di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
Quinta domenica del Tempo ordinario – Anno C
Is 6,1-2a.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
L’evangelo di Luca racchiude l’intera vicenda di Pietro con Gesù tra un iniziale grido di stupore («Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore») e un pianto amaro – subito dopo il canto del gallo –, nella notte del Giovedì Santo («Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto… E, uscito, pianse amaramente», 22,6)! In questo modo, la vicenda di Pietro viene presentata come emblematica della vicenda di ogni discepolo del Signore, dal momento della chiamata al momento del dolore e dello smarrimento. Gesù chiama Simone chiedendogli prima di tutto che questi gli metta a disposizione la barca del proprio quotidiano, non per spogliarsi semplicemente delle proprie cose, ma per far sì che quelle cose diventino il luogo nel quale Gesù stesso possa operare: è dalla barca di Pietro, infatti, che Gesù parlerà alle folle che fanno ressa «per ascoltare la parola di Dio!».
Per parlare all’uomo, Gesù ha bisogno dei luoghi in cui l’uomo vive il proprio ordinario: solo quando accolgono Lui che parla al mondo, le barche diventano anche capaci di prendere il largo e di trovare il profondo e la ricchezza dei fondali… nonostante i fallimenti che l’uomo porta con sé e che appesantiscono e, talora, sembrano rendere vana ogni ricerca. Simone non ha paura di offrire a Gesù la sua barca infeconda e questa fiducia gli consentirà di passare dalla infecondità alla fecondità, in forza della parola che su quella barca (cioè, nel concreto di quella vita) viene pronunciata. Se Pietro, però, può gettare la rete su quella parola e vederne il frutto, è la presenza di Dio che, in Gesù, cerca l’uomo nella storia, senza paura della storia, ad aprire Pietro e ogni uomo alla possibilità di vedere la potenza della parola di Dio. La piccola, essenziale fede di Pietro è già, di per sé, preceduta e resa possibile da Gesù, dal suo farsi prossimo, che non teme l’infecondità di Pietro. Gesù crea una vicinanza straordinaria perché egli è la vicinanza di Dio! Vero frutto di questa prossimità di Gesù e della fiducia con cui Pietro la accoglie non sono i pesci che, in grande quantità, riempiono le reti, al punto da romperle quasi: il vero frutto va ricercato proprio in quel grido di Pietro che, nato dallo stupore, esprime nel profondo il riconoscimento di una indigenza: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore».
Non è la confessione del peccato a produrre la vicinanza con Cristo: è la vicinanza di Cristo a rendere possibile la coscienza e la confessione della propria colpa. Ma nelle parole di Pietro permane un residuo di non coscienza: la richiesta che Gesù si allontani, infatti, dice che Pietro ancora non ha compreso fino in fondo che è proprio la condizione di peccato in cui egli si trova a spingere Gesù a restare con Lui. Pietro non ha ancora compreso che non può volere la lontananza chi è venuto a cercare chi era perduto (cf. Lc 19,10). Pietro dovrà imparare che Gesù lo cercherà proprio nel peccato e nella miseria e lo incontrerà fino a quello sguardo che gli donerà nel cortile di Caifa dopo il suo ultimo rinnegamento: allora Pietro comprenderà che non è Gesù ad allontanarsi da lui peccatore, ma che è egli stesso, con il proprio peccato, a volersi tenere a distanza da Gesù. Proprio su questa “distanza” – che Gesù, con fatica, tenta di accorciare – cade una parola di chiamata, che chiede di non aver paura: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
Questa non è una parola di proposta, ma una parola di creazione: in quell’ora, tra Gesù e Pietro c’è stato un incontro nella più profonda verità e di qui è iniziato per Pietro un processo inarrestabile e irreversibile di “nuova creazione”. Ciò è stato possibile perché Pietro ha aperto a Gesù uno spiraglio nel proprio cuore: non solo gli ha dato la barca, ma soprattutto gli ha dato fiducia, credendo alla parola di Gesù. È questa la sola via che la Chiesa è chiamata a intraprendere: fidarsi, andare al largo, senza alcuna sicurezza, se non quella parola che le è stata consegnata… una parola che può dare il frutto della conoscenza di sé, della propria miseria e della infinita misericordia di Dio.
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