Agenzia Nova
Il governo della Cina ha lanciato la sua controffensiva contro i dazi varati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, annunciando ieri una serie di provvedimenti che prendono di mira aziende e voci strategiche del commercio bilaterale. I ministeri di Finanze e Commercio hanno risposto ai dazi del 10 per cento applicati da Trump sulle merci cinesi (entrati in vigore oggi, alle 6 italiane) con una rapida serie di comunicati, che hanno preso di mira anzitutto il commercio d’energia. A partire dal 10 febbraio, il carbone e il gas naturale liquefatto (Gnl) importati dagli Stati Uniti saranno soggetti a un dazio del 15 per cento, mentre petrolio greggio, macchine agricole e auto di grossa cilindrata saranno colpiti con dazi del 10 per cento. Al via da oggi anche controlli rafforzati sulle esportazioni cinesi di tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio, cinque minerali critici per la produzione di attrezzature militari, pannelli solari e dispositivi elettronici.
I provvedimenti del ministero del Commercio non hanno risparmiato l’azienda di biotecnologie Illumina e il colosso d’abbigliamento Phv Corp, aggiunti alla lista delle entità inaffidabili per “aver interrotto le regolari transazioni con le imprese cinesi e aver adottato misure discriminatorie nei loro confronti”. La casa madre di Calvin Klein e Tommy Hilfiger, in particolare, era già finita al centro di un’indagine del ministero lo scorso settembre, a causa della “condotta inappropriata” tenuta su questioni relative alla regione dello Xinjiang, dove il Partito comunista è accusato di perpetrare sistematici abusi nei confronti di uiguri e altre minoranze etniche. A completare la serie di provvedimenti contro le aziende statunitensi è stata l’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato, che ha annunciato un’indagine antitrust contro il colosso del digitale Google citando non meglio precisate violazioni della legislazione antimonopolistica. La multinazionale di proprietà di Alphabet ha sospeso gran parte dei suoi servizi in Cina già nel 2010, a causa della censura dei contenuti imposta dal governo.
Dopo la nuova tornata di restrizioni contro merci e aziende, il governo cinese ha infine annunciato la presentazione di un ricorso contro i dazi statunitensi all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), già anticipato ieri dal rappresentante permanente di Pechino alle Nazioni Unite, Fu Cong. Nel corso di una conferenza stampa a New York, Fu ha ribadito che “una guerra commerciale non produce vincitori” e ha sottolineato, in relazione alla scarsa cooperazione della Cina denunciata da Trump nella lotta al traffico di fentanyl, che “gli Stati Uniti non dovrebbero incolpare altri Paesi per i loro problemi”. Proprio la questione è stata definita dal ministero di Pubblica sicurezza cinese “il pretesto” che Trump ha utilizzato per innalzare nuove barriere commerciali, che potrebbero essere discusse con l’omologo Xi Jinping già questa settimana.
Durante un punto stampa tenuto ieri con i giornalisti nello Studio Ovale, Trump ha definito i dazi alla Cina “solo una sferzata iniziale”, non escludendo una possibile telefonata con Xi nell’arco di 24 ore. Al colloquio potrebbe fare seguito un incontro tra il segretario di Stato Marco Rubio e il ministro degli Esteri Wang Yi il 18 febbraio, quando quest’ultimo presiederà a New York una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di cui la Cina è presidente di turno. Sebbene il dipartimento di Stato non abbia sinora confermato la presenza di Rubio alla riunione, questa è ritenuta da Fu “un’ottima opportunità” di confronto, soprattutto nel quadro delle problematiche globali associate al cambiamento climatico e all’intelligenza artificiale (Ia).
Proprio in relazione a quest’ultimo punto, Fu ha invitato gli Stati Uniti a “non sottovalutare la saggezza degli scienziati” cinesi e a cooperare con “atteggiamento aperto”, soprattutto dopo il lancio di un nuovo assistente virtuale da parte della start-up cinese DeepSeek. Il 20 gennaio scorso, l’azienda con sede ad Hangzhou ha infatti distribuito l’avanzato modello R1, sviluppato a costi più competitivi rispetto al modello o1 della rivale statunitense OpenAi e in grado di competervi a livello di prestazioni. Oltre a provocare un vero e proprio terremoto tra i titoli tecnologici statunitensi (le azioni del produttore di processori grafici Nvidia hanno perso oltre il 13 per cento del loro valore a Wall Street il 27 gennaio), il lancio di DeepSeek-R1 è stato definito da Trump “un campanello d’allarme” per gli Stati Uniti, che devono “rimanere concentrati e competere per vincere”.
A fare da sfondo alla nuova guerra dei dazi tra Pechino e Washington è infine la rivalità tra le due superpotenze in America Latina, dove l’amministrazione Trump è determinata a contrastare la crescente influenza cinese. Il tutto a cominciare dal Canale di Panama, collegamento cruciale tra l’Atlantico e il Pacifico, oltre che uno snodo obbligato per gli scambi tra l’Asia e i porti orientali degli Stati uniti e delle Americhe. Nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca, il presidente ha accusato le autorità del Paese – il primo in America Latina ad aderire alla Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri) nel 2018 – di non proteggere la neutralità del canale, dove l’azienda CK Hutchison Holdings, con sede a Hong Kong, gestisce due porti. “Il canale è operato dalla Cina e noi non glielo regaleremo. Lo abbiamo dato noi a Panama e ce lo riprenderemo”, ha detto Trump, spingendo a più riprese la diplomazia cinese a professare la sua completa estraneità alla gestione della via d’acqua.
L’amministrazione Trump ha già raccolto i primi risultati di questa iniziativa diplomatica. Il governo di Panama ha fatto sapere che non rinnoverà il memorandum di intesa firmato nel 2017 con la Cina sulla Nuova via della Seta e che concederà agli Stati Uniti l’uso di un aeroporto per permettere il rimpatrio dei migranti entrati in condizioni illegali negli Usa. L’annuncio del presidente Raul Mulino è giunto al termine dell’incontro avuto domenica con il segretario di Stato Usa, Marco Rubio. “Vediamo se è possibile mettere fine in anticipo (al trattato con Pechino), ma credo che il rinnovo è previsto entro uno o due anni. Questa iniziativa, firmata a suo tempo, non sarà rinnovata dal mio governo”, ha detto il presidente agganciandosi al tema “principale” della riunione, il presunto controllo esercitato dalla Cina sul Canale di Panama. “La sovranità di Panama sul Canale non è in discussione”, ha detto Mulino ricordando tra le altre cose il ruolo che ha svolto il Paese nell’ampliamento della struttura, “come possono vedere tutti”. Mulino ha al tempo stesso segnalato che sotto il suo governo, i porti in entrata e uscita dal Canale concessi nel 1997 a imprese cinesi, sono “per la prima volta” oggetto di un processo di revisione interna per verificare se hanno agito contro l’interesse del Paese.
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