AZ Alkmaar-Roma: quel sapore d’Europa che viaggia su ferrovia

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Carta di credito con fido

Procedura celere

 


Per una appassionato di treni come il sottoscritto, l’Europa Centrale non può che essere un parco giochi. Con i suoi convoglio a lunga – lunghissima – percorrenza, i suoi collegamenti capillari e la sua cultura per il viaggio su binario che ogni volta mi permettono di sognare letteralmente a occhi aperti. Come in questa freddissima serata viennese, dove, sulla banchina della Hauptbanhof, faccio avanti e indietro in attesa del mio treno – in netto ritardo -, scattando foto a qualsiasi vagone mi passi davanti e spulciando il tabellone cartaceo alla ricerca delle località più strane. Pianificando il mio viaggio da Bratislava ad Alkmaar non ho potuto far a meno di optare per il Nightjet dalla Capitale austriaca a quella olandese. Circa quattordici ore di viaggio che alla fine si dimostreranno ancor più piacevoli di quanto immaginassi: convoglio dotato ancora dei bellissimi scompartimenti ormai spariti dai treni italiani, reso fantastico dal non dover condividere lo spazio con nessuno, potendo così reclinare tutti i sedili, trasformandoli in una sorta di letto (chi ha viaggiato su Espresso e Intercity Notte fino a metà anni duemila sa bene di cosa stia parlando), spegnendo la luce (lasciando la manopola rigorosamente a metà per avere buio totale) e chiudendo porte e tende. Una sensazione talmente appagante da permettermi il lusso di un sonno praticamente perfetto, con un bel risveglio vista Olanda, qualche chilometro dopo aver superato il confine con la Germania. Aggiungo che per me l’attraversare un confine via terra conserva sempre un fascino particolare. Primordiale oserei dire. Perché se è vero che i confini sovente hanno rappresentato una barriera gravosa per l’uomo, un muro che non ha permesso sviluppo e conoscenza, è altrettanto vero che quasi sempre segnano il passaggio da una cultura all’altra, lo scalino dove si alternano due lingue e su cui la storia ha scritto pagine indelebili. Passarci con i propri piedi o con un treno, è giocoforza più emozionante (ma forse meno funzionale) che farlo per via aerea.

Amsterdam Centraal. Ora 11:30 di giovedì mattina. Il mio treno arresta definitivamente la sua corsa, con “appena” un’ora e quaranta minuti di ritardo (giusto per ricordarvi che noi portiamo la nomea, ma da altre parti non è tutto oro ciò che luccica). Sistemo il mio zaino, riguardo almeno tre volte dentro lo scompartimento per evitare di perdere qualcosa e poi scendo sulla banchina. Volendo avrei qualche ora a disposizione per un giretto in città, ma sono onesto: ho visitato, per bene, la capitale dei Paesi Bassi diciassette anni fa e la ritengo una città mozzafiato, veramente unica nel suo genere. Tuttavia faccio fatica ad accettare l’anima che i suoi “dirigenti” le hanno voluto dare per anni. Non ne faccio un discorso moralista o proibizionista, figuriamoci. Chi mi conosce sa bene che in ogni campo della mia esistenza sono per il “vivi e lascia vivere”, ma ritengo che aver messo in secondo piano il suo lato artistico e culturale appannaggio di zona a luci rosse e coffee shop sia stato senza dubbio redditizio da un punto di vista economico, ma veramente svilente per tutto il resto. Compreso il target del turista medio che in genere la frequenta. Ergo: perché rovinarsi la mattinata? Diciassette anni dopo può mai esser migliorata? In questo lasso di tempo sono peggiorati borghetti dell’entroterra italiano un tempo inaccessibili e autentici, figuriamoci una simile metropoli. Meglio salire sul primo treno per Alkmaar e scoprire un posto dove, comunque, non sono mai stato.

I mulini, i fiori, le case basse e le gocce di pioggia finissime che si infrangono sui vetri del treno. L’Olanda mi passa sotto i piedi con il suo classico territorio e le sue ataviche sfumature. Un po’ nostalgiche, un po’ deprimenti, ma anche caratteristiche e pittoresche nel loro piccolo. L’Olanda è il centro del Vecchio Continente sotto tanti aspetti, dal suo gigantesco porto di Rotterdam alla capitale libertina e libertaria, passando per le sue città eleganti, per i canali e per la gente che vedi andare in bicicletta pure sotto l’acquazzone. Forse non li ho mai completamente inquadrati gli autoctoni, così mi ritrovo sempre nella contraddizione di apprezzare scorci, monumenti e strutture e vedere con un certo scetticismo risvolti sociali che palesemente sembrano incartati in un’apparente e ipocrita calma o nella musica techno che a un tratto ti piove in testa negli stadi, ballata da tifoserie che per quanto toste e mai facili da trovarsi di fronte, cercano costantemente un equilibrio tra la vocazione british, ammiccando all’hooliganismo pre-tatcheriano, e qualche spunto ultras che viene dai nostri confini nazionali. Eppure, per chi ha letto il pezzo su Slovan-Stoccarda, il discorso è molto differente da quanto avviene in taluni Paesi dell’Est. Che sembrano più volersi dare un tono, a differenza di olandesi e, in parte, anche belgi, che così probabilmente lo sono da sempre e, paradossalmente, danno l’impressione di volersi esibire meno a favore di social (per quanto sia possibile nel 2025). Sia chiaro: non mi piacciono e non mi hanno mai convinto, ma gli riconosco di avere un’identità radicata. Che probabilmente è anche figlia di un Paese dalla grande cultura calcistica.

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Già perché i Paesi Bassi (che poi sarebbe la giusta nomenclatura, rispetto a quella di Olanda, erroneamente utilizzata come sinonimo in italiano, ma anche in altre lingue, e che in realtà indica solo due delle dodici province da cui lo Stato è formato… e sì, lo so, anche io a più riprese ho seguito questo sbagliato schema lessicale!) con i loro diciassette milioni di abitanti hanno da sempre fronteggiato le grandi potenze calcistiche continentali. E se è vero che le lontane colonie oceaniche hanno sovente regalato ai tulipani gente che con il pallone ai piedi poteva giocare a occhi chiusi, è altrettanto vero che parliamo di una scuola che sul finire degli anni settanta è stata rivoluzionaria e a cui solo la sfortuna di aver giocato due finali Mondiali contro il Paese ospitante e una con la Spagna più forte di sempre ha precluso il successo iridato (che ai punti avrebbe meritato appieno). In questo contesto, dunque, ricade il prestigio dei suoi club. Al di là dell’Ajax, che piaccia o no continua a rappresentare un modello, anche se con toni più bassi rispetto al passato, c’è un intero stuolo di squadre sempre ostiche da affrontare e con una mentalità giusta per le competizioni europee. Pensiamo al Twente, al Vitesse, al Feyenoord e, per l’appunto, l’AZ Alkmaar, sconfitto in finale di Coppa UEFA dall’Ipswich Town nel 1980/1981 e arrivato una quindicina di anni fa a sfiorare la finale di Europa League, soccombendo solo allo Sporting Lisbona in semifinale.

Pur parlando di una città posta a soli quaranta chilometri da Amsterdam, nell’estremo nord del Paese e con poco meno di centomila abitanti, camminando per le strade e guardando sciarpe e bandiere in pub e negozi, appare chiaro come da queste parti l’AZ sia ben più di una semplice squadra. Partiamo da un presupposto: parliamo di un club la cui storia sottintende il concetto di unione. Il prefisso AZ, infatti, funge da acronimo per Alkmaar Zaanstreek, le due squadre che nel 1967 diedero vita all’attuale club e che ad oggi è riuscito per due volte a fregiarsi del titolo di campione dei Paesi Bassi, l’ultimo – nel 2008/2009 – sotto la guida di un certo Louis van Gaal, che nel club ha peraltro finito la carriera da calciatore e mosso i primi passi da allenatore. Prima di guadagnare la strada dello stadio e addentrarmi ancor più in quello che l’AZ rappresenta per il suo popolo, mi concedo un bel giro del centro storico. Incappando in numerosi negozi che vendono formaggi – prodotto tanto tipico da “regalare” alla squadra cittadina l’appellativo di Kaaskoppen  (Teste di Formaggio) o De Kaasboeren (I produttori di formaggio) – percorro piacevolmente il corso, fermandomi ad ammirare lo stupendo palazzo del Municipio, in stile tardo gotico, proprio alle spalle della cattedrale, arrivando poi in fondo dove uno dei canali su cui è adagiata la città taglia in un due una strada caratterizzata dalle tipiche casette olandesi e da vari pub e ristoranti. Imponente la Waagplein, la piazza centrale dove ogni venerdì si svolge il mercato del formaggio. Una tradizione che risale addirittura al diciassettesimo secolo e che non ha eguali nel resto della Nazione. Devo ammettere che il piccolo, ma grazioso, centro storico, mi lascia davvero una bella impressione. Come accennavo in precedenza, non si può dire che qui non si respiri l’anima olandese in tutto e per tutto. Altro motivo per cui i viaggi del pallone sono sempre i migliori: non decidi tu dove andare in base a una meta decantata dal turismo di massa, ma sono loro a decidere dove portarti. Così ti puoi trovare in luoghi lontani e disagiati come Dnipro, ma anche in anfratti carini e simpatici come Alkmaar.

Ore 16:30. Mentre la pioggia ha ripreso a scendere copiosa e con essa anche il vento ha ben pensato di ricordarci perché questa terra porti il nome di Paesi Bassi e faccia dei mulini una delle principali attrazioni, decido di incamminarmi verso lo stadio, distante circa tre chilometri dal centro cittadino. Inutile dire che se per la gente del posto sia del tutto normale ricevere in faccia delle taglienti gocce scagliate da Giove Pluvio e rafforzate dal volere di Eolo, per me è a dir poco snervante, tanto che quando mancano dieci minuti all’arrivo mi concedo una pausa sotto la tettoia di una pompa di benzina. Per poi riprendere la marcia e giungere, poco dopo, davanti alla sagoma dell’AFAS Stadium. Questo impianto è la casa dell’AZ dal 2006, quando i biancorossi lasciarono lo storico Alkmaarderhout, in origine campo di gioco dell’Alkmaar ’54 (una delle due fondatrici), divenuto obsoleto e soprattutto dalla limitata capienza (basti pensare che all’apertura, nel 1948, gli spalti potevano ospitare circa ventimila spettatori, al momento della demolizione erano omologati per poco più di ottomila) per trasferirsi nella nuova struttura, che con i suoi 17.024 posti ha permesso un maggiore afflusso a sostegno del club. Come dico sempre: ci sono stadi nuovi e stadi nuovi. C’è lo Juventus Stadium, in tutta la sua asetticità figlia della volontà di farlo diventare un mero e silenzioso centro commerciale, dove i tifosi devono andare ad assistere alla partita in qualità di clienti dal soldo facile, e ci sono impianti che, pur rispettando criteri avveniristici, sono modellati anche e soprattutto attorno alla tifoseria che li deve occupare. Se in ciò i tedeschi sono campioni assoluti, devo dire che a queste latitudini non sono poi tanto da meno (certo, cambia il contenuto, ma quello non è colpa di fattori esterni, sic!). Sta di fatto che l’interno dell’AFAS Stadion è molto carino e sin da subito trasmette l’idea di voler avvicinare il pubblico agli undici in campo. E non viceversa, come spesso avviene da noi.

Per il settore ospiti sono stati messi a disposizione novecentocinquanta tagliandi, finiti in poco tempo malgrado una stagione non propriamente felice per i colori giallorossi. Roma che torna nei Paesi Bassi a un anno di distanza dal Quarto di Finale contro il Feyenoord, mentre i suoi tifosi, che in quell’occasione vennero fermati dal divieto di trasferta – per ripicca alle solite pagliacciate italiane – mancavano dalla terra dei mulini dal match di Conference League contro il Vitesse Arnhem, datato febbraio 2022. Da queste parti, storicamente, non sono mai trasferte tranquille o da prendere sottogamba. Sia per il comportamento delle tifoserie locali – sempre alla ricerca del confronto – sia per i frequenti comportamenti scorretti e violenti delle forze dell’ordine (in successione ne sanno qualcosa viola e laziali, che oltre a venir segregati nei rispetti alberghi, negli anni passati hanno subito anche trattamenti poco edificanti, se non del tutto gratuiti). Va detto che stasera tutto filerà liscio e complessivamente vigerà totale indifferenza fra le opposte fazioni, sia dentro che fuori lo stadio. Avvicinandomi alle entrate sento esplodere diversi petardi e quando al cielo si levano anche i fuochi d’artificio individuo il manipolo di tifosi organizzati locali che stanno trascorrendo il loro pirotecnico pre partita sotto il ponte dell’autostrada. Tutto molto nord europeo, oserei dire ironicamente (ma neanche troppo!) Una volta ritirato il mio accredito (la facilità con cui avviene questa operazioni mi fa ricordare la situazione surreale vissuta ventiquattro ore prima a Bratislava) posso entrare nella pancia dello stadio, godendomi un tè e una zuppa calda che considerato il clima, non solo ci stanno tutte ma mi permettono anche di riprendere energia e contatto col resto del mondo. Sì lo so, sto dicendo proprio cose da italiano medio, ma camminateci voi con uno zaino di quasi dieci chili sulle spalle, l’acqua della pioggia che permea nel cappello e le mani scoperte dai guanti perché, in quel momento, non sai neanche dove siano finiti mentre il termometro è prossimo allo zero.

Pochi minuti prima del fischio d’inizio, lo stadio si sta ancora riempiendo – fatta eccezione per il settore popolato dai tifosi più caldi -, cosa che onestamente apprezzo sempre poco, ma che da queste parti è assai frequente, un po’ come il fare avanti e indietro durante la partita per andare a comprare birre e alcol in generale, perdendosi parte del match e, soprattutto, dando immensamente fastidio al rientro! Quando le squadre scendono in campo, nel settore ospiti viene intonato “Roma, Roma, Roma” e poi si comincia a tifare, a sostegno di una squadra che ha assoluto bisogno di vincere per non cominciare a preoccuparsi seriamente in chiave qualificazione. La prestazione dei capitolini sarà complessivamente buona, con tante manate e cori tenuti a lungo. Il tutto non ripagato dai calciatori, che alla fine usciranno sconfitti per 1-0 dal manto verde. Capitolo tifosi di casa: asserragliati dietro alcuni striscioni, tra cui quello su cui è impressa la parola ultras, esteticamente danno senza dubbio l’impressione di fare più riferimento a quanto avviene nella vicina Germania, sebbene vocalmente non risultino impressionanti. Malgrado un paio di ragazzi con i megafoni e il tamburo battuto continuamente, sono rare le occasioni in cui riescono a coinvolgere l’intero settore, finendo perlopiù a cantare quasi sempre in una cinquantina. Non voglio giudicarli più di tanto negativamente, perché di fondo questo è il loro stile. Certo, non posso scrivere di provare una frenetica bramosia di rivederli, però va anche detto che in diverse occasioni è il resto dello stadio a rumoreggiare, seguendo la partita in modo concitato e cercando, a modo loro, di spingere l’AZ a un successo che alla fine arriva, rendendo – in questo frangente sì – l’ambiente davvero carico e il settore più caldo motore e cuore pulsante. Finisce così con l’AZ a ricevere l’ovazione dei propri tifosi, per una vittoria forse insperata, arrivata al termine di una gara dove il risultato più giusto sarebbe forse stato il pari. Cartina al tornasole per una Roma davvero pessima, che sotto al settore riceve un po’ di fischi e un po’ di applausi di incoraggiamento dalla sua gente, alla quale anche oggi c’è ben poco da rimproverare.

Rimango ancora qualche minuto a guardare il giubilo dei sostenitori olandesi e poi decido di sistemare il mio zaino e avviarmi nuovamente verso la stazione. Si cambia ancora Paese, stavolta la destinazione è Magdeburgo. Per raggiungerla mi aspettano un treno fino ad Arnhem, un Flixbus fino ad Hannover e un altro fino alla città dell’ex DDR, dove si aprirà un’altra pagina di questo viaggio e di questa esperienza. Sulla banchina del treno qualche romanista e qualche tifoso locale si mischiano senza particolari problemi, mentre io attendo con tutto me stesso l’arrivo del convoglio per mettermi a sedere un paio d’ore e ricaricare il cellulare. Lascio alle mie spalle Alkmaar e mi concedo qualche ora, frammentata, di sonno. Stavolta non ci sono le comode poltrone del treno, ma accumulare un po’ di riposo per il giorno successivo è fondamentale. Da notare – in pieno stile Flixbus – come malgrado la fermata sia segnata da una parte della strada, il maledettissimo pullman verde pensi bene di fermarsi dall’altra e solo la mia totale sfiducia nei suoi confronti mi spinga a corrergli dietro e fermarlo poco prima che parta, come se nulla fosse! Va in archivio così questa partita e tutta la storia, le persone, i profumi e i controsensi che come sempre l’hanno caratterizzata. Anche Arnhem si allontana e in men che non si dica “scavalco” il confine con la Germania per la seconda volta in poche ore, potenza del trattato di Schengen…

Simone Meloni



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link