Nordio e Piantedosi alla Camera su caso Almasri

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Mutuando il gergo dello spettacolo, si potrebbe dire che Montecitorio ha fatto registrare il primo “sold out” della legislatura. Attorno a mezzogiorno la seduta doveva ancora essere aperta ma all’ingresso delle tribune riservate ai cronisti c’era una coda che ha costretto gli assistenti parlamentari a raddoppiare i posti a disposizione, aprendo un varco ulteriore. D’altra parte, che l’informativa dei ministri Nordio e Piantedosi, dopo le polemiche roventi degli ultimi giorni sul rimpatrio dell’ufficiale libico Almasri, accusato di torture dalla Cpi, si prestasse a un dibattito ad alta tensione, appariva scontato.

E il Guardasigilli, in questo senso, non ha tradito le attese, assumendo sin dall’inizio del suo intervento un piglio aggressivo nei confronti delle opposizioni, ma soprattutto della magistratura, che ha immediatamente scaldato l’emiciclo, in un crescendo di applausi e contestazioni incrociate. La parte principale della sua informativa, resa dallo scranno accanto a quello lasciato vuoto dalla premier – vera convitata di pietra di questa giornata – è stata dedicata a contestare la forma del mandato di arresto internazionale, che non ha reso possibile a suo avviso convalidare il fermo di Almasri, e a rivendicare il proprio ruolo, che non può essere quello di “passacarte”. Un documento «arrivato in lingua inglese senza essere tradotto, con una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello».

Mentre sale il brusìo ironico dall’ala sinistra dell’aula per il riferimento alla lingua inglese, Nordio prende l’abbrivio per il crescendo polemico: «Un pasticcio, una sessantina di paragrafi in cui vi è tutta la sequenza di crimini orribili addebitati al catturando e vi è un incomprensibile salto logico. Le conclusioni del mandato di arresto risultavano differenti rispetto alla parte motivazionale e rispetto alle conclusioni. È stata la Corte Penale Internazionale», ha detto ancora Nordio, «che si è corretta, non sono io che ho rilevato dei difetti della Corte, li ha rilevati lei e ha cercato di cambiarli cinque giorni dopo».

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Poi, l’affondo: «Il ruolo del ministro non è solo di transito e di passacarte, è un ruolo politico: ho il potere e dovere di interloquire con altri organi dello Stato sulla richiesta della Cpi, sui dettagli e sulla coerenza delle conclusioni cui arriva la Corte. Coerenza che per noi manca assolutamente. Mi ha deluso l’atteggiamento di una certa parte della magistratura che si è permessa di sindacare l’operato del ministero senza aver letto le carte. Cosa che può essere perdonata ai politici ma non a chi per mestiere le carte le dovrebbe leggere. Con questa parte della magistratura, se questo è il loro modo di intervenire in modo sciatto, questo rende il dialogo molto più difficile. Se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme devono essere rallentate, andremo avanti fino alla riforma finale».

Immediata la standing ovation dai banchi del centrodestra, mentre dal versante opposto si levano le urla, tanto che il presidente dell’assemblea Lorenzo Fontana è costretto a richiamare all’ordine i presenti. Dopo di lui è il turno di Piantedosi, ma appare subito evidente che i leader del centrosinistra si preparano a replicare veementemente al Guardasigilli. Il ministro dell’Interno si è limitato a precisare che il governo non ha ricevuto «alcun atto o comunicazione che possa essere, anche solo lontanamente, considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto da parte di chiunque» e che per il rimpatrio «si è reso necessario agire rapidamente proprio per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto».

A questo punto i riflettori si spostano sulle opposizioni: forti anche della diretta tv (negata in un primo momento e poi accordata), prendono la parola i leader dei partiti di centrosinistra. Si parte con Elly Schlein, che batte sui tasti dell’assenza della premier e del profilo criminale di Almasri, su cui gli esponenti del governo hanno a suo avviso glissato: «La credibilità internazionale dell’Italia», afferma, «è stata sfregiata dalla vostra scelta di liberare un torturatore libico. Meloni si nasconde dietro di voi, e voi avete parlato come avvocati difensori di un torturatore, le domande a cui dovreste rispondere sono molto semplici: perché il ministro Nordio non ha risposto alle richieste del Procuratore generale? Che Paese vogliamo essere? Dalla parte dei torturati o dei torturatori?». Non manca un gioco di parole sarcastico per Meloni («Presidente del coniglio, altro che presidente del Consiglio») che prelude all’esposizione di un cartello con la scritta “Meloni patriota in fuga” da parte dei deputati dem.

Dal contenuto ben più duro i cartelli esposti dai parlamentari di Avs alla fine dell’intervento di Nicola Fratoianni, con le foto delle vittime di tortura nei centri libici, mentre il leader del M5s Giuseppe Conte ha concentrato il proprio attacco sull’assenza della premier e sulle critiche al procuratore Lo Voi operate dalla maggioranza: «Ormai siamo diventati un porto franco», ha detto, «un Paese dei balocchi dei criminali. Nordio è stato il giudice assolutore di Almasri», e ha avuto un atteggiamento scandaloso. Ha detto che si applica il Codice penale, e doveva dare seguito al provvedimento dell’Aja. Vergogna, vergogna, vergogna».

Si replica un paio d’ore dopo a Palazzo Madama, dove il clima è altrettanto caldo, senza mai però lasciare il passo ad atti trascendentali. A impossessarsi della scena è il leader di Iv Matteo Renzi, maestro riconosciuto del calembour, che rimprovera a Meloni di aver desiderato di essere «la lady di ferro per poi finire come omino di burro». «Signor ministro», ha proseguito, «Almasri ha violentato dei bambini, ha torturato e ucciso delle persone e voi lo avete rimandato in Libia col volo di stato». E mentre la seduta volge al termine tra qualche intemperanza, con Calenda che sottolinea l’ipocrisia di cui tutta la vicenda è ammantata, il dem Sensi sfoggia le sue doti di disegnatore, tratteggiando a matita una caricatura di Nordio che ironizza sui riferimenti alla lingua inglese.



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