«Ne abbiamo abbastanza», Tel Aviv blocca i lavori al consiglio dell’Oms

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Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 


Tachicardia diplomatica al comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in corso questa settimana a Ginevra. La 156ma sessione dell’organo di governo dell’Oms si snoda all’indomani della decisione di Donald Trump che sancisce l’uscita degli Usa dall’agenzia. È il primo passo di una fuga dal sistema Onu che – dopo Oms e Consiglio dei diritti umani – investe più luoghi del multilateralismo. Due giorni fa gli Stati Uniti si sono ritirati dal negoziato su una convenzione internazionale sulle tasse, appena avviato a New York. Che si tratti di un colpo definitivo, come quello sferrato alla Società delle Nazioni dopo la prima guerra mondiale ricordato nell’intervento di Mattarella a Marsiglia, è difficile sostenerlo. La comunità internazionale comprende oggi oltre 190 paesi. Ma le sirene della fuga ispirando emulazione.

L’Argentina ha comunicato la sua uscita dall’Oms, l’Ungheria sta considerando di fare la stessa cosa, voci di corridoio alludono ad altri paesi prossimi in uscita. Ai delegati che ci interpellano sull’uscita dell’Italia dall’Oms rispondo che la Lega naviga in solitario, munita solo delle imbarazzanti ideologie di senatori incompetenti. Insomma, oltre la retorica recitativa su centralità e indispensabile ruolo normativo dell’Oms, si discute di soldi più che di impatto sanitario della decisione di Trump, e non si vedono salvatori all’orizzonte. La necessità di stringere la cinghia potrebbe aprire la strada a visioni sanitarie incardinate sui determinanti socio-ambientali della salute e sulla prevenzione delle malattie, al posto dei costosi approcci biomedici.

Ci sono poi le devastazioni sanitarie prodotte dalle guerre. Emergenze intrattabili, «senza precedenti», come nel caso di Gaza. Unprecedented è la parola che affiora costantemente negli interventi dei delegati nella discussione sulla salute nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme, che dal 1968 ritualmente polarizza il clima diplomatico dell’Oms. Il tema è più caldo che mai, dopo 15 mesi di crimini impunemente commessi da Israele. Il rapporto del direttore generale stila, senza mai citarne il soggetto responsabile, il catalogo e i numeri delle violazioni commesse sui palestinesi, le conseguenze dei dislocamenti forzati e ripetuti sotto le bombe, l’impatto gli attacchi agli operatori sanitari e umanitari. Il mancato accesso ad acqua, cibo, elettricità, servizi sanitari ha devastato la popolazione civile. Il 2% della popolazione è stata uccisa, più di 110.000 persone sono state ferite e hanno bisogno di un’assistenza sanitaria non più esistente nella Striscia. Le infrastrutture sanitarie sono quasi del tutto fuori uso, mentre circa 14mila pazienti richiedono una pronta evacuazione per interventi di urgenza, per non parlare dell’assistenza psicologica dopo un simile trauma, impossibile malgrado il cessate il fuoco.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

«Ne abbiamo abbastanza»: la reazione di Israele sfida ruvidamente la «politicizzazione della salute» in seno all’Oms e la elaborazione di documenti (a suo dire) «di parte». Il delegato israeliano accusa Hamas come principale responsabile dell’uso di ospedali e autoambulanze a scopi terroristici, rivendica la lotta del suo paese contro ogni strumentalizzazione da parte dell’Onu, in quanto «stato democratico che rispetta gli obblighi legali internazionali». Con la sola eccezione dell’Argentina, la risposta degli altri delegati emerge con coerenza: lamentano il livello della devastazione, evidenziano l’insufficienza di un cessate il fuoco temporaneo, invocano la necessità di soluzioni politiche – Cina, Cile, Pakistan, Colombia, Spagna, puntano sulla soluzione di due stati. Le Maldive condannano esplicitamente Israele e la delegazione palestinese ricorda che la vicenda di Gaza è una sveglia alla moralità, e legalità internazionale. Il sostegno a Unrwa, agenzia insostituibile per la vita dei palestinesi, viene richiamata più volte, ed è inseparabile dall’azione dell’Oms.

L’opposizione di Israele paralizza il dibattito in un’esasperante spirale procedurale che si conclude nel voto dei 34 paesi del consiglio esecutivo: uno non vota, 5 si astengono, 26 sono a favore della risoluzione Oms, 2 votano contro. Solo dopo due ore, i lavori all’Oms possono riprendere come da programma.



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