di Daniel Pipes
(Traduzione a cura di Angelita La Spada)
Il fatto che Donald Trump abbia costretto Gustavo Petro, leader colombiano di estrema sinistra, a fare marcia indietro di fronte alla minaccia di dazi doganali molto elevati, è stato un gradito cambiamento dopo quattro anni di geriatrica passività di Joe Biden. Ma la minaccia più ampia di Trump di imporre tariffe doganali indiscriminate, anche contro Canada e Messico, avrà conseguenze disastrose in politica estera. Gli alleati più stretti degli Stati Uniti prenderanno le distanze e i partner commerciali fuggiranno verso altri mercati.
Prendiamo in considerazione le recenti minacce di Trump contro Egitto e Giordania. Ecco la cronologia:
- 26 gennaio 2025: Trump avalla l’idea che i gazawi lascino Gaza: “Si parla probabilmente di un milione e mezzo di persone e noi possiamo fare pulizia. Preferirei lavorare insieme ad alcuni Paesi arabi e costruire abitazioni in un luogo diverso, dove forse possono vivere in pace per un cambiamento”.
- 28 gennaio 2025: Trump indica Egitto e Giordania come Paesi di destinazione per gli abitanti di Gaza.
- 30 gennaio 2025: Trump risponde a una domanda di un giornalista che gli ha chiesto se intendesse invocare lo spettro dei dazi doganali contro quei Paesi che dovrebbero accogliere i palestinesi, dicendo: “Lo faranno. (…) Noi facciamo molto per loro, e loro lo faranno”.
Queste osservazioni improvvisate hanno chiare implicazioni. Innanzitutto, e contrariamente alle riflessioni degli israeliani sulla possibilità che i gazawi decidano spontaneamente di lasciare la Striscia, Trump ritiene che il loro esodo sia obbligatorio. In secondo luogo, intende imporre sanzioni economiche a meno che i due governi (di Egitto e Giordania) non accettino di accogliere gli abitanti di Gaza. Tali misure potrebbero includere tariffe doganali, interruzione degli aiuti, sospensione della vendita di armi e attrezzature militari, sanzioni, boicottaggi e altro ancora.
I commenti di Trump hanno suscitato indignazione. I ministri degli Esteri di Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Qatar, così come i funzionari dell’Autorità Palestinese e della Lega Araba hanno respinto l’ipotesi di trasferire la popolazione della Striscia nei Paesi arabi “in qualsiasi circostanza o con qualsiasi giustificazione”.
Hanno ribadito il loro totale rifiuto di “qualsiasi violazione dei diritti inalienabili” dei palestinesi, sia attraverso “attività di colonizzazione, espulsioni, demolizioni di case, annessione di terre, spopolamento della terra tramite sfollamento, incentivazione al trasferimento o sradicamento dei palestinesi dalla loro terra”.
Senza menzionare Trump, hanno avvertito che piani come il suo “minacciano la stabilità della regione, rischiano di espandere il conflitto e compromettere le prospettive di pace e coesistenza tra i popoli della regione”. E il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha aggiunto che “lo sfollamento dei palestinesi (…) non può mai essere tollerato o permesso a causa del suo impatto sulla sicurezza nazionale egiziana”.
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha riecheggiato questi sentimenti: “Il nostro rifiuto dello sfollamento [dei palestinesi] è fermo e irremovibile. La Giordania è per i giordani e la Palestina è per i palestinesi”.
Hamas ha ovviamente contestato questa idea come “disconnessa dalla realtà” e “l’ha respinta in toto”, ma le reazioni dei singoli abitanti di Gaza potrebbero essere più positive, data la loro lunga esperienza di oppressione nella Striscia e l’attuale devastazione del territorio. Tuttavia, anche ignorando la parzialità nella copertura mediatica, la migrazione forzata in un Paese straniero non può che avere un’attrattiva limitata.
Una cosa è minacciare la Colombia, secondo esportatore mondiale di fiori, con tariffe doganali per convincere questo Paese ad accogliere i migranti espulsi, due settimane prima di San Valentino. Ma indurre l’Egitto o la Giordania ad accettare l’afflusso massiccio di gazawi è un’altra questione.
I loro governi combatteranno Trump sino alla fine. Si noti cosa ha detto al-Sisi in merito “all’impatto [dello sfollamento della popolazione di Gaza] sulla sicurezza nazionale egiziana”: in linguaggio cifrato, egli afferma che piegarsi a Trump potrebbe portare alla rovina del Paese.
L’ultima cosa di cui un uomo forte già vacillante ha bisogno è una nuova popolazione radicalizzata. Lo stesso dicasi per la Giordania, che da decenni soffre a causa dell’estremismo palestinese. La piccola Gaza è già un problema abbastanza serio, immaginiamoci se si estendesse a due grandi Paesi.
Se ce ne fosse la necessità, l’Egitto e la Giordania rimpiazzerebbero i finanziamenti governativi statunitensi con il sostegno dell’Arabia Saudita e degli Stati del Golfo. Avrebbero un appoggio diplomatico quasi unanime. Si allontaneranno dagli Stati Uniti e si orienteranno verso la Cina.
Guai a un Paese il cui leader adotta una politica estera disinvolta, senza un’attenta considerazione dei fattori. Minacciare tutti, indistintamente, di danni economici indebolirà la posizione dell’America nel mondo. Gli americani e i loro alleati perderanno molto se Trump si ostinerà a minacciare di imporre dazi come pilastro della politica estera degli Stati Uniti.
Foto: IDF e MAGA
Vignetta di Peter Brookes
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