Il piano Transizione 5.0 non sta funzionando e la scadenza del 2026 è dietro l’angolo. Le imprese, invece, hanno dimostrato di apprezzare il piano Industria 4.0, poi diventato Transizione 4.0. Ed è qui che andrebbero concentrate le risorse per rilanciare gli investimenti delle imprese in beni strumentali (hardware e software), ricerca e sviluppo e formazione. Da queste considerazioni muove la nuova proposta di Azione, il partito guidato da Carlo Calenda, l’ex ministro dello Sviluppo Economico che lanciò, nel settembre 2016, il piano Industria 4.0.
La necessità di rivedere le attuali politiche, sottolinea la proposta, nasce dalla duplice scadenza del 2025. Da un lato quella del Piano Transizione 4.0, già fortemente ridimensionato per il suo ultimo anno di vigenza – con risorse limitate a 2,2 miliardi, senza incentivi per i beni immateriali e per la formazione 4.0 -, dall’altro quella di Transizione 5.0 , uno strumento che, nonostante una dotazione di 6,3 miliardi di euro, stenta a decollare. “L’assorbimento delle risorse del Piano Transizione 5.0 richiederebbe un tasso di spesa 15 volte superiore a quello attuale, evidenziando la difficoltà di trasformare i fondi stanziati in investimenti concreti e compromettendo l’efficacia del piano”, si legge nella proposta formulata da Azione.
Il rilancio del Piano Transizione 4.0, anzi Industria 4.0
La proposta per il rilancio del Piano 4.0 mira a rafforzare l’industria attraverso il trasferimento di 2 miliardi di euro dal Piano Transizione 5.0 a un nuovo Piano Industria 4.0, portando così gli stanziamenti totali dagli attuali 2,2 miliardi previsti in legge di bilancio per l’attuale piano Transizione 4.0 a 4,2 miliardi di euro per il nuovo piano Industria 4.0 e riducendo invece da 6,3 a 4,3 miliardi le risorse per Transizione 5.0, di cui quasi 4 miliardi sarebbero ancora disponibili per via dello scarso utilizzo della misura a oggi.
Soldi che “vanno presi immediatamente per rimontare Industria 4.0, da marzo 2025 a marzo 2026, in tempo utile per finire gli investimenti PNRR. Soldi per le imprese che fanno investimenti in tecnologia intelligenza artificiale, macchinari, ricerca e sviluppo e formazione”, ha spiegato Matteo Richetti, deputato di Azione.
Forte di questi 4,4 miliardi, il piano Transizione 4.0 si dovrebbe trasformare radicalmente, tornando a chiamarsi Industria 4.0 e prevedendo le seguenti misure
- l’introduzione di un credito d’imposta con un’aliquota unica al 33%, applicabile senza limiti massimi di investimento, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa
- il ripristino del credito d’imposta per l’acquisto di software, con un aggiornamento dell’elenco dei beni ammissibili che includa tecnologie legate all’intelligenza artificiale
- nuovo impulso per formazione 4.0, grazie al coinvolgimento dei Competence Center e dei Digital Innovation Hub, che garantiranno la certificazione delle attività erogate.
La proposta prevede poi di estendere la durata del nuovo piano al triennio 2025-2027, offrendo alle aziende un orizzonte temporale stabile per la programmazione degli investimenti.
L’estensione dell’IRES premiale oltre il 2025
La proposta affronta anche le criticità della misura riguardante l’IRES premiale. Attualmente, il beneficio è previsto solo per il 2025, limitando così la possibilità di pianificazione a lungo termine per le imprese.
Inoltre l’applicazione degli incentivi è circoscritta a specifici beni strumentali legati alla trasformazione digitale, escludendo importanti aree di investimento come la formazione del personale e il welfare aziendale, che sono cruciali per rafforzare la competitività e il benessere dei lavoratori.
Le condizioni di accesso alla misura sono particolarmente restrittive, richiedendo obblighi come il mantenimento degli investimenti per almeno cinque anni e l’immediato incremento dell’occupazione, oltre a escludere le aziende che hanno usufruito della cassa integrazione nel 2024.
“Nel complesso, la misura appare più come un premio per imprese già solide e strutturate, piuttosto che un incentivo capace di stimolare nuovi investimenti e favorire una crescita diffusa”, si legge nella proposta.
Per superare queste limitazioni, Azione propone di estendere l’IRES premiale oltre il 2025 e di ampliare la gamma di investimenti ammessi, includendo la formazione del personale, per incentivare l’aggiornamento delle competenze e il welfare aziendale.
Inoltre, per rendere la misura più facilmente fruibile dalle imprese, si propone una semplificazione dei requisiti di accesso.
Le proposte sull’energia
La proposta di Azione riguarda anche il grande tema dell’Energia.
Nel 2024, spiega il documento, l’Italia si è ritrovata a pagare i prezzi dell’energia elettrica più alti dell’Unione Europea, superando ampiamente Francia, Spagna e Germania. Ed è il maggior importatore di energia elettrica dell’UE. Gli alti costi di mercato, influenzati dal prezzo del gas, creano instabilità finanziaria per famiglie e imprese. Per questo Azione propone la reintroduzione del meccanismo del “Prezzo Equo”, come previsto dall’articolo 15-bis del decreto legge del gennaio 2022 sotto il governo Draghi.
Mentre nel caso di Industria 4.0 “Si tratta di copiare ciò che è stato fatto dal miglior ministro dell’industria, Carlo Calenda”, spiega Matteo Richetti, deputato di Azione, nel caso dell’Energia si tratta di fare quello che aveva già fatto “il miglior Presidente del Consiglio, Mario Draghi”.
Questo sistema prevede un prezzo di riferimento, con gli operatori che trasferiscono al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) la differenza tra il prezzo di mercato e il prezzo equo. Le risorse raccolte potrebbero essere utilizzate per ristorare i consumatori e stipulare contratti a lungo termine a prezzi stabili con l’industria.
Inoltre Azione propone di disaccoppiare il prezzo dell’energia rinnovabile da quello del gas per ridurre la dipendenza da quest’ultimo, senza creare mercati paralleli, utilizzando contratti bilaterali o il prelievo dell’energia rinnovabile da parte del GSE con contratti a due vie. Contestualmente propone la cessione di energia rinnovabile attraverso contratti pluriennali, per favorire la stabilità dei prezzi e la competitività per le imprese.
La proposta si estende anche a misure per aiutare le imprese a contenere i costi energetici: si suggerisce di “ottimizzare i costi della produzione termoelettrica a gas, con meccanismi di compensazione da trasferire nei prezzi dell’energia elettrica, in modo da contenere gli oneri per le aziende senza penalizzare lo sviluppo delle fonti rinnovabili”. Di “aumentare la quota delle entrate dalle aste ETS destinata alle imprese energivore”. E di “migliorare la stabilità dei prezzi attraverso strumenti di contrattualizzazione a lungo termine e meccanismi di mitigazione della volatilità del mercato energetico, per garantire alle imprese maggiore prevedibilità nella pianificazione dei costi”.
Infine, per favorire l’autoconsumo, si propone di liberalizzare le installazioni fotovoltaiche, semplificando l’iter burocratico e autorizzativo. Le misure comprendono l’eliminazione di permessi superflui, l’introduzione di procedure di notifica semplificate e la standardizzazione delle norme a livello nazionale, per garantire equità nell’applicazione delle leggi e facilitare l’accesso alle reti di distribuzione.
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