Ferrovie Napoli – Bari. Il valore (economico e non) dei rinvenimenti

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Di Stefano Monti – Economista

In un territorio come l’Italia, è del tutto naturale che, con cadenza regolare, vengano rinvenute tracce materiali della nostra storia.

Alcune di esse avvengono per l’esito di specifiche ricerche: è il caso degli scavi di ricerca, condotti con l’esplicito intento di approfondire conoscenze altrimenti non accessibili. Altre invece avvengono quasi in modo meno puntuale, come l’insieme molto eterogeneo e quantitativamente rilevante dei rinvenimenti che avvengono durante lavori “privati”, o durante la realizzazione di “opere pubbliche”.

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Nel passato, e in misura minore, quest’ultima categoria di rinvenimento è vissuta con una malcelata frustrazione. I rinvenimenti diventano quindi ostacolo, impedimento, causa di ritardi, di costi, di preoccupazioni nel rapporto con le soprintendenze.

Si tratta di una visione che è figlia di un contesto storico e culturale molto diverso da quello attuale, ma che ancora riecheggia in moltissime persone che sono cresciute, personalmente e professionalmente, in un mondo in cui l’archeologia era ancora molto separata dalla società, e quando non ancora si comprendeva il valore identitario, il legame storico e inoppugnabile che unisce ciascuno di noi con la più grande storia del nostro Paese.

Senza voler giustificare alcun atteggiamento di questo tipo, e condannando fermamente ogni azione che tenti di sollevare consensi di alcuni, a discapito dell’interesse collettivo, è però necessario comprendere che molto spesso, alla base di tutto ciò, c’è un meccanismo elementare in cui sia l’archeologia, sia coloro che l’archeologia la tollerano pochissimo, hanno una propria responsabilità.

Il meccanismo più semplice del mondo è questo: se non ne conosco o riconosco il valore, allora per me non è importante. Non riguarda solo l’archeologia, ma riguarda tutte le dimensioni dell’agire umano. Si pensi alla raccolta differenziata e a quante resistenze ha dovuto superare. Si pensi al cibo “sostenibile”, e a quanti cambiamenti ha comportato nella nostra vita quotidiana. Si pensi ancora ai metodi di costruzione sicuri, e a quanti condoni sono stati necessari prima di arrivare ad una condizione di tendenziale regolarità nella realizzazione di nuovi edifici. Si pensi all’inglese, che fino a pochi anni fa era una lingua “scolastica” e che oggi è parte fondamentale della formazione di moltissime bambine e bambini.

Gli esempi possono essere infiniti, ma riportano sempre all’attenzione un elemento imprescindibile del cambiamento: si cambia nella misura in cui si riconosce che un nuovo comportamento possa essere migliorativo per se stessi e per la propria diretta comunità di riferimento.

Quando ciò non accade, quando il “cambiamento” è imposto e non se ne riconosce il motivo, ciò che si ottiene è una parvenza di adeguamento, del tutto tradita in assenza di controlli. Chi ha riconosciuto un ruolo importante nell’utilizzo delle mascherine e nell’adesione alle regole di comportamento volte ad evitare il contagio da Covid qualche anno fa, ha rispettato in modo più costante le regole che sono state adottate. Chi invece ha interpretato tutte queste regole come forzatura, come azione totalitaria, come intento ingannevole da parte delle istituzioni pubbliche, anche a fronte di sanzioni, amministrative o penali, ha continuato a dirsi contrario, e a non rispettare, non appena fuori dalla possibilità di controllo, quelle regole che invece erano tanto care a chi invece poneva fiducia nell’agire del nostro Governo, e delle nostre istituzioni.

Il caso dell’archeologia non è molto diverso, sebbene ci siano delle condizioni che ne complicano lo schema di base. Se durante gli scavi privati per la costruzione di una nuova soluzione abitativa, la ditta di un privato dovesse rinvenire elementi riconosciuti come di interesse archeologico, il soggetto privato (proprietario del terreno, proprietario della futura casa, agenzia immobiliare, agenzia di costruzioni, architetto, ecc.), si troverà a dover sostenere dei costi aggiuntivi per un bene “comune”. Se questa definizione di bene comune chiaramente include anche il diretto interessato, è però evidente che il diretto interessato molto probabilmente non godrà di benefici comparabili al costo che dovrà sostenere.

Sia sotto il profilo economico, che è quello più immediato e scottante per le persone e le società, sia sotto il profilo sociale e culturale.

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Se da un lato dobbiamo dunque riconoscere che anche soli pochi anni fa sarebbe stato impensabile immaginare che il responsabile autorizzazioni, ambiente e territorio RFI si dichiarasse soddisfatto nel corso della presentazione dei rinvenimenti emersi durante i lavori per la nuova ferrovia Napoli – Bari, è altresì vero che ancora molto lavoro bisogna fare per rendere tale soddisfazione universalmente applicabile.

La linea più semplice in via del tutto teorica, che tuttavia comporterebbe (comprensibilmente) anche insuperabili ostacoli costituzionali, sarebbe quella di natura finanziaria: a fronte del rinvenimento, il detentore del terreno, in solido con tutte le altre persone coinvolte, potrebbe avere la potestà di vendere quanto rinvenuto a prezzo di mercato, sia sul mercato internazionale sia allo Stato italiano. Chiaramente, si tratta di un’indicazione a mero valore esemplificativo, al limite della provocazione: un’azione di questo tipo, se realizzata concretamente (cosa impossibile), dovrebbe essere strutturata in modo molto più articolato e attento).

Dato che tale linea, per valore sociale, per la legge e per risorse disponibili, malgrado la sua semplicità risulta essere impraticabile, allora è necessario aumentare il valore “culturale” associato ai rinvenimenti. Far capire alle persone perché ne sia davvero valsa la pena bloccare i propri cantieri. Mostrare loro, non in una forma erudita e musealizzata, ma nella concretezza più puntuale e comunicativa possibile, il valore di tale rinvenimento, le possibili conoscenze che da tale rinvenimento potrebbero derivare, e quanto tali conoscenze sarebbero andate tendenzialmente perdute in caso di occultamento del rinvenimento o di sua vendita illegale.

Su questo di certo si fanno campagne di sensibilizzazione: ma è necessario fare di più. È necessario fare in modo che le persone acquisiscano completamente il valore che un rinvenimento archeologico ha per la loro comunità e per il Paese.

Semplificando, infatti, ogni bene culturale, anche quelli che sono in regime di libero mercato, è sempre portatore di almeno due diverse categorie di valore: un valore economico e un valore simbolico. Se non possiamo fare in modo che i cittadini percepiscano dai rinvenimenti un reale “valore economico”, allora dobbiamo fare in modo che il valore simbolico di cui sono “partecipi” e in qualche modo “artefici”, venga percepito con molta più intensità, anche attraverso un riconoscimento pubblico o associando i rinvenimenti al nome del proprietario del terreno su cui il rinvenimento è stato condotto o della società che si occupava, per conto dello Stato o di altro ente pubblico, di effettuare i lavori.

In fondo, alle volte, basterebbe soltanto riconoscere il merito, piuttosto che limitarsi a dare regole stringenti e pretendere che le persone le accettino in modo acritico.



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