Opzione dell’IVA per cassa con valutazione complessiva della condotta

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Il regime dell’IVA per cassa di cui all’art. 32-bis del DL 83/2012 consente ai soggetti passivi IVA con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro di differire l’esigibilità dell’IVA per le operazioni “intermedie” (ossia quelle effettuate nei confronti di soggetti passivi) al momento del pagamento del corrispettivo. Si tratta di uno strumento introdotto per sostenere le piccole e medie imprese che possono trovarsi in difficoltà ad anticipare il pagamento dell’imposta rispetto all’incasso del corrispettivo addebitato ai cessionari o committenti.

Le modalità di esercizio dell’opzione sono disciplinate da apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (provv. n. 165764/2012) cui rinviano sia la norma istitutiva, sia il relativo decreto attuativo, DM 11 ottobre 2012).
Tale provvedimento, in particolare, ha stabilito che:
– l’opzione dell’IVA per cassa si desume dal comportamento concludente del contribuente ed è comunicata, ai sensi dell’art. 2 del DPR 442/97, nella prima dichiarazione annuale IVA da presentare successivamente alla scelta effettuata;
– va riportata sulle fatture emesse l’annotazione che si tratta di operazione con “IVA per cassa” e l’indicazione dell’art. 32-bis del DL 83/2012.

La stessa Agenzia delle Entrate ha poi chiarito in via di prassi (cfr. circ. n. 44/2012, § 6) che l’annotazione sulle fatture non costituisce un adempimento funzionale al differimento del diritto alla detrazione del soggetto che riceve la fattura (come accadeva invece nel previgente regime di cui al DL 185/2008), rispondendo, piuttosto, all’esigenza di regolare la tenuta della contabilità per il cedente o prestatore che assoggetti all’IVA per cassa solo alcune operazioni (ad esempio, restano escluse quelle già assoggettate a regimi speciali).
Tale annotazione, viene altresì precisato, “esprime attraverso un chiaro comportamento concludente” l’opzione per l’IVA per cassa, dato che essa è formalmente espressa solo in un momento successivo (con la comunicazione in dichiarazione annuale).
Per altro verso, il medesimo documento di prassi afferma che “l’omessa indicazione di tale dicitura non inficia l’applicazione del regime per cassa nel presupposto che il comportamento concludente sia altrimenti riscontrabile”.

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Da quanto ricostruito, parrebbe che l’indicazione in fattura, pur non essendo l’unico elemento da considerare ai fini della rilevazione del comportamento concludente, possa ritenersi sufficiente per provare l’opzione.

Sul tema si è pronunciata recentemente la Cassazione con sentenza n. 31918 dell’11 dicembre 2024. In tale occasione la Suprema Corte ha esaminato il caso di un soggetto cui era stato contestato l’esercizio dell’opzione ex art. 32-bis del DL 83/2012, riscontrando il mancato assolvimento dei dovuti adempimenti formali e, nello specifico, la mancata annotazione in fattura e la mancata indicazione dell’importo dell’IVA differita nel rigo VE36 campo 2 della dichiarazione IVA relativa al 2013 (cfr. rigo VE37 campo 2 del modello IVA 2025).

A parere del giudice di secondo grado, il soggetto aveva dato prova della sussistenza dei presupposti di legge per avvalersi della liquidazione di cassa in quanto, da un lato, rispettava i requisiti di accesso al regime (limite di volume d’affari, effettuazione delle operazioni nel territorio dello Stato verso soggetti IVA); dall’altro aveva riportato in fattura l’annotazione richiesta dalla norma. Dunque, al di là del mancato allineamento sulle effettive caratteristiche del documento emesso, il giudice di appello non considerava quanto contestato dall’Ufficio con riguardo all’omessa compilazione del citato rigo della dichiarazione annuale (omissione peraltro reiterata in dichiarazioni successive).

Per la Suprema Corte, tuttavia, la decisione del giudice di appello doveva ritenersi errata, sia con riferimento alla pretesa sufficienza dei dati che si assumevano riportati in fattura, sia con riguardo all’apprezzamento del comportamento concludente del soggetto passivo. Occorre infatti, secondo la Corte, considerare le prescrizioni complessive dell’art. 32-bis del DL 83/2012, che impongono di fare riferimento non solo alle annotazioni in fattura, ma anche (e soprattutto) al contenuto della dichiarazione.

Secondo la Cassazione, dunque, per valutare la sussistenza del comportamento concludente, il giudice avrebbe dovuto procedere al vaglio complessivo della condotta formale del soggetto passivo, guardando perciò anche al rispetto degli obblighi dichiarativi, anche al fine di comprendere, ove non osservati nella loro totalità, se tale carenza potesse essere sopperita “dalla valorizzazione del comportamento concludente del contribuente, che a sua volta (…) va pur ancorato al concreto atteggiarsi dell’optante, e pertanto all’osservanza almeno di alcune delle formalità richieste”.
Seguendo tale impostazione, eventuali omissioni nella dichiarazione annuale non dovrebbero consentire di per sé il disconoscimento dell’opzione, ma l’effettivo esercizio di quest’ultima dovrebbe essere adeguatamente supportato dal rispetto delle altre formalità.



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