L’agricoltore è digitale? – Agricoltura digitale

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L’interoperabilità è la capacità di diversi sistemi, software e dispositivi di scambiarsi dati in modo efficace e automatizzato. Nell’agricoltura moderna, ogni macchina, sensore o applicativo genera una mole enorme di dati, ma spesso questi rimangono confinati nei sistemi proprietari dei diversi fornitori, impedendo agli agricoltori di avere una visione completa delle proprie operazioni.

 

Come ha spiegato Ivano Valmori, ceo di Image Line® e direttore responsabile di AgroNotizie®, “gli agricoltori producono un quantitativo industriale di dati attraverso migliaia di dispositivi, dai satelliti alle sonde nel terreno, ma la maggior parte di questi software non comunica tra loro”. Il rischio è che l’agricoltore, che vorrebbe essere digitale, rimanga digitante, costretto a inserire manualmente le stesse informazioni in più sistemi.

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Cos’è l’interoperabilità?

 

L’interoperabilità, quindi, permette di raccogliere un dato una sola volta e renderlo disponibile per tutti gli applicativi, senza doverlo reinserire manualmente. Questo non solo semplifica il lavoro dell’agricoltore, ma migliora anche la gestione aziendale, l’efficienza produttiva e la sostenibilità ambientale.

 

Di come promuovere l’interoperabilità nel settore agricolo si è discusso durante un convegno organizzato lo scorso 29 gennaio da Veronafiere in collaborazione con Image Line® e Accademia dei Georgofili, nell’ambito di Fieragricola TECH 2025. L’incontro “Interoperabilità in agricoltura: stato dell’arte e prospettive” ha visto la partecipazione di Gianluca Brunori, docente dell’Università di Pisa e membro dell’Accademia dei Georgofili, e di Andrea Cruciani, fondatore e ceo di Agricolus®.

 

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Il valore dei dati e la sfida della digitalizzazione

Gianluca Brunori ha centrato il suo intervento sul valore dei dati in agricoltura e sulle sfide che il settore deve affrontare per sfruttare appieno il potenziale della digitalizzazione.

 

Secondo Brunori, l’agricoltura si trova a un bivio: da un lato, la tendenza alla semplificazione che ha caratterizzato il settore negli ultimi decenni, con monocolture e protocolli standardizzati, ha permesso di aumentare la produttività, ma ha anche reso i sistemi agricoli meno resilienti. Dall’altro, la complessità dell’ambiente agricolo non può essere ingabbiata in schemi rigidi, e la digitalizzazione può essere la chiave per gestire questa complessità senza sacrificare efficienza e sostenibilità.

 

Brunori ha paragonato la trasformazione digitale a quella delle scarpe intelligenti: un oggetto di per sé semplice, ma che, dotato di sensori e connettività, diventa un sistema capace di raccogliere dati e connettersi con altri dispositivi, creando nuove opportunità di utilizzo. Allo stesso modo, l’agricoltura digitale non riguarda solo la raccolta dati, ma la capacità di combinarli in modi innovativi per migliorare la produzione.

 

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Da sinistra a destra: Andrea Cruciani, Ivano Valmori e Gianluca Brunori

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani – AgroNotizie®)

 

Un altro punto chiave sottolineato da Gianluca Brunori è il ruolo della consulenza agricola nella rivoluzione digitale. Spesso si pensa che il flusso di dati avvenga direttamente tra il produttore di tecnologia e l’agricoltore, ma in realtà le decisioni aziendali vengono spesso mediate da consulenti. Se questi non hanno accesso a dati interoperabili, il loro ruolo diventa inefficace. “Non possiamo pensare alla consulenza agricola come cento anni fa, con la cattedra ambulante”, ha affermato Brunori. “Oggi, la consulenza deve integrarsi con i sistemi digitali per fornire agli agricoltori informazioni tempestive e basate su dati reali”.

 

Infine, il docente dell’Università di Pisa ha affrontato il tema della sovranità dei dati, un aspetto cruciale del Data Act europeo. L’agricoltore deve avere il controllo sui propri dati, decidendo chi può utilizzarli e a quali condizioni. Finora, ad esempio, non era chiaro se i dati raccolti dai macchinari e dalle piattaforme software appartenessero all’agricoltore o al fornitore della tecnologia. Il Data Act, che entrerà in vigore nel 2025, chiarisce questi aspetti e impone l’obbligo di rendere i dati accessibili agli utenti finali in modo semplice e automatico.

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Interoperabilità, ostacoli e progetti di collaborazione

Andrea Cruciani, ceo di Agricolus®, ha portato l’esperienza di chi lavora direttamente con i dati agricoli. Agricolus® sviluppa software per la gestione delle aziende agricole e il precision farming, integrando dati satellitari, modelli predittivi e informazioni provenienti dalle macchine agricole.

 

Uno dei problemi principali dell’interoperabilità, ha spiegato, è che gli stessi dati assumono significati diversi a seconda del contesto in cui vengono utilizzati. Ad esempio, un dato sulla proteina di un cereale può essere utile per ottimizzare la concimazione in campo, ma assume un valore completamente diverso nel settore della trasformazione alimentare. Per questo, è necessario sviluppare modelli di dati standardizzati che permettano di trasferire le informazioni da un dominio all’altro senza perdere significato.

 

Un altro ostacolo è la tempistica della disponibilità dei dati. Spesso i dati ufficiali, come quelli dei Piani Colturali Grafici (Pcg) di Agea, arrivano in ritardo rispetto alle necessità operative degli agricoltori. Questo crea problemi di sincronizzazione tra ciò che succede in campo e i documenti amministrativi richiesti. Secondo Andrea Cruciani, serve un’integrazione in tempo reale tra le informazioni operative e quelle burocratiche, evitando discrepanze e inutili riconciliazioni ex post.

 

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Un tema delicato è quello del vendor lock-in, ovvero la pratica di alcune aziende di limitare l’accesso ai dati per mantenere il controllo sui propri clienti. Cruciani ha ricordato che molte piattaforme offrono software gratuiti agli agricoltori, ma in cambio ottengono i loro dati, che vengono poi utilizzati per fini commerciali. “Negli Stati Uniti, già dieci anni fa gli agricoltori avevano capito che cedere i propri dati significava perdere potere negoziale”, ha detto Cruciani. In Europa, invece, questa consapevolezza è ancora bassa.

 

Per favorire la condivisione dei dati in modo sicuro e trasparente, Andrea Cruciani ha ripreso il concetto di Data Space, un ambiente in cui i dati vengono organizzati secondo standard condivisi e resi accessibili agli utenti autorizzati. Questo modello, promosso dall’Unione Europea, mira a creare un mercato dei dati agricoli in cui ogni attore può decidere con chi condividere le informazioni e a quali condizioni.

 

Infine, Cruciani ha sottolineato che l’interoperabilità non è solo una questione tecnica, ma anche un problema di modelli di business. “Le aziende devono capire che collaborare sui dati genera più valore rispetto a tenerli chiusi nei propri sistemi”, ha affermato. Tuttavia, molte imprese temono di perdere il controllo e faticano ad adottare un approccio aperto.

 

Concludendo, il convegno ha evidenziato come l’interoperabilità dei dati sia una sfida complessa ma necessaria per il futuro dell’agricoltura.

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Superare le barriere attuali richiede:  

  • Standardizzazione dei formati per facilitare la comunicazione tra sistemi diversi. Come sottolineato da Valmori, è una questione di ontologia, occorre che tutti usino lo stesso vocabolario. E per questo è nata Ai4FARM®, un’associazione di impresa volta proprio a sviluppare un dizionario comune.
  • Sincronizzazione delle informazioni operative e amministrative per evitare discrepanze.
  • Chiarezza sulla proprietà dei dati, garantendo agli agricoltori il pieno controllo sulle informazioni generate.
  • Modelli di business sostenibili, che incentivino la condivisione dei dati anziché il loro blocco.

 

Nei prossimi anni, grazie alle nuove normative europee e agli sforzi di aziende e istituzioni, l’interoperabilità potrebbe finalmente diventare realtà, portando benefici concreti per gli agricoltori e l’intera filiera agroalimentare.

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