Maggio 1996. Nada Cella, 25 anni, viene trovata in fin di vita nello studio del commercialista Marco Soracco, dove lavora come segretaria. È in una pozza di sangue. Qualcuno le ha sferrato una decina di colpi alla testa con un oggetto appuntito, forse un fermacarte o una pinzatrice. Quella che di lì a poco diventerà una scena del crimine viene immediatamente inquinata. E il delitto di via Marsala a Chiavari, in provincia di Genova, passerà alla storia come uno dei più grandi cold-case italiani. Dopo anni e anni di indagini, di fascicoli aperti e richiusi senza mai arrivare a un processo, nel 2021 si riparte da zero. E ieri, per la prima volta, il caso dell’omicidio di Nada Cella arriva in un’aula di Tribunale.
LA SVOLTA
Al banco degli imputati, davanti alla Corte d’Assise genovese, siedono l’ex insegnante Anna Lucia Cecere, accusata di avere ucciso la donna per gelosia, Marco Soracco – l’unico presente ieri – che deve rispondere di favoreggiamento, e Marisa Bacchioni, madre del commercialista a sua volta imputata per lo stesso reato del figlio. Una prima udienza che, a distanza di 28 anni e nove mesi, potrebbe portare finalmente alla chiusura del cerchio. A raccontare la riapertura delle indagini – la terza, dopo quelle del 1996 e del 2005 – è stato Stefano Signoretti, ex dirigente della Squadra Mobile di Genova, che quattro anni fa si è messo al lavoro sul caso. «Ho deciso di approcciare la riapertura dell’inchiesta come se l’omicidio fosse avvenuto il giorno prima. Siamo ripartiti da zero, senza dare nulla per scontato». Dall’ascolto dei testimoni all’analisi dei reperti rinvenuti sulla scena del crimine, fino alla rilettura delle carte dell’epoca. «Abbiamo incontrato persone reticenti, si è sfiorata l’omertà», ha spiegato. Per questo a un certo punto sono state anche disposte le intercettazioni: «Abbiamo dovuto farlo, perché da subito abbiamo avuto difficoltà ad acquisire informazioni». A dare una svolta è stato il bottone trovato sulla scena del delitto, sporco di sangue e rimasto sotto al corpo della vittima. Un oggetto senz’altro «riconducibile all’omicida», che però ai tempi sembrava non appartenere a nessuno della cerchia di Nada. Cinque bottoni rinvenuti a casa di Cecere erano poi risultati essere dello stesso modello, anche se apparentemente diversi per via di una cornice di plastica mancante.
IL MOVENTE
A carico della donna, che secondo l’accusa sarebbe stata gelosa della 25enne per il suo posto di segretaria e per le attenzioni che Soracco le avrebbe rivolto, vi sono poi anche due testimoni che avevano visto sotto allo studio commercialisti, in un orario compatibile con il delitto, una donna che era poi stata collegata a lei. Agli atti, anche un’intercettazione tra il commercialista e il suo avvocato dell’epoca, in cui i due commentavano un articolo di giornale su una donna misteriosa come possibile assassina e Soracco diceva che secondo lui poteva essere la Cecere. L’ex insegnante, che oggi ha 56 anni, era stata iscritta nel registro degli indagati per pochi giorni e poi archiviata «in modo repentino». Il commercialista e la madre sono accusati di averlo coperto. Il processo ieri si è aperto con lo stralcio delle accuse di madre e figlio di false dichiarazioni al pubblico ministero e con la decisione che in questa fase debbano rispondere del solo favoreggiamento. La Corte ha anche respinto la questione della legittimità costituzionale avanzata dal difensore Andrea Vernazza, che assiste il commercialista, il quale sosteneva che la decisione dei giudici d’appello sul rinvio a giudizio dovessere essere motivata.
Dopo che per il gup aveva prosciolto Cecere in quanto il quadro probatorio «contraddittorio e insufficiente» non avrebbe portato a formulare una «ragionevole previsione di condanna», la Corte d’Appello aveva infatti voluto il processo. «Sono sempre stato sereno – ha detto il commercialista al suo arrivo in aula -, mi ha sempre dato la forza in questi 29 anni la mia coscienza pulita. Affronto con serenità il processo nonostante 29 anni di illazioni». Presente all’udienza anche la cugina della vittima Silvia Cella: «Aspettiamo chiarezza, verità e giustizia», ha detto ai microfoni del Tg3. «Anche togliendosi i vestiti del parente, è pazzesco. Rivivere l’omicidio è veramente terrificante» non è questione di vendetta, ma solo di giustizia».
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