La chimica è una componente fondamentale della nostra vita quotidiana, alla base di ogni oggetto e materiale che utilizziamo; infatti, tutto ciò che è fisico ha un’origine chimica. Persino il mondo digitale non potrebbe esistere senza questa branca della scienza poiché nessun software senza la parte di hardware, realizzato da prodotti chimici, potrebbe funzionare.
La chimica svolge un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica. È essenziale per sviluppare soluzioni sostenibili come le batterie per i veicoli elettrici, i pannelli solari, i fertilizzanti “verdi”, gli imballaggi biodegradabili e gli integratori per ridurre le emissioni di gas serra di origine animale.
Nella competizione globale diversi attori, Cina in primis, avanzano anche negli ambiti in cui Europa e Italia godono ancora di un vantaggio competitivo, ovvero nella produzione di tutte le materie prime e i principi attivi essenziali nei processi cimici (chimica fine) e nelle sue applicazioni industriali e di consumo (chimica specialistica). Per questo motivo l’industria chimica europea necessita di una politica proattiva per poter mantenere il suo ruolo chiave nell’innovazione e nello sviluppo della sostenibilità.
I numeri della chimica europea
Secondo un recente rapporto del Cefic (il Consiglio europeo delle industrie chimiche), l’organizzazione che rappresenta il comparto nel continente, il settore chimico rappresenta circa il 5-7% del fatturato dell’industria europea: 31mila aziende garantiscono 1,2 milioni di posti di lavoro, arrivando a numeri 5 volte più grandi se si considera anche il lavoro indiretto. Nel 2022 il valore della produzione dell’UE raggiungeva oltre 690 miliardi di euro suddivisi tra i principali Paesi come indicato in Figura 1 (Codice NACE C20).
Figura 1 – Quota % del valore della produzione del settore chimico nell’UE nel 2022
Fonte: Eurostat
Le aziende chimiche europee si distinguono come le principali investitrici a livello globale in ricerca e sviluppo (R&S). L’Europa, inoltre, detiene una delle percentuali più alte di brevetti chimici richiesti e concessi.
Tuttavia, nonostante questa leadership nell’innovazione chimica, la competitività europea si è progressivamente indebolita. Il calo della produzione europea si riflette sulla quota relativa al mercato mondiale di tutti i prodotti chimici, scesa dal 23% del 2008 al 13% del 2023 (Figura 2). Un trend negativo che si registra anche negli altri maggiori produttori (Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone) a favore della Cina, che passa dal 19% al 43% nello stesso periodo. Il crescente ruolo del gigante asiatico si riflette anche sulle importazioni chimiche dell’UE: la quota dell’import di prodotti chimici cinesi è passato dal 7% del 2008 al 18% del 2023.
Figura 2 – Quota % di mercato nel settore chimico
Fonte: Cefic, 2025
Per comprendere meglio le sfide della chimica europea bisogna sapere che l’industria si sviluppa lungo una catena del valore che vede ai due estremi la chimica di base, ovvero il settore a monte (upstream), e il settore a valle (downstream). A monte si producono sostanze chimiche organiche (es. etilene, propilene) e inorganiche (es. acido solforico, cloro, ammoniaca) che, dopo essere passate per diverse fasi intermedie, diventano chimica specialistica e di consumo (es. farmaci e cosmetici). Confrontando le due fasi, la parte upstream è caratterizzata da elevati volumi di produzione e da un valore aggiunto relativamente basso; l’innovazione è generalmente limitata e i prodotti sono poco personalizzati, essendo destinati principalmente a fornire materie prime per ulteriori trasformazioni. La parte downstream, invece, si distingue per volumi di produzione ridotti e valore aggiunto più elevato. Qui l’innovazione è cruciale, con prodotti altamente personalizzati per soddisfare le esigenze di mercati specifici.
Come sottolineato dal direttore generale del Cefic, Marco Mensink, il settore downstream europeo è stato più resiliente di quello upstream tra il 2018 e il 2023. La chimica di base, infatti, è più energivora e il costo energetico in Europa rimane più elevato rispetto agli altri Paesi produttori. Il Cefic prevede che nel medio termine i prezzi europei saranno più alti rispetto a quelli statunitensi di 2-3 volte per il gas naturale e di 1,5-2 volte per l’elettricità. Sempre tra i fattori di costo, pesano quelli del lavoro e della regolamentazione, soprattutto se confrontati con i Paesi asiatici. Ma se la regolamentazione permette all’Europa di realizzare una chimica più sostenibile relativamente ad altri Paesi, la domanda per prodotti green è stagnante in quanto il mercato non è sempre pronto a pagare il prezzo elevato per questi prodotti.
Le specificità e le sfide della chimica italiana
Sebbene la produzione chimica italiana si sia stabilizzata dopo la significativa contrazione del 2022-2023, il livello di attività rimane inferiore rispetto al 2021. La situazione è comunque migliore rispetto a quella di altri Stati produttori quali la Germania. Come spiega Andrea Lavagnini, direttore generale di Federchimica, l’Italia è più specializzata, relativamente agli altri Paesi europei, nella chimica fine e specialistica per le applicazioni industriali e per il consumo, settore meno energivoro rispetto alla chimica di base. Tuttavia, il prezzo dell’elettricità nel nostro Paese è un onere significativo. Nel 2024 il prezzo medio in euro per kWh in Italia è stato superiore del 73% rispetto alla Spagna, dell’88% rispetto alla Francia e del 39% rispetto alla Germania.
In questo settore, come in altri, l’Italia registra un problema strutturale di produttività del lavoro. Rispetto ai principali Paesi europei, l’Italia si posiziona dietro a Belgio, Paesi Bassi, Germania e Francia (Figura 3). Tuttavia, questa bassa produttività non sembra essere imputabile al “nanismo” delle imprese italiane: quelle con meno di dieci dipendenti rappresentano il 63% del totale, meno di quante sono nei Paesi Bassi (74%) e in Francia (83%). Sembrano infatti più rilevanti fattori quali gli investimenti e il livello di istruzione della forza lavoro. Nel 2022 gli investimenti delle imprese chimiche italiane in immobilizzazioni materiali ammontavano a 15.360 euro per lavoratore, contro 18.440 euro della Polonia, 18.940 della Germania, 20.210 della Spagna e 22.600 della Francia.
Per quanto riguarda il capitale umano, nel 2023 soltanto il 14% dei lavoratori italiani del settore manifatturiero (NACE C) – che include l’industria chimica – possedeva una laurea, contro il 27% della Polonia, il 32% della Germania, il 39% della Francia e il 42% della Spagna.
Figura 3 – Valore aggiunto per ora lavorata nel settore della chimica nel 2022 in euro
Fonte: Eurostat
Proposte per la competitività della chimica europea e italiana
Le prospettive per l’industria chimica europea non sono rosee data una sovracapacità produttiva a livello globale che comprime i già bassi margini soprattutto per la chimica di base. La perdita di capacità produttiva potrebbe essere un processo irreversibile per l’Europa almeno nel breve periodo, questo a causa degli elevati investimenti richiesti, dei vincoli posti dalla legislazione ambientale e della crescente opposizione delle comunità locali nota con l’acronimo NIMBY (Not In My BackYard).
La riduzione della produzione interna, oltre all’impatto negativo sull’economia e sull’occupazione, aumenterebbe la dipendenza dalle importazioni da Paesi, quali la Cina, con standard ambientali meno stringenti e a rischio di tensioni geopolitiche. Cosa fare per arrestare il declino della chimica europea, evitando così che sia indebolita tutta l’industria europea e vanificato l’impegno per la de-carbonizzazione?
Per l’industria europea, e soprattutto per quella italiana, è prioritario ridurre il prezzo dell’energia. Nella recente Bussola per la competitività dell’UE, la Commissione europea ha ripreso alcune proposte del Rapporto di Mario Draghi tra le quali: la revisione dei meccanismi di formazione dei prezzi attualmente influenzati dal costo del gas, l’incremento della quota di rinnovabili nel mix energetico, la centralizzazione a livello UE dell’acquisto di gas naturale, una migliore interconnessione delle reti nazionali. Su quest’ultimo punto, il Fondo monetario internazionale ha recentemente spiegato che un’interconnessione più efficace consentirebbe all’UE di aumentare la resilienza a fronte di shock locali e di sfruttare appieno il potenziale delle energie rinnovabili nei diversi Paesi membri.
Per quanto riguarda l’Italia, per il DG di Federchimica, occorre continuare nell’esplorazione e nello sfruttamento di nuovi giacimenti di gas nelle aree attorno alla penisola e nell’Est del Mediterraneo (aumentando l’approvvigionamento via pipeline), rivedere i regimi di sostegno agli impianti di cogenerazione[1] (anche per consentire di utilizzare gas green) e introdurre misure di supporto e sviluppo sulle tematiche di cattura e stoccaggio della CO2, settore dove l’Italia ha grandi potenzialità per tutto il bacino del Mediterraneo.
Nella definizione di una politica industriale per l’UE, sempre nella stessa “Bussola” la Commissione ha annunciato un Chemicals Industry Package, previsto per fine 2025. Sicuramente bisognerà concentrarsi sul downstream, non dimenticando tutta la catena del valore. L’UE, infatti, detiene ancora un vantaggio competitivo sul fronte downstream soprattutto per i prodotti green, grazie a un’alta capacità di innovazione e un capitale umano altamente qualificato. È necessario quindi stimolare la domanda europea pubblica e privata di prodotti eco-sostenibili, anche facilitandone il riconoscimento come suggerito dal DG di Federchimica, dato che spesso i prodotti vergini costano di più di quelli riciclati.
Data la strategicità del settore chimico, l’ideale per l’Europa sarebbe garantire una produzione upstream domestica anche perché la vicinanza tra upstream e downstream facilita l’innovazione attraverso collaborazioni in R&S e altre sinergie. Tuttavia, data la tecnologia disponibile e l’attuale regolamentazione ambientale in Europa, investire nella chimica di base sembra un compito arduo. Basti pensare al caso dell’etilene, che è alla base di prodotti quali il polietilene, la plastica più diffusa al mondo utilizzata in imballaggi, pellicole, contenitori e tubi. L’etilene viene ottenuto principalmente attraverso il cracking degli idrocarburi, attività molto energivora e inquinante. Dal 2008 al 2023 la produzione europea di etilene è diminuita del 40%. Un segnale concreto di questa crisi è arrivato di recente con l’annuncio di ENI della chiusura degli ultimi due impianti di cracking in Italia a Priolo e Brindisi.
Per garantire la disponibilità dei prodotti chimici di base, si può innanzitutto sviluppare il riciclo chimico. Diversamente dal più diffuso riciclo meccanico, quello chimico può utilizzare anche plastiche contaminate e miste scomponendole fino agli elementi di base, permettendo la creazione di nuovi polimeri con qualità pari a quelli vergini. Una politica volta al suo sviluppo potrebbe quindi avere degli effetti positivi sulla de-carbonizzazione.
Sempre per garantire la disponibilità dei prodotti chimici di base, si possono diversificare le fonti di approvvigionamento puntando sul commercio “libero ed equo”, come specificato dal Trattato sull’UE (art. 3 par.5). Per quanto riguarda il commercio libero, l’UE dovrebbe continuare nell’estensione degli accordi di libero scambio e negoziare in maniera congiunta i contratti per le forniture, come già suggerito per l’energia. Per quanto riguarda l’equità del commercio, bisogna ricordare l’impatto delle regole ambientali quali l’Emissions Trading System (ETS) sulla competitività delle imprese europee. Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), a partire dalla sua entrata in vigore definitiva nel 2026, ridurrà questo gap competitivo con una “tariffa” legata al costo sulle emissioni di CO₂ incorporate in determinati beni importati nell’UE: ferro, acciaio, idrogeno, ammoniaca, cemento ed elettricità. Se prodotti chimici upstream vengono importati nell’UE a un costo più elevato, a cascata anche il prodotto europeo downstream costerà di più perdendo competitività. Pertanto, si potrebbe avviare una discussione circa l’estensione del meccanismo CBAM anche per i prodotti downstream attualmente esclusi.
Sarà necessario inoltre ridurre l’onere della regolamentazione, in particolare di quella settoriale REACH (acronimo di Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals), che penalizza soprattutto le piccole e medie imprese. Per il caso italiano, il DG di Federchimica ha sottolineato la necessità di evitare restrizioni nazionali aggiuntive rispetto alla normativa europea, definire testi unici, diffondere linee guida sull’interpretazione e l’applicazione e garantire tempi certi per gli iter autorizzativi.
Rimane aperta la questione delle risorse per gli investimenti
Molte delle proposte avanzate richiedono risorse che vanno oltre quelle del bilancio “standard” dell’UE. Nella recente strategia europea la Commissione si è impegnata ad attivare risorse private e pubbliche presentando proposte ad hoc per creare l’Unione dei risparmi e degli investimenti e il Fondo per la competitività.
Quest’ultimo, tuttavia, potrebbe vedere la luce solo nel 2028, ovvero quando comincerà il prossimo Quadro finanziario pluriennale, soltanto se i 27 Paesi lo approveranno all’unanimità. Un percorso non facile data l’opposizione al debito comune da parte dei cosiddetti Paesi frugali, soprattutto in assenza di una chiara strategia per saldare il debito già contratto sotto NextGenerationEU.
Nell’attesa, lasciare tutto agli aiuti di Stato che ciascun governo nazionale può attivare rischia di ampliare il divario tra le economie europee e la conseguente conflittualità politica tra Paesi membri.
[1] Si tratta della produzione combinata di energia elettrica e calore tramite una singola fonte energetica.
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