Cavallera (Aspi), conflitto zero e partecipazione: così abbiamo innovato le nostre relazioni industriali

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Nuove relazioni industriali, partecipate, attente alla persona, mirate a evitare gli incidenti sul lavoro, dirette ad accrescere la serenità del lavoratore, quindi la sua produttività. Sembrerebbe un’utopia, un obiettivo irraggiungibile, e invece è il risultato dell’impegno degli ultimi quattro anni di Aspi, Autostrade per l’Italia. Un risultato raggiunto assieme al sindacato, con il quale è stata realizzata una forma di partecipazione molto avanzata. Antonio Cavallera, direttore Human Capital, crede che in questo modo si sia realizzato valore aggiunto per l‘azienda, ma anche per i lavoratori.

Cavallera, è cambiata Aspi negli ultimi anni?

Profondamente. Eravamo un’azienda che gestiva una concessione autostradale, oggi siamo una filiera integrata della mobilità sostenibile. E lo abbiamo fatto in maniera partecipativa assieme alle organizzazioni sindacali, snellendo la parte operativa con l’introduzione di nuove tecnologie e accompagnando all’uscita o alla riqualificazione il nostro personale esattoriale.

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Un cambiamento radicale.

Esattamente. Lo abbiamo fatto portando a bordo il sindacato in questa trasformazione con un approccio non di scontro ma costruttivo. Abbiamo agito su due fronti. All’inizio del percorso abbiamo sollecitato un accordo per la costruzione di una cabina di regia strategica della quale hanno fatto parte i segretari generali delle federazioni sindacali competenti. Non siamo arrivati al modello partecipativo tedesco, ma abbiamo sempre condiviso le evoluzioni strategiche e i risultati che gli impatti producevano.

Una partecipazione reale.

Sì, e lo abbiamo fatto in tutti i filoni della strategia del gruppo, per la trasformazione organizzativa, per il cambiamento delle competenze, per la sicurezza sul lavoro. Portando con noi il sindacato abbiamo spostato il focus sull’evoluzione che l’azienda ha realizzato in questi quattro anni, un percorso che ci ha consentito di portare a bordo 2.900 persone.

Nuove assunzioni?

Sì, nelle aziende del Gruppo e nei mestieri che servivano. Siamo riusciti da un lato a gestire le uscite riqualificando i nostri dipendenti verso nuovi mestieri, ma anche governando lo sviluppo delle nuove competenze per le persone che erano in azienda.

Mi diceva che avete gestito questa trasformazione agendo su due fronti.

Sì, perché se è stata importante la cabina di regia per condividere le linee guida, poi abbiamo aperto molteplici tavoli operativi nazionali e locali per applicare i diversi accordi. In questo modo siamo riusciti a realizzare il piano operativo e a confrontarci sviluppando una serie di innovazioni nella gestione del capitale umano, con profili e percorsi quasi introvabili sul mercato del lavoro. In qualche caso abbiamo introdotto una vera innovazione.

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Per esempio?

Per la sicurezza sul lavoro. Abbiamo sancito (o meglio reso noto e comunicato a tutti con chiarezza) il principio della stop of work authority.

Che sarebbe?

La possibilità per ogni dipendente del gruppo, dall’operaio al dirigente, di fermare la lavorazione se ritiene che questa non sia agita in sicurezza. Abbiamo garantito al lavoratore il diritto di essere sempre in sicurezza. Un cambiamento culturale per avere lavoro sicuro, che è diventato un caposaldo della nostra strategia. Una cosa importante per un gruppo molto parcellizzato sul territorio con tantissimi mini-cantieri. Con il sindacato abbiamo gestito un interessante accordo sull’indice infortunistico, che, applicando le regole stabilite per tutta la filiera, in tutti gli appalti, ha prodotto il risultato che questo indice negli anni si è dimezzato. E siamo stati gli unici credo a decidere di considerare sempre questo indice anche per stabilire il premio di produzione. Una battaglia culturale che abbiamo portato avanti assieme al sindacato e che ci ha fatto crescere.

Cosa altro ancora avete deciso?

Un altro filone importante è stato quello dell’attenzione all’individuo nel contesto organizzativo e anche al di fuori. Quindi tutto quanto attiene al welfare, alla diversità, all’inclusione, sempre tenendo al centro dell’attenzione l’individuo, la persona. Abbiamo istituito un comitato permanente su diversità e inclusione che ha studiato i diversi passaggi. Importante è stata l’attenzione allo smart working e al tema della disconnessione, per cui siamo stati pionieri. Come quando, qualche anno fa, abbiamo previsto la concessione di un pacchetto di permessi orari ai dipendenti con prole per consentire di seguire i figli durante la pandemia.

Cosa vi ha portato a questa attenzione?

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Abbiamo cercato di accompagnare le persone per aumentare il loro benessere, dentro e fuori l’ambiente di lavoro, perché crescesse parallelamente la loro produttività. Tanto meglio stai, da tutti i punti di vista, tanto più sei sereno, tanto più lavori bene. Per questo abbiamo messo in piedi una rete di permessi e aiuti economici per aiutare le famiglie, per esempio con un bonus per ciascun figlio, permessi per svolgere attività di volontariato per chi vuole dare aiuto a chi ne ha bisogno. Crediamo nell’importanza di un ambiente di lavoro accogliente, ma anche di aiutare i dipendenti nelle loro attività al di fuori del lavoro.

Pensate di fare qualcosa anche per l’orario di lavoro?

È un tema che ci appassiona. Vogliamo verificare se sia possibile trovare un migliore equilibrio tra tempo a disposizione e produttività. Discuteremo con le organizzazioni sindacali come muoverci, sempre in un’ottica partecipativa.

Che non è semplice portare avanti.

Tutt’altro, è una gran fatica, perché vuol dire raccontare, spiegare, spingere, convincere, ma soprattutto confrontarsi, accettando il punto di vista dell’interlocutore, che devi rispettare perché rappresenta i lavoratori. No, è stata dura, ma la nostra non è stata una partecipazione finta.

Il riscontro con i lavoratori è stato positivo?

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Molto positivo e abbiamo potuto anche misurare questo bilancio con una serie di survey che abbiamo svolto negli anni. Siamo passati così da un 15% di risposte alle nostre domande a un 70%. Hanno capito che interloquire con l’azienda conviene.

E con il sindacato?

La relazione con il sindacato in questi anni si è trasformata. Siamo arrivati a un reale sistema di dialogo e partecipazione. E se il termometro delle relazioni industriali è il conflitto e l’assenza di conflitto, noi in questi quattro anni abbiamo avuto pochissimi stati di agitazione e scioperi. Conflitto zero, praticamente.

Detto così, sembra facile.

Non lo è, a noi è costato tanta fatica, decine e decine se non centinaia di incontri e riunioni a tutti i livelli, però ne è valsa la pena. Il sindacato quando è coinvolto diventa un altro, quando si avvia il dialogo è a tutti gli effetti un attore al fianco dell’azienda. E siamo riusciti a fare cose che avevamo sempre tentato di fare senza mai riuscirvi. Possiamo parlare davvero di nuove relazioni industriali.

Avete cambiato anche il sistema dei contratti?

Lo abbiamo trasformato. Prima avevamo un contratto collettivo nazionale relativo al solo mondo della “concessione”, che serviva a gestire tutto il nostro lavoro. Adesso il gruppo ha al suo interno una serie di aziende che gestiscono anche altre lavorazioni. C’è chi fa progettazione, chi costruisce, chi gestisce il nastro autostradale, chi fa le pulizie, o le piccole manutenzioni. Allora abbiamo fatto nascere un nuovo contratto collettivo nazionale, che viene applicato a tutta la filiera. C’è una parte normativa comune a tutti e poi tante sottocategorie per le diverse realtà. Anche con notevoli differenze retributive.

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Farete scuola nel mondo dell’impresa?

Con questo sistema abbiamo portato valore aggiunto alle imprese e valore aggiunto al lavoro. Non so se faremo scuola, ma consigliamo a tutti questo modello.

Massimo Mascini



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