La slovena Nova Gorica e l’italiana Gorizia sono state scelte insieme per essere capitale della cultura europea proprio grazie al confine che le divide e che, nei decenni, è diventato simbolo di unione e collaborazione
DAL NOSTRO INVIATO
NOVA GORICA E GORIZIA – «Sul confine c’erano i druse (“compagno” in sloveno, ndr) che passeggiavano su e giù, con i mitra sulle spalle e i cani lupo: se ti avvicinavi troppo ti urlavano “Stoj!”, “Alt”. Ai controlli ti chiedevano cos’avevi da dichiarare e se dicevi «niente» non ti credevano. Una volta, da bambina, avevo con me un pacco di biscotti per la nonna che abitava in Jugoslavia e la guardia di confine ha voluto controllarli. Li ha rotti uno per uno, e non ha risparmiato neanche la scatola».
Questa, nei ricordi della 83enne Celestina Goljevscek, era l’aria che si respirava quando si voleva passare il confine tra Gorizia e Nova Gorica. Un confine che coincideva con la Cortina di ferro e che per decenni è stato la porta su un altro mondo: divideva l’Italia dalla Jugoslavia, Gorizia e i suoi mille anni di storia dalla nuovissima Nova Gorica, nata e cresciuta accanto al confine dopo che questo era stato tracciato nel 1947 con l’obiettivo di diventare la «vetrina» del Paese.
Casa in Italia, stalla in Jugoslavia
Divideva, soprattutto, i Paesi dell’Occidente da quelli di impronta socialista (anche se il maresciallo Tito aveva rotto con l’Urss di Stalin nel 1948, un anno dopo la costruzione del confine, e la Jugoslavia è stato il primo dei Paesi non allineati). Non sempre in maniera razionale: alcuni contadini si ritrovarono con la casa in Italia e la stalla, o i campi, in Jugoslavia; nella vicina Merna/Miren la frontiera passava in mezzo alle tombe del cimitero.
Ungaretti e Preseren
Oggi il confine non divide ma unisce. Non è un’espressione retorica perché è proprio grazie a quel confine che Nova Gorica e Gorizia, insieme, sono state proclamate Capitale europea della cultura 2025. È la prima volta che il titolo viene assegnato a due città di due Paesi diversi e per la partenza di Go!2025, il nome dell’evento, è stata scelta una data emblematica per entrambe: l’8 febbraio, Giornata della cultura in Slovenia ma anche data di nascita del poeta italiano Giuseppe Ungaretti e commemorazione del poeta sloveno France Prešeren.
Una grande prova di cooperazione, ultimo passo avanti di un percorso che comincia lontano e che conta diverse date emblematiche: il 2004, quando la Slovenia entrò nell’Ue; il 2007, quando entrò nell’area Schengen; il 2010, quando le due città insieme alla vicina Šempeter-Vrtojba crearono il Gruppo europeo di cooperazione territoriale.
Il Covid e le transenne
Con un piccolo passo indietro durante il periodo del Covid: nel 2020, per controllare i flussi dall’Italia, venne costruita una recinzione temporanea per dividerle di nuovo. «Me lo ricordo: è stato proprio quando abbiamo messo quelle transenne che ci siamo resi conto di cosa significasse avere ancora una volta il confine tra due città che, nel frattempo, avevano sviluppato una grande collaborazione«, osserva Samo Turel, sindaco di Nova Gorica.
Nato nel 1975, rievoca senza difficoltà la Cortina di ferro: «Quando ero piccolo si andava in Italia per comprare jeans, caffè e dischi, la musica dell’Ovest che in Jugoslavia non si trovava«. Il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, classe 1961, aggiunge: «Noi invece andavamo in Jugoslavia per prendere sigarette, carne e per fare benzina».
Entrambi hanno vissuto sia il confine chiuso di ieri sia quello aperto di oggi, talmente aperto che in certi punti si passa da una città all’altra quasi senza accorgersene. A fare da guida è l’architettura. A Gorizia c’è il centro storico con le sue vie piccole e tortuose e i palazzi antichi. A Nova Gorica l’impronta degli edifici è quella socialista e il rigore della città nuova, costruita a tavolino, si nota anche nella planimetria.
I progetti comuni
Le due Gorizia, negli anni, hanno cominciato ad amalgamarsi e oggi hanno parecchi servizi in comune. Il punto nascite, per esempio, si trova a Nova Gorica ma grazie a uno speciale accordo ci possono andare anche le partorienti italiane; i bambini delle due città possono frequentare le scuole di entrambe, senza distinzioni; sul tracciato del vecchio confine è stato costruito un percorso ciclopedonale frequentato da italiani e sloveni.
Piazza Transalpina, che nel 1947 fu tagliata in due lasciando la stazione d’impronta austroungarica in Jugoslavia e parte del piazzale antistante in Italia, oggi è uno spazio unico, unito e aperto. I due centri si sono man mano avvicinati: come spiega Patrizia Artico, assessora di Gorizia a Go!2025, «entrambe sono città di confine, piccole e marginali. Unendo le forze diventano una città territorialmente unica con un bacino di 70mila abitanti: la nomina a capitale culturale europea è solo l’inizio».
La nuova economia di confine
Anche perché le divisioni non convengono. Intorno al confine si era sviluppata un’economia che, da quando è stato smantellato, non esiste più. Gorizia, per decenni città-emporio per la Jugoslavia, si è trovata priva della sua fonte economica principale e di tutta una serie di condizioni che l’avevano favorita, come la zona franca o le tante caserme, oggi vuote. Allo stesso tempo Nova Gorica è diventata europea e alcune delle cose che attiravano gli italiani oltre confine sono sparite.
I night club, per esempio, sono stati tutti chiusi e la clientela dei casinò, aperti negli anni ’80 sul modello di Las Vegas per dare una svolta al turismo, si è assottigliata. Oggi gli abitanti delle due città tendono a viverle come fossero un centro unico: la carne si compra ancora in Slovenia, la birra però in Italia. Le case costano meno in Italia, ma gli infissi si acquistano in Slovenia.
La vita a cavallo delle due città
«Vivo in Slovenia, ma lavoro in Italia: faccio su e giù dal confine ogni giorno, anzi diverse volte al giorno. Ho amici sia a Gorizia che a Nova Gorica quindi frequento entrambe le città». La vita di Alojz Felix Jermann, 28 anni, è l’opposto di quella di nonna Celestina Goljevscek quando aveva la sua stessa età.
Nato nel 1996, quando la Jugoslavia già non esisteva più, ricorda il confine come un posto di blocco dove ti fermavano per dei controlli. Ma per Alojz bambino era forse soprattutto una seccatura, non un luogo che incuteva paura come lo era stato per la nonna quando vedeva i soldati con i mitra e i cani lupo.
La «Domenica delle scope»
Entrambi, però, hanno vissuto due momenti storici nel processo di apertura dei confini. Per Celestina è stato il 13 agosto 1950, quando aveva 9 anni: «Da un po’ girava la voce che avrebbero aperto il confine, ed è successo veramente. Quel giorno ero con la mamma e il mio fratellino sul confine, sperando di riuscire a incontrare la nonna e gli zii, e d’un tratto abbiamovisto arrivare una folla enorme e pacifica.
I soldati, sia jugoslavi che italiani, hanno lasciato passare tutti senza bisogno di documenti e né controlli. C’era un’atmosfera di festa e io ho potuto riabbracciare finalmente i miei cari rimasti di là». Quel giorno è passato alla storia come la «Domenica delle scope», perché i goriziani aprirono i negozi e le persone in arrivo dalla Jugoslavia fecero incetta di qualsiasi prodotto.
L’articolo più richiesto? Proprio la scopa di saggina, che darà poi il nome alla giornata. Per Alojz, invece, la data da incorniciare è il Primo maggio 2004, quando la Slovenia diventò ufficialmente membro dell’Ue e il confine tra le due città venne smantellato: «Avevo 8 anni e non avevo ben chiaro cosa stesse succedendo, ma ricordo l’atmosfera che cambiava e la felicità dei miei famigliari».
Il confine che unisce
L’obiettivo di Go!2025, concordano i due sindaci, è «promuovere il territorio, anche dal punto di vista turistico, sottolineandone l’unicità e mostrando come, nonostante le difficoltà del passato, si possa collaborare e andare oltre le divisioni». La vita di tutti i giorni degli abitanti di Gorizia e Nova Gorica lo conferma, come sottolinea Celestina: «Oggi noi andiamo di là, loro vengono di qua… è un altro vivere, adesso si sta bene».
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