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Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 



Maurizio Stefanini

Il terrorismo rende. Almeno 800.000 dollari al mese ricava dall’estrazione di cobalto e coltan nel Nord Kivu l’M23, il gruppo armato appoggiato dal Ruanda che si è impadronito del capoluogo regionale Goma, in Congo. Ma la regione all’estremo Est della Repubblica Democratica del Congo è inoltre uno snodo commerciale importante con Uganda e Ruanda e perle merci in arrivo dai porti del Kenya; in quest’ottica, anche controllare la città di confine di Bunagana ha consentito ai ribelli di aumentare le loro entrate, chiedendo un pedaggio. Anche gli Houthi dello Yemen, tra un drone e l’altro lanciato contro Israele, dimostrano di avere il pallino degli affari. Al punto che sono stati definiti dall’Economist «una macchina per fare soldi». «Con armi iraniane e intelligence russa, i ribelli yemeniti controllano in parte l’ingresso a Bab al-Mandab, alla foce del Mar Rosso. e quindi il Canale di Suez attraverso il quale normalmente scorre il 12% del commercio mondiale. Le navi mercantili non correvano più un pericolo simile dalla seconda guerra mondiale», ha spiegato la testata economica britannica. «La loro motivazione ideologica va ben oltre Gaza: hanno attaccato altri obiettivi, tra cui gli Stati arabi del Golfo. E poiché hanno creato un nuovo modello di business per ricavare rendite redditizie dal commercio globale, hanno un forte incentivo a continuare a svolgere il ruolo di guardiani del Canale di Suez».

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Saldo e stralcio

 

Lo scorso novembre un gruppo di esperti riferì al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che alcune agenzie di spedizione si stavano coordinando con una società affiliata a un importante leader Houthi per acquistare un passaggio sicuro. Un “pedaggio” che costerebbe oltre 200.000 dollari a viaggio, rendendo al gruppo armato 180 milioni di dollari al mese, ovvero 2,1 miliardi di dollari all’anno. Nel frattempo dall’altra parte del mondo, nel Catatumbo, regione della Colombia al confine con il Venezuela, dal 16 gennaio si è scatenata una guerra che ha già fatto oltre 120 vittime e 50.000 sfollati. Si tratta di gruppi armati marxisti ancora in lotta con il governo di Bogotá: uno è l’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln) quello che ha attaccato, l’altro si chiama Fronte 33 delle dissidenze delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc) ed è quello che è stato attaccato: il tutto dimostra che di ideologico ormai c’è ben poco. Nel torbido, peraltro, sta pescando anche il governo di Maduro, che si vendica per il fatto che il presidente colombiano Gustavo Petro, pur essendo di sinistra, non ha riconosciuto la legittimità della sua rielezione. Ma i contendenti si scontrano soprattutto per il controllo di una zona di produzione della coca, in cui è attivo anche il gruppo di narcos non politico del Clan del Golfo.

 

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Sono tre situazioni che si verificano in contemporanea in tre Continenti diversi: Africa, Asia, America. Ma confermano come guerriglia e terrorismo possano essere un business, motore di conflitto più ancora che le ideologie di cui si ammantano i modreni gruppi armati. Forbes, in particolare, ha elaborato per tre volte in otto anni una classifica sulle organizzazioni terroriste più ricche del mondo: la prima volta nel 2014; la seconda nel 2018; la terza nel 2022. Secondo il suo ultimo ranking i più ricchi erano i Talebani, grazie al fatto che l’anno prima avevano occupato tutto l’Afghanistan, tornando così a incarnarsi in uno Stato. I loro due miliardi e mezzo di introiti annuali venivano però anche da aree dove è attestata la loro presenza in Pakistan. Un vero boom, se si pensa che nel 2014 erano ancora al quarto posto in classifica con 400 milioni di entrate, e nel 2018 secondi con 800. Mentre prima, infatti, le loro principali fonti di reddito erano il narcotraffico e l’estrazione mineraria illegale, adesso possono ricorrere massicciamente all’imposizione di tasse e contributi. Si sentono talmente sicuri del fatto loro, ormai, da aver fatto il bel gesto di varare provvedimenti repressivi contro la coltivazione di oppio.

Ma gli Houthi, come detto, erano ormai i secondi in classifica, con due miliardi di entrate. Ricavi da tasse grazie al controllo del territorio e al contrabbando di petrolio. E non c’era stato ancora il boom delle tangenti ai naviganti, grazie al quale nella prossima classifica potranno contendere il primato agli afghani. Un successo folgorante, se su pensa che nel 2014 e 2018, i ribelli sciiti neanche stavano in questa Top Ten. Chi è invece calato di ranking era Hezbollah: ma non di entrate. Quarto gruppo armato per ricchezza nel 2018 con 500 milioni, era al primo posto nel 2018 con 1,1 miliardi, e al terzo nel 2022 con 1,2 miliardi. Allo stesso tempo, il “Partito di Dio” libanese che vanta una presenza al parlamento di Beirut e nel governo del Paese, è anche una organizzazione in grado di assicurare welfare in ampi aree del territorio libanese. Hezbollah infatti fa cassa sia grazie ai contributi dall’Iran, sia mediante il traffico di droga. Una attività, quest’ultima, in cui è parte importante la diaspora libanese in America Latina e Africa. È però possibile che nella prossima classifica possa apparire come ridimensionata, viste le botte rimediate di recente. Non a caso gli israeliani hanno bombardato sia le banche legate ad Hezbollah, sia i caveau sotterranei dove nascondevano oro e valuta.

Al Qaida era nel 2022 quarta: 600 milioni dall’imposizione di tangenti e da vari traffici. Un po’ meno rispetto ai tempi in cui Bin Laden speculava sul crollo della Borsa prima di attaccare le Torri Gemelle. La cifra è però quattro volte i 150 milioni del 2014, quando era sesta; e anche il doppio rispetto ai 300 milioni del 2018, quando era quarta. Gli eredi di Bin Laden erano stati ovviamente danneggiati dalla scissione dell’Isis, che attraverso il controllo diretto di territori nel 2014 era la più ricca di tutti, con ben due miliardi di utili. Tasse, sequestri, contrabbando di petrolio e beni archeologici. Ma il fare guerra aperta contro tutto e tutti non la ha certo avvantaggiata: anzi, contro l’Isis si era formata una alleanza de facto di soggetti che fra loro sono nemici (Usa da una parte, Iran e Russia dall’altra). Nel 2018 era precipitata a 200 milioni e al quinto posto, e nel 2022 a 150 milioni e al settimo. Appunto da questa crisi si è riavvantaggiata al Qaeda.

In progressiva crisi appare anche Hamas: seconda con un miliardo nel 2014; terza con 700 milioni nel 2018; quinta con 500 nel 2022. Dal 2007 godeva dell’introito dei dazi su tutti i prodotti in entrata a Gaza, così come delle licenze concesse nel territorio. Paradossalmente, rincarando i prezzi l’embargo israeliano aumentava questi guadagni, e il Jerusalem Post nel 2012 stimò in almeno 600 i residenti a Gaza diventati milionari grazie alla gestione dei famosi tunnel sotterranei. Hamas è stata anche uno degli utilizzatori di criptovaluta di maggior successo per il finanziamento del terrorismo. Ma appunto alla fine stava probabilmente scontando l’impoverimento progressivo del territorio, ed è possibile che il 7 ottobre 2023 abbia provato apposta a rialzare la posta. In ascesa appaiono invece i curdi del Pkk, che si finanziano con traffici illegali: droga, armi, anche esseri umani. Neanche nella top ten nel 2014, erano sesti nel 2018 con 180 milioni, e ancora sesti nel 2022 con 250 milioni. Dal contrabbando di sigarette arrivano invece gli utili della Real Ira, gruppo irlandese che non ha accettato gli accordi di pace. Nona nel 2014 con 50 milioni all’anno; decima nel 2018, pure con 50 milioni; ottava nel 2022 con 70 milione. Tutti grazie a finanziamenti iraniani apparivano i numeri nove e dieci nella classifica del 2022: gli sciiti iracheni di Kata’ib Hizballah, con 50 milioni; e la Jihad Islamica palestinese, con 35 milioni. Nel 2018 Kata-ib Hizballah era invece settima con 150 milioni e la Jihad Islamica palestinese ottava con 100 milioni: sembra di capire che Teheran abbia meno risorse.

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Nel 2018 nono appariva invece il gruppo pakistano Lashkar e-Taiba: 75 milioni, contro i 100 del 2014, quando era settimo. Finanziato con i circuiti della beneficienza islamica, ha come obiettivo principale il distacco del Kashmir dall’India, ma è stato anche contiguo a Taleban e al-Qaida. Nel 2014 c’era poi il terzo posto delle Farc, con 600 milioni: rapine, estorsioni, sequestri di persona, imposte “rivoluzionarie” nei territori sotto il loro controllo, la protezione delle narcocolture, miniere clandestine di oro e smeraldi. Ottavi erano i somali al-Shabaab, con 70 milioni all’anno: collette della diaspora somala, imposte nelle areee sotto controllo, pirateria, estorsione, contrabbando di avorio, forse anche finanziamenti da Eritrea, Qatar, Yemen e Iran. Decimi i nigeriani di Boko Haram, con 25 milioni: saccheggi a parte, anch’essi riceverebbero fondi da diaspora nigeriana e beneficienza islamica, specie da Regno Unito e Arabia Saudita. Mentre gli al-Shabab sono ora considerati nell’insieme di al-Qaeda e Boko Haram con l’Isis, le Farc nel 2017 hanno ufficialmente smobilitato con gli accordi di pace. Ma sono rimaste “dissidenze” in armi, e appunto l’ultimo conflitto del Catatumbo dimostra come anche in Colombia ci sia ancora gente che considerala lotta armata un business.



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