La tregua e gli ostaggi: il futuro torna incerto

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La proposta di Trump spariglia le carte e il primo effetto è quello di far sparire dalle prime pagine dei giornali, anche di quelli israeliani, il tema degli ostaggi, della loro liberazione, e del passaggio alla seconda e terza fase del cessate il fuoco. Una tregua concordata fra Israele e Hamas con la mediazione di Usa, Egitto e Qatar, proprio grazie alla spinta determinante dell’inviato di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff. Ma adesso l’idea traumatica, per i palestinesi, di un trasferimento della popolazione, oltre 1 milione e mezzo di abitanti, dalla Striscia in altri non meglio definiti Paesi rischia di interrompere bruscamente i negoziati in programma a Doha. Al momento tutto è fermo, in attesa dei risultati della lunga visita di Benjamin Netanyahu a Washington. Le delegazioni sanno di non poter riprendere i colloqui senza avere indicazioni precise sulla linea che terrà Israele. E la trovata di Trump su Gaza, di svuotarla e ricostruirla sulle macerie come un qualsiasi “sito in demolizione”, con i residenti temporaneamente ospitati in Paesi che qualcuno indica, a parte Egitto e Giordania che hanno già detto no, in Marocco, Puntland e Somaliland, è una “provocazione” che nella Striscia genera sgomento e sconforto. Eppure, non mancano le voci di chi riconosce l’impossibilità di continuare a vivere nella Striscia in assenza di qualsiasi infrastruttura funzionante, e perciò l’opportunità di essere ospitati in luoghi attrezzati e “vivibili”, o abitabili, durante la ricostruzione. Solo che, appunto, la proposta sembra tanto surreale quando legalmente poco praticabile (è inammissibile per il diritto internazionale qualsiasi forma di “bonifica etnica”) e nella psicologia di molti palestinesi evoca la Nakba, la “catastrofe” del ‘48 che costrinse le famiglie ad abbandonare per sempre le loro case dopo la vittoria di Israele (Paese anche allora aggredito).

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L’ENCLAVE
Restano a Gaza, una sessantina di israeliani, tra vivi e morti, che devono tornare in Israele. Alcuni per riabbracciare le famiglie, altri per esser sepolti. Intanto, i mediatori di Egitto e Qatar si dicono preoccupati che il piano di Trump di assumere la guida, il controllo, se non addirittura il “possesso”, di Gaza e svuotare l’enclave possa avere ripercussioni sul percorso concordato per la liberazione graduale degli ostaggi, il rilascio dei detenuti palestinesi e nelle fasi successive il ritiro completo dell’esercito israeliano, la ricostruzione di Gaza e il ristabilimento di una leadership che non sia Hamas. Osservatori israeliani e occidentali fanno notare che Netanyahu in cuor suo non ha intenzione di passare alle fasi successive ma, per mantenere la leadership e la compattezza di governo, riprendere subito la guerra. Hamas, infatti, ha approfittato della tregua per riassumere plasticamente il controllo della Striscia. Ne ha dato prova mediatica organizzando in piazza la liberazione degli ostaggi in piazza, tra migliaia e migliaia di palestinesi, schierando le milizie e muovendo colonne di pickup e ridispiegando le proprie forze di “polizia”. Infine, costringendo persino i funzionari della Croce Rossa internazionale a sedere e firmare certificati improbabili sulla consegna dei “prigionieri”.

IL PIANO
Il fatto che adesso Trump proponga l’evacuazione di massa della Striscia segnala che non c’è spazio per trattative sulla creazione di uno Stato palestinese o una “riconsegna” di Gaza a Hamas. Quest’ultimo potrebbe a sua volta concludere che non vi sia margine per un negoziato che preveda la propria permanenza al potere nel dopo-7 ottobre. “Bibi” Netanyahu potrà tornare in Israele in condizioni anche politiche interne migliori di quelle che ha lasciato alla partenza, perché il superamento “a destra” di Trump che improvvisamente sdogana i progetti di trasferimento di popolazione dei radicali religiosi israeliani lo mette nella condizione di proseguire la guerra, restare al governo, di fatto procrastinare il momento in cui una commissione d’inchiesta indagherà sulle sue responsabilità per la débâcle del 7 ottobre. Si vedrà adesso quale potrà essere la reazione delle famiglie degli ostaggi rimasti a Gaza, che ancora una volta temono di veder sfumare le residue possibilità di riabbracciare i loro affetti.

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