullio – che come nome di battaglia sceglie “Ivan”, lo stesso del figlio più piccolo – è anche addetto alla propaganda, nasconde il ciclostile, tiene i contatti con gli americani. E poi: sabotaggi, azioni armate. È un uomo maturo, esperto, con i nervi d’acciaio. Ha 39 anni, cinque più di Longon. È l’uomo di fiducia di Ferdinando Visco Gilardi, un capo partigiano straordinario che riuscì a far evadere decine di persone dal campo di via Resia. Tullio ai figli non dice nulla, nemmeno a Enzo, che è più grande e qualcosa intuisce.

Ivan Degasperi conservava gelosamente una foto di suo padre in tuta da lavoro alla Magnesio. «Questa foto ha una storia- spiegava -: è stata trovata nel 1995 dai figli di un collega di papà dopo che era morto. La teneva nel portafoglio. Si chiamava Sante Brendolin». Dietro, in bella calligrafia, c’è scritto: «Compagno Degasperi Tullio, assassinato nel campo di concentramento di Mauthausen». Un ricordo, un tributo, una reliquia.

Un’altra foto: novembre 1944. Tullio abbraccia i figli Enzo e Ivan sorridenti in giacca e calzoni corti. Dietro si legge: «Foto fatta senza un motivo, l’ultimo ricordo di papà». La Gestapo prende Degasperi il 19 dicembre 1944, cinque giorni dopo Longon, proprio alla Magnesio, in officina. «Il racconto di quella giornata ci è stato fatto più volte dai compagni di mio padre. Un’operaia del reparto, staffetta partigiana, appena ha sentito arrivare i tedeschi ha fatto sparire la pistola che lui teneva sul tavolo da lavoro. Se l’avessero trovata, sarebbe stato fucilato sul posto».

I tedeschi portano Tullio e gli altri sei al Corpo d’Armata. Il primo gennaio 1945 Longon muore nella cantine del palazzo, impiccato. Nel gennaio 1945 Degasperi viene rinchiuso nel lager di via Resia, blocco celle, accanto a don Daniele Longhi. Il primo febbraio la partenza. L’ultimo convoglio per i campi nazisti, il numero 119. Di Tullio e degli altri non si saprà più niente.

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Nell’autunno del 1945 iniziano a rientrare via Brennero i prigionieri dai lager liberati. Le famiglie affollano la stazione di Bolzano. Si cercano figli, fratelli, padri. La stazione si riempiva di gente. «Madri che urlavano i nomi dei figli. Padri aggrappati a un filo di speranza. Mogli che piangevano… Tutti avevano una foto in mano e la mostravano». L’hai visto? Lo conosci? Ti ricorda qualcuno? È vivo? È morto? Sai dov’è? «Una scena straziante che si ripeteva ad ogni arrivo. Tornavamo a casa sfiniti. E senza notizie di nostro padre». Nell’aprile del 1946 è la Croce Rossa internazionale a mettere la parola fine. Poche righe: «Tullio Degasperi deceduto a Gusen, 26 aprile 1945». Gusen, campo satellite di Mauthausen, a una manciata di chilometri da Linz, Austria. A Gusen i tedeschi obbligavano i prigionieri a lavorare per l’industria bellica. A guerra persa, hanno fatto saltare tutto. Hanno ammassato i prigionieri nelle grotte e minato. Così è morto Tullio Degasperi, partigiano, operaio di 39 anni, marito e padre di due bambini. Così sono morti i «sette di Gusen». I loro resti dispersi chissà dove.

I funerali lunedì 10 febbraio 2025 alle 15 alla Sala del commiato in cimitero.

 





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