La senatrice di Forza Italia racconta come sembra di essere tornati al 2006 e spiega cosa dovrebbe fare la maggioranza
Diceva Mark Twain: “La storia non si ripete, ma spesso fa rima”. E quello che sta accadendo nelle ultime settimane nella politica italiana sembra addirittura una rima baciata. E’ un po’ come un remake al cinema: personaggi diversi, momento diverso, tecnologie diverse, ma la trama è sempre la stessa.
Lo scontro durissimo con la magistratura, il caso Almasri, l’opposizione sull’Aventino, la guerra sulle riforme, l’offensiva dell’opposizione contro il Ministro Santanchè, la Cgil che incita alla rivolta sociale stanno praticamente occupando tutto lo spazio a disposizione nei mezzi di comunicazione.
“È la strategia di una sinistra spaccata, senza idee, proposte e una linea politica anche solo apparentemente unitaria, che sfrutta tutto questo per distogliere l’attenzione dalla sua conclamata incapacità di porsi come alternativa di governo” spiega ad Affaritaliani la senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli secondo cui oggi siamo alle prese con una strategia dell’opposizione identica a quella di 20 anni, piena era Berlusconi.
“Assolutamente così. Dobbiamo tornare indietro alla legislatura 2001-2006, con la sinistra nelle stesse condizioni di oggi ed il medesimo clima politico. Penso all’offensiva e allo scontro della magistratura contro Berlusconi, al “resistere, resistere, resistere” di Francesco Saverio Borrelli per opporsi alla riforma della giustizia, alle toghe con la Costituzione in mano ieri come oggi.
Penso anche alla guerra contro la riforma costituzionale e il monocameralismo, sfociata nel 2006 con la sconfitta al referendum. E ricordo che Berlusconi, prima in privato, poi ad ogni conferenza stampa a Palazzo Chigi, per illustrare il risultato del consiglio dei ministri o un disegno di legge, si lamentava con i giornalisti che mostravano più interesse a retroscena, gossip e polemiche politiche di vario genere, che alle misure approvate dal governo”.
Una sorta di “caos strategico” secondo lei?
“Certo, tutto studiato e voluto; ogni cosa era frutto di una strategia. L’unico modo per minare il governo era farlo apparire debole, interessato più agli scontri che al bene degli italiani. Veniva insomma usata l’arma della distrazione di massa, assemblata con la complicità della sinistra, di una certa parte del mondo dell’informazione e, ahimé, innescata anche da una sorta di autosabotaggio di alcuni alleati (Udc in prima linea), che, insieme con la sconfitta alle regionali del 2005, portò al Berlusconi III, dando un chiaro segnale di fragilità.
E intanto, tra una polemica e uno scontro, tra un autogol e una mozione di sfiducia, l’opposizione stava trovando il modo per ricompattarsi, individuando pure la figura del federatore: Romano Prodi, che guarda caso di questi tempi è rispuntato improvvisamente, non certo come potenziale leader ma come simbolo di ciò che si deve fare per sovvertire il quadro politico”.
Il suo ricordare alcuni inciampi interni alla maggioranza di centrodestra di allora sono un monito agli alleati di oggi per quanto sta avvenendo in queste settimane?
“Da una parte è così. È un monito. Oggi la sinistra sta usando le stesse armi di allora. E, anche se è triste prenderne atto, il percepito rischia di pesare molto ma molto più sulla gente della realtà. Ormai da troppo tempo l’attenzione dell’opinione pubblica è distolta dal grande lavoro della premier, dai risultati ottenuti, dal ruolo internazionale di primo piano che ha assunto. Potrei elencare uno per uno i provvedimenti del governo e del Parlamento che stanno portando fuori l’Italia dalle secche della crisi. Ma nelle secche non possiamo e non dobbiamo tornare ad arenarci”.
Che fare quindi, secondo lei?
“Non dobbiamo dare tempo e modo alla sinistra di diventare alternativa credibile. E per questo, non si deve cadere nelle provocazioni, dobbiamo riportare il cono di luce solo su quello che facciamo, su come stiamo realizzando il programma, rispettando il nostro impegno con gli elettori. E’ necessario mettersi alle spalle ogni polemica, anche interna, evitare la tentazione di cadere nel tranello di chi vuole sviare l’attenzione dai nostri straordinari risultati.
Dobbiamo tornare inattaccabili, costringendo la sinistra a misurarsi sul merito, mostrando così la sua politica fallimentare e assistenzialista, più indirizzata alla recessione che alla crescita, evidenziando la sua incapacità di porsi come alternativa di governo, le sue crepe, le sue contraddizioni, i suoi litigi, piuttosto che i nostri. Insomma, per evitare ciò che nel passato abbiamo già vissuto, è necessario rimettere al centro la barra della politica del fare. Altrimenti, a furia di inseguire le provocazioni della sinistra, rischiamo di trovarci con il fiato corto. E allora sì, dimostreremo ciò che sosteneva Hegel: “La storia insegna che l’uomo non ha mai imparato nulla dalla storia”.
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