Oro non si ferma: “appetito insaziabile” delle banche centrali per i lingotti, riparo da guerra dazi

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Le incertezze geopolitiche e le tensioni per una guerra di dazi tra Stati Uniti e Cina spingono l’oro a battere ogni record. Non solo il prezzo del metallo giallo sta navigando verso la soglia dei 3000 dollari l’oncia, anche la domanda di lingotti non è mai stata così alta, grazie all’ “appetito insaziabile” delle banche centrali.

Come riporta Bloomberg, il prezzo spot dell’oro è cresciuto oggi dello 0,7% a 2.861,22 dollari sul mercato di Londra. Parallelamente il World Gold Council, nel suo rapporto annuale ha reso noto che le transazioni globali di lingotti nel 2024 sono ammontate al record di 4.974 tonnellate, contro le 4.899 tonnellate del 2023.

La prospettiva di guerre commerciali spinge tutti verso il bene rifugio

Ieri sono entrati in vigore i dazi del 10% sulle importazioni cinesi decisi dal presidente americano Donald Trump. La risposta di Pechino per ora è stata tenue ma rimane un senso di attesa per una situazione che potrebbe sfuggire di mano da un momento all’altro e avere conseguenze su tutti i risvolti dell’economia, in particolare l’inflazione. Questo è almeno quanto temono gli investitori.

A tutto questo si aggiungono i più scottanti dossier geopolitici, sui quali praticamente ogni giorno arrivano scosse dalla Casa Bianca. Ieri Donald Trump ha incontrato a Washington il premier israeliano Benjamin Netanyahu e ha parlato apertamente alla stampa di un’idea di ricollocamento dell’intera popolazione palestinese al di fuori della striscia di Gaza. Di quest’ultima, sempre secondo le parole di Trump, potrebbero assumere il controllo gli stessi Stati Uniti.

“A chi non piace un bene rifugio in questo scenario?”, ha detto Charu Chanana di Saxo Capital Markets. “Mancanza di buone notizie su trattative Usa-Cina e ulteriore ansia geopolitica da Gaza continueranno a sostenere l’oro”.

Banche centrali accumulano riserve senza freni. Prezzo a $3000 all’oncia entro l’anno è possibile.

Shaokai Fan, capo globale per il settore banche centrali del World Gold Council, ha definito “insaziabile” l’appetito per i lingotti da parte delle banche centrali, che nel 2024 hanno raggiunto “un traguardo importante” e hanno mantenuto un ritmo di acquisto che ha superato le 1000 tonnellate complessive per il terzo anno consecutivo. La Banca Nazionale di Polonia è stato l’istituto leader come acquirente netto, aggiungendo ben 90 tonnellate alle proprie riserve auree. Al secondo posto la Banca Centrale di Turchia, che ha aumentato le proprie riserve di 75 tonnellate, e al terzo posto si è piazzata la Reserve Bank of India.

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Proprio questa “febbre dell’oro” da parte delle banche centrali è uno dei principali i fattori che potrebbero far toccare e superare la soglia dei 3.000 dollari l’oncia entro il 2025, secondo Peter Kinsella, Global Head of Forex Strategy di Union Bancaire Privée (UBP).

Kinsella rileva come rispetto al 2022  gli acquisti di lingotti da parte degli istituti centrali siano “più che raddoppiati”, individuando nella decisione dei paesi occidentali di sanzionare le riserve della banca centrale russa “un punto di non ritorno”. In futuro infatti, “qualsiasi paese che si dovesse trovare in forte disaccordo politico con l’Occidente potrebbe implicitamente correre il rischio di vedere i propri asset confiscati.”

La tendenza da quel momento in poi, dice Kinsella, è stata quella di aumentare le riserve d’oro, e questa “è destinata a continuare nel 2025”, perché, anche se la guerra in Ucraina dovesse arrivare ad un negoziato, permerrà l’incertezza in ambito geopolitico.

Ritorno dell’inflazione e rendimenti obbligazionari avvantaggiano l’oro

“Il processo disinflazionistico post-2022 ha subito una pausa negli ultimi mesi”, e i dati recenti indicano un ritorno di spinta verso l’alto in Europa e Stati Uniti. Molto probabilmente questo fenomeno diventerà “sempre più evidente nella seconda metà del 2025 e, nel tempo, gli effetti cumulativi dell’inflazione dovrebbero favorire i prezzi dell’oro”, sottolinea Kinsella.

Un altro fattore, sempre secondo l’analista, sono i rendimenti obbligazionari a lungo termine, il cui aumento sarebbe di beneficio ai prezzi dell’oro. Dal 2022 si è infatti notata una brusca cesura in merito alla tradizionale correlazione tra tra l’oro e le aspettative sui tassi di interesse reali. “A questo proposito, va notato che la causalità è essenziale nella misura in cui l’aumento dei rendimenti a lungo termine riflette anche il ritorno di premi a termine positivi sui mercati obbligazionari”, ha detto Kinsella. “I premi a termine rappresentano la remunerazione aggiuntiva richiesta dagli investitori obbligazionari per compensare i livelli di rischio più elevati (legati all’inflazione o all’insolvenza, ad esempio). L’aumento della spesa pubblica in deficit dovrebbe tradursi in un aumento del rapporto debito/PIL e l’oro potrebbe rappresentare un’ottima protezione in questa situazione.”



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