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La telefonata – in cui mi viene commissionato un articolo sui rapporti tra l’editore di una casa editrice e chi traduce i libri che pubblica – mi arriva mentre sto guardando dalla finestra di una stanza che si chiama «La luna i falò», a Santo Stefano Belbo, che affaccia sulla Valle Tinella. Sono ospite alle Vigne di Fagnano: ogni stanza qui offre una sua piccola biblioteca, e porta il nome di un romanzo di Cesare Pavese.

Ieri sono stato alla Fondazione Pavese per presentare un libro, sono riuscito a fare appena una visita breve – ma impreziosita dall’opportunità di avere come guida il vulcanico direttore Pierluigi Vaccaneo – alla mostra di prime edizioni, memorabilia, epistolari pavesiani. «Guardo ancora solo questa lettera e arrivo! Poi torno domani con più calma», ho dovuto difendermi mentre venivo momentaneamente sottratto a quel bengodi letterario: il pubblico in sala era in attesa che iniziassimo l’incontro. E così, stamattina, mentre mi preparavo a raggiungere la biblioteca, è arrivata quella telefonata. Ho chiesto a chi mi proponeva di scrivere queste righe un via libera a usare Pavese come ideale Virgilio per il mio breve viaggio, e sono andato a trasformare una giornata piovosa di febbraio in un sollucchero senza precedenti. In particolare, l’«incontro» più emozionante, davvero da brividi, è stato quello con l’originale del celebre messaggio di congedo: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Mi ero sempre concentrato sulla parte finale, una brusca richiesta di silenzio che costituisce letteralmente l’explicit della prodizione letteraria e della vita dell’autore; e avevo dato meno importanza all’incipit. Vedendola invece scritta a mano, ho fatto caso per la prima volta alla polisemicità della prima parola, che da ora in poi offrirà alla mia interpretazione solo questa nuova lettura, secondo cui dalla morte di Pavese chiunque ha perso per sempre qualcosa. In primis, naturalmente, l’opportunità di leggere altre opere di un immenso scrittore ma anche – per venire a quanto qui ci riguarda – il lavoro meticoloso e impareggiabile di un raffinato editor(e), grazie al cui lavoro si sono cesellate tante opere altrui.

Che la vicenda professionale e umana delle persone e dei libri che hanno fatto lo storico catalogo Einaudi sia un modello esemplare per chiunque si occupi di editoria non è una novità. È difficile isolare – per necessità di spazio, per impossibilità di abbracciare un insieme così sbalorditivo di percorsi e di figure – la vicenda di un unico membro di quel gruppo creativo, ciascun componente del quale, preso singolarmente, è di per sé eccezionale; ma indubbiamente sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione di trovarmi qui e non concentrare la mia attenzione su Pavese, che oltretutto per diversi anni di Einaudi è stato un vero e proprio factotum. Ha fatto appunto tutto ciò che un editore che si occupa di letteratura e saggistica straniera deve fare quotidianamente: selezionava e gestiva collaboratori, commissionava e rivedeva traduzioni, triangolava richieste reciproche tra l’editore e i consulenti per le diverse aree linguistiche; trattava compensi, richiedeva libri da valutare ad agenti letterari e editori stranieri; per un decennio circa ha poi praticamente gestito le redazioni torinesi e romane, non a caso più volte arrivando a definirsi «editore».

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Il tutto, mentre – incidentalmente – scriveva alle donne di cui era innamorato, costruiva libro dopo libro la sua carriera letteraria, traduceva a sua volta, partiva per il confino e poi ne tornava, vinceva lo Strega, viveva e si preparava a morire. Insomma, mentre era Pavese.

E così, invece di avventurarmi in teorizzazioni sul modo in cui lavora un editore che, come me, pubblica letteratura internazionale tradotta in italiano, ho pensato potesse risultare più efficace proporre una selezione di citazioni estratte da alcune delle lettere esposte alla Fondazione, o raccolte nei suoi corposi epistolari. Ne ho tratto un manualetto, come si dice in questi casi, «involontario», che potrebbe intitolarsi Pavese at Work: come un editore lavora alle traduzioni.

Come dare suggerimenti a una giovane traduttrice

(a Fernanda Pivano, 1942)

La esorto a levarsi alle 7 e andare a dormire alle 20, come già Le consigliai.

Vedrà che lavora di più e con diletto.

Come sollecitare proposte di traduzione

(a Giorgia Valensin, 1945)

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Mi scriva con calma e mi faccia ogni sorta di proposte e suggerimenti. Noi stiamo appunto allargando il respiro della Casa.

Come apprezzare il lavoro di un traduttore

(a Carlo Muscetta, 1942)

È una traduzione infedele. Probabilmente è anche bella.

In assaggi vari ho trovato che il testo viene sovente interpretato, parafrasato, più che tradotto. Ma evidentemente il baldo giovane ha fatto apposta; non è che non capisca il testo.

Così stando le cose, non mi permetto di fare ritocchi e penso che al traduttore vada lasciata tutta la responsabilità delle sue trovate. La prefazione è del resto molto dotta, e implica ambizioni universitarie.

Vuoi vedere tu il manoscritto per tua tranquillità o deve andare in tipografia così com’è?

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Come puntualizzare sulla punteggiatura

(a Luigi Berti, 1937)

E veniamo alla punteggiatura: vedo non solo dalla Sua lettera, ma anche dai molti per noi curiosi punti e virgola di cui è disseminata la Sua prefazione, che Lei vuole introdurre in italiano la punteggiatura inglese. Ma io so per esperienza che anche se una traduzione può essere letterale rispetto alle parole, la punteggiatura non si può mai trasporre tal quale: sarebbe il vero modo di rendere incomprensibile un libro. Non c’è bisogno poi ch’io Le aggiunga che le abitudini di punteggiare degli inglesi sono toto coeli diverse dalle nostre.

Molti cordiali saluti.

Come rifiutare la proposta di una traduzione

(a Mario Alicata, 1942)

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Come vedrai dagli appunti annessi ai fogli, non solo l’italiano della traduttrice è banale e manca di ogni risonanza umanistica […] ma – peggio – il testo è stato violato in almeno dieci punti. Questo, per una diplomata di Cambridge, è un po’ troppo.

Le note, in ogni caso, non sono affatto di tono universale.

Sono per il no.

Come commissionare una curatela

(a Giorgia Valensin, 1943)

Naturalmente ci vorrà un lavoro di annotazioni sottilissimo e sobrio, che si scosti sovente dalle note del testo inglese che mi paiono pettegole e dilettantesche. Inoltre, la breve prefazione inquadratrice dovrà con molto virtuosismo analizzare i quattro pezzi e insieme darne conto materialmente (circostanze, usanze, ambiente, ecc.). Le notizie biografiche sulle autrici andranno invece in una nota in calce alla prefazione, secondo le consuetudini della collana.

Le vanno 3000 lire per questo lavoro, metà e metà? Gradirò un suo cenno di conferma.

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Come sollecitare una consegna

(a Lidia Storoni Mazzolani, 1943)

Aspetto i versi, come il destriero annusa il campo di battaglia.

Come dare carta bianca a una traduttrice…

(a Rosa Calzecchi Onesti, 1949)

Sono lieto che abbiamo trovato un tono di lieta intransigenza.

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Mentre le ricordo che il supremo diritto di cassazione resta a lei, la ringrazio dello spirito con cui accetta le noie del mio intervento.

…e a un revisore

(a Adolfo Ruata, 1949)

Ti affido un’impresa dolce, umanistica e terribile.

Rivedere una traduzione che probabilmente corre, ma deve mancare di dignità letteraria. […] Tu hai piena facoltà di ritoccare e riscrivere; purché il libro venga bello e limpido e sonante.

Come commissionare una prefazione

(a Giorgio Agosti, 1943)

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Dev’essere un’introduzione piuttosto ampia, ma non erudita, allo scopo veramente di «introdurre alla lettura» del libro il lettore di media cultura, inquadrando l’autore e l’opera della storia del pensiero storiografico e risolvendo le eventuali difficoltà metodologiche e filologiche, così da ridurre al minimo le note esegetiche del traduttore. Secondo un criterio uniforme per tutta la collezione, l’introduzione si pubblica anonima col titolo di «avvertenza editoriale».

Come selezionare traduttori e revisori per la casa editrice

(a Massimo Mila, 1945)

Per adesso la direttiva è economia all’osso – ma si potrà guardarsi intorno e preparare domani uno staff di revisori fissi interni che copra tutte le competenze e finalmente faccia i libri. Per intanto preparatemi al più presto un elenco consommé di traduttori della zona di Torino, di ognuno precisando attitudini, difetti e curricolo traduttorio. Si studia di uscire dall’empirico e legarci i traduttori degni col sistema di via un lavoro l’altro, onde permetter loro di vivere e tradurre per noi

Come sganciarsi da un impegno già preso

(a Norberto Bobbio, 1943)

Se tu volessi scrivergli per sentire un po’, e sganciarci da lui, faresti bene. […]

Sii dolce e fulmineo.

Come elogiare una traduttrice

(a Fernanda Pivano, 1946)

Il cordone ombelicale è veramente tagliato. La prefazione è bella e «ha stile» – il giudizio non è soltanto mio. Il maestro non ha più niente da fare.

Come semplice revisore attende il manoscritto col testo per dare l’ultima occhiata. Poi, buona fortuna nei mari della vita.

Come commissionare paratesti

(ad Alberto Carlo Blanc, 1946)

Per le note che lei desidera aggiungere […], si figuri: non potranno che arricchirlo. Tenga presente che andando il libro nei Saggi, queste voglion essere rapidissime e per nulla erudite o contenziose. Se farne poi una breve appendice, ciò dipenderà dalla mole ed entità.

Come arginare le pretese dei traduttori

(a Ernesto De Martino, 1946)

Ho dato un’occhiata alle Figlie del Sole. Non so se tu l’hai già rivisto. Io, già nella prima pagina, ho riscontrato che un periodetto era caduto nella traduzione. Credi che il manoscritto possa andare in tipografia così? Sarà difficile aumentare il compenso di Barbieri a 18.000. Di questo passo tutti i traduttori alla consegna aumentano le pretese. Capisci che noi dobbiamo pure riposare su un’intesa duratura nel momento del contratto.

Come chiudere i conti

(ad Antonio Giolitti, 1947)

Niente di nuovo sulla traduttrice di ***? Gli editori ci vogliono uccidere. Questa degna signora aveva anche riscosso 10.000 lire di anticipo.

Come non rischiare un flop

(a Nello Saito, 1947)

Il progetto del Goethe, di cui già mi scrisse Giolitti, mi lascia dubbioso. Ai libri-centenario non credo: conosco troppo bene gli alti e bassi di questo mestieraccio, i ritardi che sempre accidentano la carriera tipografica di un volume per sperare di vederne mai uno uscire a tempo. E, fallito questo, a che serve il libro-centenario?

Come incoraggiare una traduttrice alle prime armi

(a Luisella Quilico, 1947)

La sua traduzione è arrivata e mi ha già rallegrato qualche pomeriggio. Non abbia paura: è degna e scrupolosa. Se difetto c’è, è anzi questo, che è troppo scrupolosa: «tolse la sua mano dalla sua tasca per grattare la sua pancia». Capisce come voglio dire? Pronomi e aggettivi sono sovente troppo rispettati. Ma con un normale lavoro di revisione andrà benissimo. Non ho trovato finora un solo errore di interpretazione. Alla prossima prova, visto che adesso sa nuotare, si permetta qualche feat, qualche fantasia, e sarà fatta.

Come valutare un traduttore

(a Elio Chinol, 1947)

Lei vorrebbe tradurre dall’inglese. Volentieri. Che tipo di libri? Culturali o ameni? Abbiamo qui l’American Renaissance di Matthiessen (600 o 700 pagine) che potrebbe fare al fatto suo. Badi che è un lavoro enorme; è pieno di citazioni in versi e prosa. Se la sente?

Per regolarità mi mandi un saggio di versione di poche pagine, per esempio dalla Biographia Literaria di Coleridge. Così schedo il suo caso.

Come trovare un traduttore dal ceco

(a Elio Vittorini, 1947)

Fate pure il Soldato Schweik di Hasek. […] Ma siccome nessuno di noi sa il cèco, state ben attenti a ottenerci traduzioni attendibili e rivedute da persone di vostra fiducia.

Come trovare un traduttore dal russo

(ad Antonio Giolitti, 1947)

Venturi ci alimenta di strani libri russi di storia – pare si tratti di ricerche sui contadini in vari paesi, Russia, Inghilterra ecc. – гоba medievale e avanti. Qui nessuno di noi ne capisce niente. Te ne mandiamo tre. Falli leggere con cautela e cavane un giudizio interpretabile. Rispondi poi direttamente a Einaudi.

Come trovare un traduttore dal tedesco

(a Franco Fortini, 1947)

Tu non sai mica il tedesco?

Come stare all’erta

(ad Agostino Richelmy, 1947)

Lei è evidentemente in grado di tentare qualunque difficile traduzione. Proverò a discutere con Einaudi le Georgiche o altro latino.

Quanto al lavoro di revisione e consulenza minuta, come le dicevo è difficile sganciarlo dalla redazione. Un libro che ci si assuma, lo si accompagna dalla nascita alla… morte.

Comunque, se qualcosa vien fuori, di soddisfazione, sono qui all’erta.

Come dare l’avvio a un sogno editoriale

(a Mario Untersteiner, 1948)

Adesso, una proposta. Da parte di Einaudi. È molto tempo che io sogno di vedere stampata una versione quasi letterale, a verso a verso, andando a capo quando il senso è finito, dell’Iliade e dell’Odissea. Come i drammi elisabettiani tradotti da Piccoli per Laterza.

Come i versetti di Spoon River di cui le mando un saggio. Ho reso l’idea? Che ne direbbe di pensarci anche lei e magari impegnarsi per farcela? O consigliarci, se le sue occupazioni non glielo consentono?

Come commissionare un saggio di traduzione

(a Sergio Romagnoli, 1950)

Einaudi non è sfavorevole ma vorrebbe leggerne un intero capitolo in italiano «per sentire come suona». Potrebbe essere lei tanto gentile da tradurcene un brano (parecchie pagine), specie su qualche momento recente?

Intanto si potrebbe cominciare a mettersi in contatto con l’autore, per sentire se è disposto a lasciar «raschiare» la sua prosa in modo da sveltire il libro.

Come porsi dei limiti

(a Carlo Muscetta, 1948)

Quanto ai classici, vacci piano. Che abbiamo fatto un Sofocle (tu sai con che sospiri e cigolii) non vuol dire che facciamo tutto il Parnaso. Per esempio escluderei senz’altro l’Eneide. Euripide lo riserverei a un «grandissimo» traduttore. Per mio conto vado qui assaggiando il terreno per un Omero in versi liberi […], ma morirò prima.

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Come chiedere garanzie a un traduttore

(a Francesco Gabrieli, 1948)

Riceviamo le seconde bozze del II volume delle Mille e una notte. Le abbiamo scorse ancora una volta e notiamo che la sua revisione è imprecisa: l’uniformità delle grafie lascia molto a desiderare. […]

La preghiamo nella sua lettura delle bozze del III e IV volume di essere attentissimo a questa esigenza. Noi garantiamo la correzione tipografica; lei ci garantisca quella filologica.

Come risultare convincente

(a Giorgia Valensin, 1948)

In Inghilterra questo scrittore sta diventando un caposcuola. Credo che, se anche non è un romanzetto, lo tradurrà con gusto. Einaudi le propone L. 40.000. Soltanto abbiamo una certa fretta. Ci vuole scrivere, accettando, quando ce lo consegnerà?

Come spronare una traduttrice a fare meglio

(a una traduttrice, 1948)

Le correzioni che hai fatto – per quanto costosissime – rivelano quel che ho sempre pensato: tu sai benissimo tradurre e perché allora hai tradotto così male la prima volta? Perché non hai avuto la pazienza di fare allora il lavoro che hai fatto adesso. Dunque alla prossima traduzione, lo sai: considera bozze il dattiloscritto e rivedilo da capo a fondo.

Come convincere una traduttrice ad accontentarsi

(a Rosa Calzecchi Onesti, 1948)

So bene che quanto Einaudi le propone è più simbolico che sufficiente, ma d’altra parte la nostra industria vive come può.

Come fare da cuscinetto tra editore e traduttore

(a Bruno Fonzi, 1948)

Ho umiliato la sua supplica ai piedi del nostro tiranno. Fermo restando che attualmente Egli pensa più a licenziare noi che ad assumere altri, si è tuttavia dimostrato disposto a trattare con lei, quando venisse su, un’assegnazione di lavoro continuativo esterno. Era il vecchio sistema a cui lavoravo io nel ’38: traducevo traducevo, lui pagava pagava, e tutti felici.

Come creare una carriera

(a Giorgia Valensin, 1948)

Mi scriva se è disposta a tradurre altro. A poco, a poco, senza parere, lei è diventata la nostra traduttrice più fededegna e sicura. Non lo dico per complimento.

Come sollecitare una consegna

(ad Aldo Camerino, 1948)

Lei era molto più puntuale in tempo di persecuzioni e di apocalissi. Che vuol dire? […]

I diritti dei libri hanno dei limiti e se non ci consegna questa traduzione la lasci fare ad altri.

Come rivedere una traduzione

(a Rosa Calzecchi Onesti, 1948)

Ritocchi vari. Tenga presente che quasi mai sono intervenuto per fedeltà al testo (non ce n’era bisogno!), bensì per sveltire o rendere più efficace la frase italiana. Non direi di stare ferocemente attaccati a ogni singola letteralità, quasi fosse una versione interlineare. Se esageriamo, ci accuseranno di dotta barbarie.

Come non reiterare un errore

(a Carlo Muscetta, 1948)

È bello, ma la traduzione di * è infame. Dove hai scovato questo analfabeta? Se leggevi una sola pagina risparmiavi i soldi del pacco postale.

Come sollecitare una consegna

(a Luigi Berti, 1948)

Riassestando vecchie pratiche mi accorgo che tu ci hai mandato molte lettere ma poche traduzioni. […] Perché assumerti un lavoro che non hai voglia o tempo di fare?

Qui si profila l’ombra del sabotaggio. […]

Cerca di convincerti che, se Einaudi ha accettato le tue proposte amministrative, è perché teneva molto alla puntualità e alla precisione.

Come evitare confusione

(a Enzo Giachino, 1949)

Einaudi s’è andato a documentare sul tuo stato di servizio. Gli risulta che hai già tre impegni e più […]. Dice che devi accontentarti e fornire l’opera presente.

Troppi contratti voglion dire confusione, né so dargli torto. Perciò suggerisce di lasciar stare anche Kipling, per ora, e non mettere troppa carne al fuoco. Ha l’impressione che tu e Bonfantini gli diate un vero assalto e insomma vuol avere il tempo di respirare.

Come far sentire un traduttore parte della squadra

(a Giuseppe Cocchiara, 1949)

Senti, dal 27 giugno al 2 luglio si terrà la «Settimana del libro Einaudi» […]. Perché non scrivi qualcosa, una recensione, uno scherzo, ecc. o almeno non lo fai scrivere a un tuo allievo, come esercitazione di seminario? Faresti un gran favore alla Casa editrice, quindi – ormai – un poco anche a te.

Come predicare precisione e coerenza

(a Virginia Vacca, 1949)

Il libro non è difficile come testo, è rognosissimo per il suo regime bibliografico e per il modo delle citazioni. Qui – badi – ci vorrà sul dattiloscritto la massima precisione, onde evitare revisioni troppo minute: e cioè segnare i maiuscoletti, i corsivi, le abbreviazioni (p. e pp.; sg. e sgg.; la punteggiatura, ecc.), uniformare rigorosamente le grafie. Per le nostre consuetudini tipografiche s’ispiri su un qualunque libro della collezione etnologica.

Come negoziare i rapporti con un consulente

(a Ernesto De Martino, 1949)

Ho fatto il conto di quanto chiedi. […] Per me chiedi troppo. Comunque è nota la mia avarizia, e per questo motivo rifiuto d’or innanzi di occuparmi di compensi. Né voglio discuterli, né sollecitarli per te o per altri. Questa faccenda te la dovrai vedere direttamente con l’Amministrazione.

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Come redarguire una traduttrice esordiente

(a una traduttrice, 1949)

Leggere nella sua lettera che le osservazioni sulla traduzione «sono giuste fino a un certo punto» quando sono tali che mi hanno fatto arrossire di averla appoggiata in precedenza, non è un gran piacere.

Se questo era, come lei dice, un primo lavoro, perché non l’ha fatto meglio? Il mio estremo consiglio […] è che cerchi di mandare un saggio perfetto di traduzione al Bollati – tale da dissipare ogni sospetto. Comunque, io non rispondo più di niente.

Come raccomandare precisione nel lavoro

(a Rosa Calzecchi Onesti, 1949)

Le raccomando il regime degli «a capo». Ogni discorso deve cominciare con l’a capo; ogni ripresa dopo il discorso, idem; ogni episodio nuovo ecc.

Raccomando di uniformare le maiuscole e minuscole (Chera, gerenio, ecc.).

Raccomando gli accenti. La nostra accentazione è i e u acute; a e o gravi; e acuto se stretta, grave se aperta. Nei nomi proprii greci, massima precisione e uniformità.

Direi di non essere troppo rigorosa sulla uniformità nel tradurre gli epiteti. Noi dobbiamo dare in italiano l’impressione che il testo dà in greco, non un suo equivalente meccanico, materiale.

Come usare la deferenza

(a Emilio Cecchi, 1949)

Ora, incoraggiato da tutti i miei colleghi e memore della sua Arcadia, le chiedo se sarebbe disposto a scrivere qualche pagina introduttiva (tipo quelle, ottime, che scrisse per il nostro Nievo) a questa nuova traduzione. […]

Data l’importanza della cosa, lasciamo lei giudice della lunghezza dell’introduzione e le diamo tutto il tempo per prepararla.

Vuole aiutarci? Einaudi la prega molto e, quanto a me, non è da dire quanto ne sarei felice.

Come dare suggerimenti per una prefazione

(a Gabriele Baldini, 1950)

Il «Consiglio» raccomanda il massimo impegno stilistico. […] Chiede una prefazione di cui lascia il tono a sua scelta; io raccomanderei niente erudizione e molte idee geniali.

Come porre fine a una collaborazione

(a un traduttore, 1950)

Finalmente abbiamo capito perché non ci si mette mai d’accordo. Gli autori che a lei interessano, a noi riescono intollerabili: si tratta di genialoidi; sostenitori di teorie arbitrarie, che risolvono il mondo in formulette, epigoni di un nietzschianismo deteriore, la vera muffa velenosa della cultura tedesca.

Di questo passo non c’intenderemo mai.

Spiacenti, le rimandiamo il volume.

Come porre limiti a un lavoro di curatele troppo invasivo

(a Mario Motta, 1950)

Le note hanno il difetto che non sempre sono note, ma piccoli saggi. Ci vuole il tono fulmineo e sferzante, tipo (con rispetto) la mia. Altrimenti diventano succursali dei saggi e annoiano. Devono essere epigrammatiche, elettriche.

Epilogo

Questo breve manualetto, creato leggendo forsennatamente circa 1.500 pagine di epistolari pavesiani e traendone arbitrariamente degli stralci che potessero leggersi come una guida o come un i-ching si può concludere con due frasi lapidarie, e di senso opposto, sulla condizione umana e spirituale di chi lavora in una casa editrice e si occupa dei libri altrui.

Come viversela male

(a Paolo Milano, 1946)

Quanto alla letteratura nostra, da quando faccio l’editore non leggo più libri.

Come viversela bene

(a Roberto Morsucci, citata da Gian Carlo Ferretti in L’editore Cesare Pavese, Einaudi 2017)

L’unico lavoro che mi piace – curare un libro fino alla fine.

ALIAS è il simposio sulla traduzione, ideato da Fondazione Circolo dei lettori e Scuola del libro, un incontro tra le voci dei migliori traduttori e le migliori traduttrici della nostra editoria, che si interrogano e dialogano con i lettori sul ruolo di chi le parole degli altri le fa proprie, dove tradurre è scrivere. Ad ALIAS, in programma venerdì e sabato 7-8 febbraio al Circolo dei lettori a Torino, intervengono Marco Rossari, Bruno Arpaia, Vincenzo Latronico, Veronica Raimo, Susanna Basso, Lorenzo Flabbi, Vittoria Martinetto, Giulia Zavagna, Marco Federici Solari e Monica Bedana.
Per maggiori informazioni: scuoladellibro.it circololettori.it 



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