Riforma Codice dei Beni Culturali: comunicato congiunto archeologi

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Dopo il tentato blitz parlamentare con un emendamento teso a togliere alle soprintendenze potere vincolante su aspetti paesaggistici-monumentali, il pericolo resta, assieme alla necessità di mettere comunque mano, in senso migliorativo e più efficiente, al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. A questo proposito è uscito un – raro – comunicato congiunto di archeologi del settore pubblico, privato e della ricerca universitaria che riportiamo integralmente (titolini e grassetto sono nostri):

Il dibattito sulla riforma del Codice dei Beni Culturali

Il recente dibattito sollevato dagli emendamenti proposti al DL Cultura, che miravano a depotenziare l’azione di tutela delle Soprintendenze in nome di procedimenti burocratici più agili, ha avuto come esito il riaccendersi dell’interesse politico per una riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Nel sottolineare la nostra preoccupazione per una riforma che sembra annunciarsi solo all’insegna del depotenziamento della tutela, le scriventi associazioni ricordano che già agli Stati Generali dell’Archeologia Italiana, tenutisi l’anno scorso, era emersa la necessità di rivedere la normativa di tutela per renderla più moderna ed efficace.

Un Codice ancorato al passato

L’attuale Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, infatti, pur emanato nel 2004 risente fortemente nell’impostazione della precedente legge di tutela del 1939 e non risulta più corrispondente a ciò che oggi la tutela, gestione, valorizzazione dei beni culturali necessiterebbe. Lasciando, per quanto possibile, da parte ogni implicazione di carattere ideologico, le associazioni degli archeologi che, a diverso titolo, tutti i giorni mettono in pratica i dettami del Codice, ANA – Associazione Nazionale Archeologi, API MiBACT – Archeologi del Pubblico Impiego, Archeoimprese, Assotecnici e la Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia hanno individuato alcuni temi su cui intervenire, con proposte concrete.Dal bene culturale al contesto territoriale

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Occorre innanzitutto superare il concetto di tutela dell’oggetto per arrivare a quello di tutela del contesto, proprio a favore di una tutela che guardi al paesaggio storicizzato, ai suoi monumenti, ai suoi beni archeologici e paesaggistici, in una forma più ampia, che sia custode del passato ma con un occhio alle necessità del futuro.

Anche la necessità che le procedure di archeologia preventiva, nel rispetto dei principi della Convenzione Europea della Valletta, siano ampliate al settore privato va in questo senso, prevedendo aiuti economici e la defiscalizzazione dei costi sostenuti dai privati: una necessità che già alcune regioni italiane stanno prevedendo in forme autonome.

La necessità di un maggiore coinvolgimento degli archeologi

Un maggiore coinvolgimento degli archeologi e dell’archeologia nella pianificazione territoriale e paesaggistica consentirebbe una conciliazione più ampia tra le esigenze dei Comuni e dei privati e quelle legate alla tutela dei beni culturali, che deve restare, quest’ultima, in capo allo Stato, garante dei diritti costituzionali.

Inoltre, una revisione nelle tempistiche relative alle procedure di ambito architettonico-monumentale e paesaggistico potrebbe consentire un miglioramento nell’attuazione delle pratiche relative a questo specificoambito, uniformandolo a quanto già avvenuto per l’ambito archeologico.

 

Le posizioni delle associazioni di settore

A tale proposito ANA dichiara:

La necessità di strumenti normativi che siano efficaci, lineari e rispondenti alle esigenze del vivere quotidiano è sentita anche in relazione alla salvaguardia del patrimonio culturale italiano. Quest’ultimo, la cui tutela è dovere costituzionale della Repubblica, deve essere visto come una risorsa costante nella costruzione dei nuovi scenari futuri e non come un impedimento allo sviluppo del Paese.

È per questo che la scelta di apportare delle modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio deve avvenire con un processo volto a migliorare il lavoro di tutti i protagonisti nella filiera della tutela, dai professionisti che sono tutti i giorni in prima linea sui cantieri dislocati in tutto il paese, alle Soprintendenze impegnate nella supervisione di tutti i procedimenti amministrativi: le loro prerogative vanno consolidate, non minate, così come il loro ambito d’azione. Occorre, anzi, investire maggiormente su strumenti di pianificazione territoriale preventiva (dal livello comunale a quello regionale) che, partendo da una chiave di lettura storica dell’evoluzione del paesaggio, arrivino a consentire progettazioni sempre più precise e meno impattanti sul potenziale patrimonio archeologico.

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L’efficientamento delle procedure burocratiche passa, quindi, attraverso la costruzione di un dialogo sistematico e propositivo tra le parti politiche, gli enti statali, la cittadinanza e i portatori di interesse, e quindi tra amministratori e professionalità tecniche, archeologi, architetti, urbanisti, specialisti dell’assetto del territorio e popolazione, al fine di consentire la costruzione di politiche di pianificazione efficaci e non lesive di parte del patrimonio culturale e paesaggistico italiano: un patrimonio che è fonte della nostra memoria collettiva di popolo e come tale va tramandato alle future generazioni.

A tale proposito API dichiara:
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita dell’interesse verso il patrimonio culturale inteso come attrattore turistico e volano economico. Contemporaneamente non sono mancati i tentativi di ridurre le forme di tutela che proteggono tale patrimonio e che lo rendono lo straordinario attrattore che è attraverso la sua diffusione sull’intero territorio nazionale.

Però, più ancora che un elemento economico, il patrimonio culturale e paesaggistico è elemento della nostra identità, da preservare per le generazioni future che in esso si continueranno a riconoscere come comunità e come nazione.

La sfida attuale è coniugare la tutela con lo sviluppo del Paese attraverso scelte politiche lungimiranti e procedure di pianificazione territoriale che sappiano valutare correttamente le diverse componenti che hanno prodotto nel corso del tempo il nostro paesaggio.

A tale proposito Archeoimprese dichiara:
Il fatto che vi siano pressioni da parte politica volte alla modifica del codice dei Beni Culturali evidenzia una tipica stortura italiana: invece di dotare delle opportune risorse gli enti di governo territoriale – si pensi in particolar modo ai piccoli comuni, non sempre in grado di gestire in maniera corretta la progettazione e la burocrazia – si procede a colpi di emendamenti che indeboliscono la tutela del nostro già ferito paesaggio.

Occorre certamente rivedere tempi e modalità, ma occorre farlo ascoltando chi quotidianamente progetta e lavora in questo ambito, sicuramente in grado di proporre correttivi utili a rendere le procedure più funzionali e certe le tempistiche, senza derogare al mandato costituzionale.

Occorre inoltre investire sulla corretta formazione che permetta a enti, stazioni appaltanti, imprese e professionisti di aggiornarsi all’evolversi delle normative e delle tecnologie, senza dimenticare la necessità di dotarsi di strumenti di governo territoriale in grado di alleggerire la burocrazia, normare la tutela calandola nei contesti territoriali e trasformare il territorio intero in un progetto di sviluppo.

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Archeoimprese vede quindi queste proposte di emendamento come la spia della presenza di criticità che devono essere affrontate e risolte ma certamente non depotenziando gli strumenti di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.

A tale proposito Assotecnici dichiara:
La pubblica Amministrazione è sempre stata, a scapito di quello che vogliono certe superate visioni liberistiche, uno dei motori economici dell’Italia. In questo campo la politica dei Beni Culturali sta diventando sempre più strategica, e necessita oggettivamente di una razionalizzazione che a nostro avviso non è da operare in tempi ristretti, come ipotizzato dall’ambito politico, sulla normativa generale, ma piuttosto a livello di regolamenti e procedure.

La diffusione dell’Archeologia Preventiva ha ad esempio sensibilmente ridotto i rischi di scoperte impreviste e quindi di fermi alle opere, limitando sensibilmente le critiche degli amministratori pubblici meno illuminati nei confronti della categoria degli archeologi; questo, come si è visto nelle recenti proposte di emendamento, non è accaduto nei confronti della tutela paesaggistica. Va del resto riconosciuta la difficile comprensione di questo ambito della tutela, proprio a causa della sua disomogenea e discrezionale applicazione da parte di molti funzionari preposti, in assenza di chiare e definite direttive centrali.

Questa interessata polemica rischia di estendersi a tutto lo spettro della tutela, mettendo a rischio il patrimonio culturale comune nella sua totalità. Anziché modificare in fretta, e quindi necessariamente senza una corretta riflessione, il Codice dei Beni Culturali un serio snellimento delle tempistiche e delle procedure sarebbe possibile con una semplificazione a livello centrale di regolamenti e di indicazioni operative; una operazione fondamentale sarebbe, a puro titolo di esempio, quella di eliminare una volta per tutte la narrazione che pone il parere unico come semplificativo, mentre subordina tutte le altre procedure di tutela al parere paesaggistico vanificandone di fatto l’azione.

A tale proposito la Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia dichiara:
I recenti orientamenti volti in direzione di una ulteriore delegittimazione delle Soprintendenze e del depotenziamento dell’esercizio della tutela non possono essere affrontati solo manifestando una, peraltro necessaria, contrarietà a tali maldestri e pericolosi tentativi, ma dovrebbero fornire l’occasione per tornare a riflettere sulle modalità e sulle forme di tutela e di valorizzazione oggi, a 50 anni dall’istituzione del Ministero dei Beni culturali e ambientali, ora Ministero della Cultura e a oltre 80 anni dalla legge del 1939, che di fatto è parte integrante del Codice dei beni culturali e paesaggistici del 2004, anche alla luce della Convenzione sul valore del patrimonio culturale per la società (Faro 2005), ratificata in Italia nel 2020.

Una modifica del Codice si rende pertanto necessaria, auspicabilmente in maniera partecipata e condivisa, anche per quel che riguarda gli aspetti della ricerca, del rapporto con le Università, dell’accesso a dati e immagini del patrimonio culturale, e, più in generale, per garantire un rapporto organico con i temi centrali della società contemporanea.

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Le Associazioni

ANA – Associazione Nazionale Archeologi associazione@archeologi.org

API – Archeologi Pubblico Impiego MiBACT api.mibact.naz@gmail.com

ARCHEOIMPRESE – Associazione delle imprese archeologiche presidente@archeoimprese.it

ASSOTECNICI – Associazione Nazionale dei Tecnici per il Patrimonio Culturale assotecnici@yahoo.it

Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia (Consulte di: Preistoria e Protostoria; Archeologia del mondo classico; Archeologia dell’Italia preromana; Archeologie postclassiche; Numismatica; Studi dell’Asia e dell’Africa; Antropologia) federazione.consulte.archeologia@gmail.com

 

Al comunicato riportato qui sopra, per completezza, aggiungiamo quanto già inviato dalla Confederazione Italiana Archeologi (CIA) :

La tendenza a voler deregolamentare la tutela del patrimonio e del paesaggio è estremamente preoccupante, soprattutto “se l’obiettivo è liberare gli uffici dalle pratiche che non riguardano i grandi monumenti o le rilevanti opere storiche, affidando ai Comuni l’ultima parola su tutte le altre decisioni urbanistiche e paesaggistiche”, come ha sostenuto il leader della Lega in un suo post.

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È evidente che a chi ha proposto questa soluzione sfuggano alcuni aspetti: innanzitutto, affidare ai Comuni questo genere di pareri creerebbe un caos incredibile, mettendo in difficoltà la velocità di realizzazione, che oggi si sostiene sia rallentata dalle Soprintendenze. Immaginiamo opere che ricadono in più territori comunali e che ricevono pareri contrastanti dai sindaci competenti; si verrebbe a creare un’impasse irrisolvibile, rallentando irrimediabilmente l’opera.

Ma la cosa più preoccupante è sostenere che in un Paese come l’Italia, in cui territorio, cultura e storia sono indissolubilmente legati, possano esistere grandi monumenti o rilevanti opere storiche che non siano legate a doppio filo con il territorio, urbano o rurale, che li circonda, o che non abbiano una connessione, anche economica, tra loro.

Siamo contenti che il Ministro Giuli si sia opposto a questa proposta e che l’emendamento sia stato ritirato, ma resteremo vigili per evitare che vengano riproposte soluzioni che potrebbero compromettere irrimediabilmente la natura stessa del nostro Paese. L’Italia è un Paese unico al mondo e la politica dovrebbe avere il compito di preservarlo, facendo leva proprio sui nostri punti di forza.

Se si ritiene che le regole di tutela, sia storica che paesaggistica, siano oggi troppo gravose, la soluzione non può essere in alcun modo quella di aggirarle. Siamo consapevoli che il miglior modo per rendere più efficienti le normative è adottare politiche di progettazione che integrino, nella fase progettuale, le possibilità di intervento di professionisti del settore adeguatamente formati e preparati, come nel caso degli archeologi. Proprio per questo chiediamo al Ministro Giuli un incontro per discutere con lui le nostre idee al riguardo.

Qui l’editoriale di ArchaeoReporter uscito nei giorni scorsi sui rischi per le soprintendenze e la tutela dei beni culturali e del paesaggio:

Soprintendenze restano sotto attacco: il ritiro dell’emendamento e il pericolo dei disegni di legge

 



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