Kellogg andrà a Monaco a presentare il piano Usa

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L’incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump è sicuro al 100% e avverrà «presto», entro il mese di marzo. Lo ha dichiarato ieri il presidente della Commissione esteri della Duma, Leonid Slutsky. La comunicazione della politica estera di Mosca è ormai tutta orientata a dimostrare che si è in una nuova fase, che raggiunge il suo parossismo quando si ammicca alla divisione del mondo in blocchi da Guerra fredda: «i leader delle due maggiori potenze del pianeta devono restare in stretta collaborazione tra loro». Ma l’amministrazione di Washington non si sottrae al gioco dalla distanza e rilascia indiscrezioni a cadenza regolare. Come quella rivelata da Bloomberg a proposito del fatto che il piano «a lungo atteso per porre fine alla guerra della Russia contro l’Ucraina» sarà presentato alla Conferenza sulla sicurezza che si terrà dal 14 al 16 febbraio a Monaco, in Germania.

L’INCARICO sarà affidato all’inviato speciale di Trump per l’Ucraina, Keith Kellogg, che lo rivelerà in una riunione a porte chiuse e riporterà al presidente Usa. Al quale sarà poi lasciato il palcoscenico per annunciarlo al mondo. «Gli elementi» anticipati dalle fonti delle agenzie, «includono il potenziale congelamento del conflitto e la possibilità di lasciare il territorio occupato dalle forze russe in un limbo, fornendo all’Ucraina garanzie di sicurezza per assicurare che Mosca non possa attaccare di nuovo». Quali, non è specificato, ma i commentatori sono concordi nel parlare di una soluzione che porti «pace attraverso la forza». Eppure l’ingresso nella Nato, tanto invocato da Zelensky e dai suoi, sembra essere tramontato definitivamente. Dunque, è logico attendersi che secondo gli Usa il compito di difendere l’Ucraina per supportare l’iniziativa di Trump ricadrà sull’Europa. Kellogg ha inoltre ribadito che gli Usa vorrebbero la convocazione delle elezioni in Ucraina dopo il cessate il fuoco e non oltre il 2025. L’altro elemento dirimente della trattativa potrebbe essere quello delle cosiddette «terre rare», che gli Usa potrebbero chiedere in cambio del sostegno all’Ucraina. Dopo Monaco Kellogg parlerà con alcuni leader dell’Ue prima di atterrare a Kiev il 20 febbraio, a soli 4 giorni dal terzo anniversario dall’inizio dell’invasione russa. Intanto il presidente Zelensky ha esteso la legge marziale fino al 9 maggio. Ma i tempi della tregua sembrano essere molto più stringenti, la stampa Usa parla addirittura di un accordo prima di Pasqua.

NELLE ULTIME ORE l’inviato di Trump si è però lasciato sfuggire una battuta che ci fa capire molto delle reazioni di Washington alle pressanti richieste di difesa che provengono da Zelensky. Il capo di stato aveva improvvisamente inserito la fornitura di armi nucleari tra le possibili garanzie di sicurezza accettabili per il suo paese. «Il processo di adesione alla Nato può durare anni o decenni, quindi è necessario un pacchetto di supporto per l’Ucraina, che può essere costituito da armi nucleari» aveva dichiarato. Ma Kellogg, intervistato ieri da Fox News, ha risposto che la possibilità che Kiev ottenga armi atomiche «è tra esigua e nulla». Il Cremlino «condivide e accoglie con favore» le affermazioni del fedelissimo di Trump. Forse rientra in questa corrispondenza d’amorosi sensi la dichiarazione di ieri del portavoce di Putin, Dmitri Peskov: singolare che potrebbe essere interpretata come un’ulteriore apertura alla nuova amministrazione Usa: il social network X (di proprietà di Elon Musk), potrebbe essere sbloccato nel territorio della Federazione «se soddisferà tutti i requisiti della legislazione russa».

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C’è però un elemento in controtendenza. La 26° riunione del Gruppo di contatto per l’Ucraina (noto come «Gruppo di Ramstein») che si terrà il prossimo 12 febbraio a Bruxelles, non sarà guidata dagli Usa, sebbene Washington ne detenga la presidenza ufficiale. Sullo scranno più alto siederà la Gran Bretagna, che ha confermato la notizia. Nei mesi scorsi i funzionari di Trump avevano più volte ventilato l’ipotesi di disimpegnarsi dal formato Ramstein e qualcuno a Kiev temeva addirittura che il gruppo potesse essere sciolto. Al momento nessuna delle due ipotesi si è verificata, ma la mossa di Washington lancia un segnale per il futuro.



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