Michele Maresca, vice-coordinatore del Desk MENA, ha avuto il piacere di intervistare il ricercatore e analista Abdulaziz Algashian, specializzato in affari mediorientali. Nel corso dell’intervista sono stati affrontati vari temi di spiccata importanza per il presente e il futuro della regione: la possibile normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele, le motivazioni alla base dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, l’agenda del Presidente Donald Trump in Medioriente e la strategia saudita in Siria. Ringraziamo Abdulaziz Algashian per la disponibilità e la cortesia mostrate nel rispondere alle nostre domande.
Algashian, a che punto erano i discorsi per la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele prima del 7 ottobre 2023? Cosa mancava per la conclusione dell’accordo tra le parti?
L’esistenza di una “componente palestinese” come base per concludere un accordo è sempre stata sul tavolo delle trattative. La realtà è che l’Arabia Saudita negozia la forma che tale componente deve assumere con i palestinesi stessi: quello che è bene per la Palestina è bene per il Regno saudita. Per quanto riguarda la specifica richiesta dei palestinesi, essa è parte di una complessa rete di negoziati che comprende anche sauditi, israeliani e americani.
Lei ritiene che l’attacco di Hamas del 7 ottobre sia stato motivato dalla volontà di minare il dialogo per la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita?
Non penso che la scelta di Hamas sia stata motivata da ciò. Il contesto in cui l’attacco è avvenuto era di per sé potenzialmente incandescente, come molti osservatori avevano notato. Se l’organizzazione palestinese avesse voluto complicare le trattative tra i sauditi e gli israeliani, avrebbe compiuto un’azione diretta a ottenere una reazione diversa da parte dell’Arabia Saudita (ancora aperta a una normalizzazione con Israele, NdR). La stessa Hamas è frammentata al suo interno, con diverse correnti che operano e pensano in modo diverso tra di loro. I loro calcoli sono davvero difficili da provare, ma molte persone vogliono farlo perché intendono “mantenere vivo il fuoco della normalizzazione”.
Fig. 1 – Abdulaziz Algashian, ricercatore e analista saudita specializzato in affari mediorientali | Foto: profilo Linkedin di Abdulaziz Algashian
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che strada ritiene possano prendere i negoziati per la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita? Il Presidente degli Stati Uniti eserciterà una maggiore pressione sul Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu al fine di giungere a un accordo definitivo?
Penso che i dialoghi possano riprendere non appena Trump si insedierà alla Casa Bianca. Non sono mai stati del tutto abbandonati, ma nel caso del nuovo Presidente americano c’è una sorta di “legacy” legata agli Accordi di Abramo (avviati durante la Presidenza Trump, NdR). C’è della speranza perché Trump è una figura che può, teoricamente, applicare una pressione su Netanyahu per convincerlo a garantire ai sauditi le concessioni da loro richieste per la normalizzazione dei rapporti con Israele. La realtà, però, è che l’Arabia Saudita vede nel Primo Ministro israeliano una figura maggiormente incline ad annettere ulteriori porzioni di territorio piuttosto che ad assicurare ai sauditi quanto da loro indicato per giungere alla normalizzazione.
Algashian, lei è impegnato nel favorire una normalizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo che avvenga sulla base di presupposti stabili e duraturi. Qual è la direzione da intraprendere per giungere a tale auspicata realtà?
Si tratta di una domanda che mi pongo da anni. La realtà è che tutto ruota intorno alla “questione palestinese”, non ci sono altre strade. Le relazioni con Israele sono sempre state sviluppate “sotto traccia” e sono destinate per il momento a rimanere in questo stato. Se si parla di rapporti formali, invece, si fa riferimento a un tema completamente diverso. Credo che i presupposti per una svolta dipendano da una consapevolezza generale, interna alla società israeliana e a quella araba, circa la necessità di una vera pace che deriverebbe da un grande accordo per la normalizzazione dei propri rapporti.
Fig. 2 – Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sigla un accordo volto alla vendita di armi dal valore di 110 miliardi di dollari all’Arabia Saudita, nel 2017
La prima visita all’estero del nuovo Ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shibani è stata in Arabia Saudita, il cui Governo sembra voler recitare un ruolo da protagonista nella ricostruzione siriana. Quali sono gli obiettivi di questa visita?
Ritengo che siano due i principali propositi del Governo siriano: ottenere il necessario supporto per la ricostruzione della Siria e contare sul ruolo di guida dell’Arabia Saudita in questo contesto, nell’ottica di un vero desiderio di far rientrare Damasco nel cosiddetto “ovile arabo”, al riparo dall’influenza iraniana. Per questo motivo penso che al-Shibani si sia recato in Arabia Saudita, con la volontà di conferire a Riyadh una posizione di leadership nello scenario siriano. I sauditi hanno deciso di farlo attraverso il ricorso a una dimensione multilaterale, consapevoli del fatto di non poter ottenere nulla da soli. Guidare uno sforzo collettivo sul fronte siriano è un qualcosa che l’Arabia Saudita accetta positivamente.
Michele Maresca
Immagine di copertina: “160420-D-DT527-163” by U.S. Secretary of Defense is licensed under CC BY.
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