Il delitto di via Marsala 29 anni fa, uno dei più noti casi irrisolti: sotto accusa anche Anna Lucia Cecere, ritenuta l’esecutrice materiale. Le carenze delle prime indagini superate dalla tenacia di una criminologa che ha riletto gli atti. La sorella della vittima:«Andiamo avanti, un gradino alla volta»
A 29 anni e mezzo di distanza si è apero questa mattina alle 9 in Corte d’Assise a Genova, per la prima volta, il processo sul delitto di Nada Cella, segretaria 24enne uccisa nello studio di via Marsala a Chiavari il 6 maggio del 1996. La principale imputata è l’ex insegnante Anna Lucia Cecere, accusata di omicidio aggravato dai futili motivi. Sarebbe lei, secondo l’accusa, l’autrice del delitto. Fu indagata all’epoca per soli 5 giorni, la sua posizione poi fu archiviata ma riemersa nel 2021 con la riapertura delle indagini su intuizione e studio di una criminologa, Antonella Delfino Pesce.
Alla sbarra l’ex insegnante, il commercialista e la madre
Insieme a Cecere, a processo anche il commercialista Marco Soracco, titolare dello studio in cui venne uccisa Nada e a lungo indiziato poi prosciolto dalle accuse nel 1998, e l’anziana madre Marisa Bacchioni. Entrambi dovranno rispondere di favoreggiamento, nella tesi dell’accusa per aver coperto Cecere e sviato le indagini. «Non sono contro il processo, non ho paura perché sono innocente, voglio solo che ci sia giustizia» ha commentato lo stesso commercialista prima dell’udienza.
In aula anche la sorella di Nada Cella, che ha commentato: ««Come questa scala, un gradino alla volta andiamo avanti». ha detto risalendo le scale che l’hanno portata verso l’uscita del tribunale.
Soracco e la madre, devono rispondere di favoreggiamento e false informazioni al pm, secondo i quali «emerge dagli atti con solare evidenza il tentativo di depistaggio delle indagini». Da chiarire il rapporto tra Soracco e l’ex insegnante, da lui a lungo negato, oggetto anche di un’unica intercettazione telefonica dell’epoca che dovrà essere acquisita agli atti.
Nella mattinata del 6 febbraio, oltre alle acquisizioni documentali e delle prove dovranno essere ammessi i testimoni, oltre una cinquantina solo quelli della lista delle difese cui si sommano i testi proposti dall’accusa e dalle parti civili, la famiglia della ragazza. Si dovrà poi esaminare una questione preliminare, quella della legittimità costituzionale sollevata da uno dei legali difensori, l’avvocato Andrea Vernazza, in merito alla posizione del suo assistito Marco Soracco, in ordine alla sostenibilità della richiesta di rinvio a giudizio senza motivazione da parte della corte, su una posizione già oggetto di proscioglimento. Se dovesse essere accolta, potrebbe provocare un ulteriore stop con rinvio a dopo la decisione della Corte Costituzionale.
I fatti
Nada Cella, originaria di Santo Stefano D’Aveto (Genova) dov’era nata nel ’71, fu brutalmente uccisa nell’ufficio di Marco Soracco il 6 maggio ’96 al secondo piano del condominio del civico 14 di via Marsala. La segreteria fu aggredita con un colpo contundente e lasciata in un bagno di sangue da un aggressore non identificato. Questo anche a causa di inquinamenti sulla scena del crimine e in ragione della minore efficacia degli strumenti di indagine all’epoca disponibili. I primi soccorritori, pensando a una disgrazia (una caduta e non una morte dovuta a un corpo contundente) e non a un crimine, alterarono la scena del delitto. L’allarme viene dato da Soracco e da sua madre, che abitavano al piano superiore dello stesso edificio. Chiamarono il Pronto soccorso dicendo che la giovane, agonizzante, aveva avuto un malore.
La riapertura delle indagini
Nel 2021 a polizia scientifica effettuò il «luminol» e altre analisi tecniche sul motorino di Annalucia Cecere , l’ex insegnante indagata per omicidio aggravato e sospettata di aver avuto motivazioni di gelosia (Soracco avrebbe avuto una relazione con Nada Cella) e di odio nei confronti della vittima. Lo scooter di Annalucia Cecere era custodito in un autosoccorso di Cuneo dopo che gli investigatori della squadra mobile di Genova lo avevano sequestrato nell’estate. La donna lo avrebbe portato da Chiavari a Boves, in provincia di Cuneo, e lo teneva in un box.
La tenacia della famiglia della vittima
Spuntarono anche altri elementi per il riaprire il caso: alcuni profili di Dna femminili e maschili trovati sulla camicetta della vittima e sulla sedia dell’ufficio, ma anche una impronta papillare. «Saranno analizzati da speciali strumenti in dotazione alla polizia scientifica che speriamo ci possano permettere di arrivare ad avere un nome del sospettato», aveva spiegato il procuratore capo Francesco Cozzi. Il caso tecnicamente non è mai stato chiuso e ha trovato nuovo impulso grazie alla caparbietà della famiglia Cella che ha nominato una criminologa, Antonella Delfino Pesce, che ha vagliato il caso. Oltre alla signora Cecere, difesa dall’avvocato Giovanni Roffo, sono stati indagati il commercialista Marco Soracco e l’anziana madre. Questi due, difesi dall’avvocato Andrea Vernazza, sono accusati di false dichiarazioni al pm per avere mentito sui reali rapporti tra il professionista e l’ex insegnante. A fare riaprire il caso è stata la determinazione della criminologa Antonella Delfino Pesce, due lauree (entrambi i genitori della Delfino Pesce sono stati professori di anatomia patologica all’Università di Bari) che insieme all’avvocata Sabrina Franzone ha riletto gli atti della vecchia indagine scoprendo particolari sottovalutati.
Gli elementi sottovalutati e il lavoro della criminologa
Tra gli elementi non presi inizialmente in considerazione anche la testimonianza di una donna che aveva detto di avere visto, la mattina del delitto, la Cecere sotto lo studio di Soracco mentre andava via sul suo motorino. Per gli investigatori, coordinati dal procuratore Francesco Pinto e dal sostituto Gabriella Dotto, sullo scooter potevano esserci dunque ancora possibili tracce, nel caso in cui l’ex insegnante avesse ucciso Cella. Per gli inquirenti Cecere avrebbe ucciso per gelosia nei confronti di Soracco , che avrebbe avuto un interessamento invece per la segretaria, e per prendere il suo posto di lavoro. Tra gli elementi al vaglio anche alcuni bottoni trovati all’epoca in casa dell’indagata uguali a uno trovato sotto il corpo della segretaria. Cecere, oggi 57enne, all’epoca ragazza madre con alle spalle un’infanzia delicata (era cresciuta in un orfanotrofio), era già stata indagata ma la sua posizione era stata archiviata dopo cinque giorni. Nel 2021 aveva orgogliosamente dichiarato: «Fatemi pure il Dna, fate gli accertamenti che volete, non ho nulla a che vedere con quella ragazza. Non ho niente da nascondere».
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