Niqab a scuola, il Garante per l’Infanzia condanna e Valditara vuole cambiare la legge: tutti contro il “medioevo culturale che discrimina le donne”

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Il 6 febbraio potrebbe essere stato un giorno importante, forse di svolta, per le studentesse che indossano il niqab a scuola: tra i tanti a prendere posizione contro la pratica musulmana è stato anche il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Marina Terragni, secondo il quale le ragazze che indossano il niqab a scuola creano dei presupposti negativi a proposito della loro “effettiva integrazione nel contesto scolastico e sociale”.

Il Garante ha detto che le notizie che giungono dall’istituto “Pertini” di Monfalcone – con alcune studentesse del locale istituto professionale costrette a essere ‘identificate’ da un’insegnante a ogni ingresso a scuola perché il loro viso è nascosto dal niqab, velo integrale – sollevano molte preoccupazioni sulla libertà di queste ragazze e sulla loro effettiva integrazione nel contesto scolastico e sociale”.

Per il Garante, insomma, queste pratiche “contravvengono ai più elementari diritti e ostacolano il pieno sviluppo della personalità di chi è costretta a subirne l’imposizione”.

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“Bambine e ragazze – ha aggiunto Marina Terragni – devono essere libere di crescere armoniosamente, seguendo ciascuna le proprie più autentiche vocazioni: la consapevolezza che il proprio corpo non può essere in alcun modo umiliato e mortificato fa obbligatoriamente parte di questo percorso. L’auspicio è che sul caso di Pordenone e su ogni caso analogo il Ministero dell’Istruzione e del Merito ponga la massima attenzione”.

E non ha tardato ad arrivare la risposta del ministro Giuseppe Valditara, che dopo avere “condiviso il messaggio del Garante” ha ricordato che “la scuola deve essere un luogo di vera integrazione, di relazioni umane solide e trasparenti, di valorizzazione della dignità della persona, un luogo in cui ragazze e ragazzi siano liberi di crescere armoniosamente”.

Secondo Valditara, “non si deve caricare la scuola di responsabilità che non le competono”. Quindi, il titolare del Mim ha invocato “una legge che riveda la normativa vigente”, perché senza questa “non si può chiedere a dirigenti scolastici e docenti più di quanto ha fatto la preside della scuola di Monfalcone”.

Anche per la Lega “il velo a scuola non è integrazione ma sottomissione”: il partito del Carroccio ha già presentato una proposta di legge, a prima firma Lezzi, con cui si vieta l’utilizzo del niqab nei luoghi pubblici e ne chiede la calendarizzazione urgente.

Secondo Alberto Villanova, capogruppo Lega-Liga Veneta al Consiglio regionale del Veneto, “la proposta dei colleghi leghisti del Friuli Venezia Giulia di vietare burqa e niqab nei luoghi pubblici è una battaglia di civiltà. Già nel 2017, è stato approvato un regolamento regionale da me proposto per vietare l’accesso alle strutture pubbliche regionali, come ad esempio negli ospedali, alle persone che lo indossano. Chi entra nei nostri palazzi regionali, quindi, grazie al mio regolamento, deve essere identificabile proprio per consentire di verificarne le generalità”.

Per Villanova “non è solo una questione di sicurezza, bensì anche di civiltà. Quel velo nero non nasconde solo il volto: è un ostacolo alla piena integrazione, una barriera che tiene relegate le donne in un mondo separato. Se le comunità che vivono in Italia vogliono essere davvero integrate nel nostro Paese, devono accettarne regole, usi e costumi. Voglio sperare che la sinistra ci sostenga in questa battaglia: il burqa è il simbolo di un medioevo culturale che discrimina le donne. Va abolito per sempre con una legge statale che lo vieti in modo chiaro”.

Pure per il leader di Azione, Carlo Calenda, “è inaccettabile – scandisce – che in Italia venga consentito l’uso del niqab a scuola. Oltre ad essere uno strumento di oppressione delle donne è contrario alla normativa italiana sulla riconoscibilità della persona nei luoghi pubblici. Integrazione e tolleranza verso pratiche mortificanti e violazione delle norme sono cose molto diverse”.

Tra coloro che conoscono da vicino la scuola, ha parlato il presidente Anief Marcello Pacifico, secondo il quale “esiste un codice di comportamento per la scuola secondaria che andrebbe seguito al di là dei credo e dei costumi per una scuola che deve essere laica e rispettare non soltanto i costumi ma la parità di genere, vera grande sfida che ancora dobbiamo vincere nella nostra società”.

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Per il coordinatore della Gilda degli insegnanti, Vito Carlo Castellana, “la scuola educa alla libertà di pensiero, all’autonomia e all’integrazione. La cultura e le tradizioni ne devono tenere conto e devono sempre essere rispettosi dei diritti dei minori e della loro libertà“.

Il deputato della Lega Rossano Sasso, capogruppo in commissione Cultura, ha invece puntato il dito contro “la dirigente scolastica dell’istituto”, che “ha dichiarato che è giusto che la scuola si adatti alle esigenze delle alunne islamiche, predisponendo che una docente verifichi ogni giorno l’identità delle studentesse. Siamo dinanzi al fallimento della missione educativa: se una scuola si adatta e di conseguenza giustifica e tollera la sottomissione della donna, allora c’è qualcosa di profondamente sbagliato sia sotto il profilo pedagogico che culturale, e certi docenti e dirigenti scolastici dovrebbero capirlo, nonostante le proprie idee ‘progressiste’”, ha sottolineato l’ex sottosegretario.

Sasso ha detto quindi che a proposito della “proposta di legge a prima firma Iezzi, con cui si vieta l’utilizzo del niqab nei luoghi pubblici, adesso ne chiediamo la calendarizzazione urgente. Con buona pace della sinistra e degli immigrati islamici che gioiscono quando qualche dirigente scolastico chiude le nostre scuole per il ramadan o tolgono il crocifisso dalle aule per non urtare la sensibilità degli immigrati, mentre sbraitano quando il Ministro Valditara propone qualche lettura della Bibbia. Questa non è integrazione, questa è sottomissione“.

Anche il centro-sinistra, però, non sembra d’accordo con il velo integrale: la senatrice del Pd Tatjana Rojc ha detto che “in Italia tutti i cittadini sono tenuti al rispetto dell’ordinamento civile, giuridico e costituzionale italiano, dunque anche alla legge che prevede che la persona dev’essere riconoscibile e quindi avere il volto scoperto. E’ un punto chiarissimo su cui non c’è da discutere, si tratti di maschere, caschi o veli”.

E ancora: “Si tratta di garantire la piena applicazione della legislazione vigente, assicurare che nessuno imponga alle donne come vestirsi o alle ragazze di nascondere il viso, salvaguardare i presupposti di una equilibrata integrazione”.





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