Abusi edilizi: quando l’acquisizione al patrimonio comunale di un immobile è illegittima | Articoli

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Il fenomeno dell’abusivismo edilizio rappresenta una problematica significativa, purtroppo il ripristino dello status quo richiesto agli immobili soggetti ad abusi molto spesso non è realizzato dai proprietari, comportando ulteriori sanzioni. Tuttavia, la recente sentenza del TAR Lombardia n. 3791/2024 chiarisce i limiti dell’applicazione di tali sanzioni, sottolineando l’importanza del rispetto delle normative urbanistiche e paesaggistiche, specialmente per gli edifici situati in aree di valore storico.

L’abusivismo edilizio: normative e conseguenze

L’abusivismo edilizio è un fenomeno molto diffuso soprattutto quando si tratta di lavori di ripristino o ristrutturazione degli immobili. Per combattere tale fenomeno le amministrazioni comunali sono costrette molto spesso ad emettere sanzioni pecuniarie e ordinanze di demolizioni con ripristino della situazione legittima, ma in molti casi occorre ricorrere alla procedura di acquisizione al patrimonio comunale, soprattutto per tutelare la pubblica incolumità o aree di pregio artistico e storico.

A disciplinare la problematica dell’abusivismo è il DPR 380/2001, in particolare:

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  • il comma 2 dell’art. 31 DPR 380/2001 dispone la demolizione di un’opera edilizia in assenza di apposito titolo abilitativo chiarendo che “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3“;
  • il comma 3 dell’art.31 del DPR 380 2001 sottolinea, invece, la possibilità di acquisizione gratuita da parte del comune ribadendo che se “il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”.

Non sempre però un’amministrazione può applicare il regime sanzionatorio previsto al comma 3 dell’art. 31, la sentenza del Tar della regione Lombardia n. 3791/2024 individua i limiti di applicabilità dell’acquisizione gratuita al patrimonio demaniale.

 

Soprintendenza, comune e abusi edilizi

Il ricorrente è l’usufruttuario di un immobile che rientra nel nucleo di antica formazione del Comune di Mazzo di Valtellina, specificatamente nella categoria “D – di matrice rurale”, come stabilito dal Piano di Governo del Territorio (PGT). In questa zona gli interventi possibili, così come regolati dallo strumento urbanistico al momento dei fatti, prevedono la possibilità di eseguire al massimo lavorazioni di manutenzione straordinaria e soltanto in determinate condizioni.

Il ricorrente ha presentato una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) per eseguire lavori di manutenzione straordinaria sulla copertura dell’immobile, prevedendo la sostituzione del manto di copertura, ma a seguito ad un sopralluogo da parte del servizio tecnico comunale, sono state riscontrate delle opere eseguite in difformità rispetto alla CILA presentata e autorizzata. Il comune ha emesso di conseguenza un’ordinanza di ingiunzione di demolizione, ordinando pertanto il ripristino delle condizioni originarie dell’immobile.

Il ricorrente non concorde con tale decisione ha presentato una richiesta di accertamento di conformità per le opere realizzate senza autorizzazione, ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001 e in risposta l’amministrazione comunale ha richiesto un parere vincolante alla Soprintendenza per i beni culturali, in base a quanto previsto dall’art. 37, comma 3, del medesimo decreto, visto che l’immobile rientra in una zona avente valore storico e paesaggistico.

La Soprintendenza ha espresso parere favorevole al ripristino dello stato originario dell’immobile, sottolineando che le opere eseguite, tra cui il rifacimento della copertura e la demolizione di alcune strutture, non avrebbero potuto essere autorizzate in alcun modo perché non rispettavano i vincoli previste per gli edifici situati nei nuclei di antica formazione.

Il Comune ha inviato al ricorrente il preavviso di rigetto dell’istanza di sanatoria, spiegando che gli interventi eseguiti non erano conformi al PGT e alle normative paesaggistiche. Il provvedimento di ripristino è stato impugnato, così come il diniego della sanatoria, sostenendo le opere non avevano alterato significativamente l’architettura dell’immobile. Il ricorrente ha inoltre fatto appello al procedimento sanzionatorio di acquisizione al patrimonio demaniale emesso dal comune sul bene a seguito del mancato ripristino dello stato dei luoghi.

Il ricorrente ha quindi richiesto al Tar l’annullamento dell’ordinanza di riduzione in pristino, ma il tribunale ha confermato che l’intervento realizzato non rispettasse le normative paesaggistiche e urbanistiche in vigore. Tuttavia, lo stesso tribunale ha accolto parzialmente il ricorso, ritenendo illegittima la parte dell’ordinanza che prevedeva l’acquisizione comunale dell’immobile, considerata non applicabile alla fattispecie in questione come riportato nella sentenza: “Ancora con riferimento all’ordine di riduzione in pristino, il Collegio ritiene fondato il primo motivo di ricorso, nella parte in cui evidenzia la non applicabilità, alla fattispecie di cui all’art. 37 D.P.R. 380/2001, dell’acquisizione comunale della proprietà dell’immobile oggetto di abuso, che l’art. 31 riserva all’ipotesi di inosservanza dell’ordinanza di demolizione di opere realizzate in difetto di permesso di costruire, in ciò non richiamato dall’art. 37 cit.

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La disposizione applicata dal Comune, contenuta nell’art. 31 commi 3 e 4 D.P.R. 380/2001, ha invero natura sanzionatoria, e come tale non è suscettibile di interpretazione analogica o estensiva (illegittimamente posta in essere dal Comune resistente), dovendo essere applicata nei casi tassativi in cui l’ordinamento la prevede. L’avviso afferente all’immissione in possesso del Comune è dunque da ritenersi illegittimo, e va annullato.

La decisione del Tar ribadisce l’importanza del rispetto delle normative urbanistiche e paesaggistiche, soprattutto per gli edifici situati in zone di valore storico. Pur accogliendo alcune richieste del ricorrente, la sentenza evidenzia che gli interventi abusivi su immobili storici richiedono una valutazione attenta e l’acquisizione del parere positivo da parte della Soprintendenza. L’amministrazione comunale deve, invece, attenersi a tali pareri e non può applicare sanzioni di acquisizione comunale in caso di violazioni legate a interventi in difformità dalle normative paesaggistiche

  

LA SENTENZA DEL TAR LOMBARDIA È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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