Università, i ricercatori si appellano all’Europa contro la riforma Bernini: «Aumenta il precariato». La replica: «Iniziativa politica e strumentale»

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Esposto alla Commissione Ue dell’Associazione dei dottori di ricerca la moltiplicazione dei contratti a termine violerebbe gli obblighi del Pnrr che prescrive la riduzione del precariato

Ricercatori e governo sempre più ai ferri corti. Con una mossa a sorpresa, l’associazione che riunisce i dottorandi e i dottori di ricerca in Italia (Adi) ha presentato un esposto alla Commissione europea contro il progetto di riforma della carriera dei ricercatori voluto dalla ministra Anna Maria Bernini. Immediata la risposta del Ministero dell’Università e della Ricerca che bolla come «sconcertante» l’iniziativa dei dottori di ricerca, «anche perché presa mentre è in corso un confronto tra Mur, sindacati e le stesse associazioni di rappresentanza dei ricercatori». Il ministero, fa sapere l’agenzia LaPresse, ritiene che la decisione di portare il caso a Bruxelles sia da intendersi come «tutta politica e strumentale», in quanto volta a ostacolare «il percorso intrapreso dal governo per superare il precariato nel settore». Ma i promotori dell’iniziativa obiettano che il disegno di legge 1240, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso agosto e attualmente in corso di esame in Parlamento, finirebbe per peggiorare ulteriormente le già difficili condizioni di lavoro dei precari della ricerca, che rappresentano circa il 40 per cento del personale universitario (in tutti poco meno di 30 mila persone tra assegnisti di ricerca e ricercatori a tempo determinato). Di qui l’esposto a Bruxelles, in quanto il ddl così com’è violerebbe gli obblighi del Pnrr che prevede investimenti e riforme volti a ridurre la precarietà nel settore accademico.

Le cause del precariato

Su una sola cosa, esecutivo e dottori di ricerca, si trovano d’accordo: sul fatto che, come riferiscono fonti del Mur, «il precariato nella ricerca ha radici profonde». Colpa del sottofinanziamento cronico del comparto università e ricerca (la spesa universitaria è ferma allo 0,9 per cento del Pil contro una media Ocse dell’1,45; in ricerca e sviluppo spendiamo meno dell’1,5 per cento contro più del 2,5 di media degli altri Paesi) e della moltiplicazione dei contratti a tempo determinato a partire dalla riforma Gelmini del 2010 che per prima introdusse tre diverse figure di ricercatore precario – l’assegnista, il ricercatore di tipo A e quello di tipo B – che dovevano sopperire alle mancanze dell’organico paralizzato dal blocco del turnover. Più di dieci anni dopo la ministra Maria Cristina Messa ha messo a punto una riforma del pre-ruolo (legge 79 del 2022) che prevedeva l’unificazione dei diversi contratti di ricerca in un’unica tipologia: il cosiddetto ricercatore «tenure track», che dopo 5 anni ha diritto a entrare di ruolo come professore associato. Un sistema che, almeno in linea teorica, avrebbe dovuto assestare un colpo mortale al precariato, purché fosse adeguatamente finanziato, ma così non è stato. Dopo aver deciso di tagliare i fondi universitari per quest’anno, la ministra Bernini ha scelto di intervenire nuovamente anche sul fronte dei contratti a tempo determinato che in base al nuovo ddl diventerebbero addirittura sei: oltre al contratto di ricerca della legge Messa, è previsto una specie di grado zero della carriera, ovvero dei contratti di collaborazione per gli studenti non ancora laureati (massimo 200 ore l’anno), due tipi di borse per assistenti alla ricerca: quella junior (per i laureati magistrali) e quella senior (per i dottori di ricerca): entrambe rinnovabili al massimo per tre anni. Stessa durata per il contratto «postdoc» e per la nuova figura dell’adjunct professor che potrà essere chiamato senza dover indire un concorso, su nomina del rettore e su proposta del Senato accademico. Secondo l’Adi, moltiplicando le figure e i contratti di ricerca, i tempi per l’assunzione rischiano di allungarsi ulteriormente rispetto a quanto già accade: se oggi in media la stabilizzazione per un ricercatore arriva a 41 anni, con la riforma potrebbe scivolare avanti di altri 4 anni, portando l’età media per diventare professore associato a 45 anni





















































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4 febbraio 2025 ( modifica il 4 febbraio 2025 | 18:41)



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